Il nuovo rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente (Eea) lancia un avvertimento che suona come un campanello d’allarme per agricoltori, trasformatori e policy-maker: il sistema alimentare è uno dei principali motori della perdita di biodiversità in Europa, con ripercussioni dirette anche sulla capacità produttiva delle aziende agricole. Più dell’80% degli habitat protetti è in cattivo stato, il 60–70% dei suoli è degradato e l’uso di risorse naturali dell’Europa supera di 1,5 volte la sua biocapacità — numeri che impongono una riflessione urgente sulle pratiche colturali e sulle scelte di filiera.
Il rapporto Eea: numeri che non lasciano scampo
L’analisi dell’Eea (284 pagine) mette sotto i riflettori le modalità con cui produzione e consumo alimentare stanno erodendo il capitale naturale: cambiamenti d’uso del suolo, sovrasfruttamento delle risorse, inquinamento e specie invasive, aggravati dagli effetti del cambiamento climatico. In particolare, la produzione animale — specie quella intensiva — emerge come categoria con impatti elevati in termini di consumo di suolo, emissioni di gas serra e perdita di biodiversità. Al tempo stesso, il rapporto non chiude la porta alle pratiche estensive: sistemi zootecnici pascolativi e colture miste possono svolgere un ruolo positivo per gli habitat e per il ciclo dei nutrienti.
La bussola della sostenibilità: semplificare per non confondere
Proprio per rispondere all’attuale frammentazione degli schemi di misura della sostenibilità, la Commissione Dg Agri ha fissato un workshop per il 16 ottobre volto a costruire un’«On-farm Sustainability Compass». L’obiettivo dichiarato è quello di ridurre la moltiplicazione di standard e certificazioni, semplificare la raccolta dei dati e consentire agli agricoltori di registrare una sola volta le informazioni necessarie per pubbliche amministrazioni e mercato. Il progetto nasce con l’intento di essere volontario, partecipativo e orientato al concreto — una possibile opportunità per le aziende olivicole italiane se riusciranno a far pesare le loro specificità territoriali nelle fasi di co-progettazione.
Semplificare senza rinunciare agli standard
Sul fronte della governance, il dialogo sulla semplificazione prosegue anche in ambito Ebaf, dove rappresentanti dell’industria, dei produttori e della società civile hanno elaborato un testo di principi per ridurre l’onere amministrativo senza derogare agli obiettivi ambientali e sanitari. È una linea che trova eco anche nelle misure concordate dal Consiglio sull’Omnibus e sul Cbam: ridurre burocrazia e oneri procedurali per le imprese mantenendo però inalterata l’ambizione climatica. Per le imprese italiane, la sfida è partecipare attivamente a questi tavoli per evitare che la semplificazione si traduca in deregolamentazione.
Suolo sotto monitoraggio: la direttiva è realtà
Il Consiglio ha formalmente adottato la Direttiva sul monitoraggio del suolo che istituisce un quadro unionale per valutare lo stato fisico, chimico e biologico dei suoli, con metodologie comuni e reporting obbligatorio verso Commissione ed Eea. La direttiva introduce anche principi di mitigazione del consumo di suolo e prevede il monitoraggio di contaminanti emergenti come Pfas, residui di pesticidi e microplastiche. Member states avranno tre anni dall’entrata in vigore per recepire le norme: un elemento che cambia il paradigma della gestione del suolo e che investe direttamente chi coltiva e trasformal’olio.
Brevetti e semenze: l’allarme sul pomodoro monito per tutti i vivai
A margine delle questioni regolatorie, arriva un’altra grana che interessa la filiera: la campagna “No Patents on Seeds!” ha denunciato come “scandaloso” il brevetto europeo EP3911147, che rivendicherebbe diritti su geni di resistenza al ToBRFV individuati in specie selvatiche. Se brevetti di questo tipo venissero confermati, potrebbero limitare la libertà di operare in selezione tradizionale e mettere a rischio la gestione delle risorse genetiche nei gene bank — una questione che tocca anche la filiera dell’olivo, dove varietà, portinnesti e materiale vivaistico sono fondamentali per la resilienza e la qualità del prodotto.
Cosa cambia per olivicoltori e frantoi italiani
Per il comparto olivicolo le ricadute sono concrete: la salute del suolo è direttamente connessa alla resa e alla qualità dell’olio. La frammentazione degli schemi di sostenibilità gravano con costi e burocrazia soprattutto sulle Pmi; la minaccia di brevetti troppo estesi può stringere il perimetro della ricerca varietale e della selezione locale. Due sono le priorità immediate:
- Investire in salute del suolo e pratiche agroecologiche — coperture vegetali, rotazioni (laddove possibili), riduzione dell’uso chimico e attenzione alla sostanza organica sono misure che pagano sia in termini ambientali sia economici.
- Partecipare alla costruzione degli strumenti di governance — il workshop sul Compass e i processi di semplificazione sono opportunità per far valere le specificità dell’olivicoltura italiana: chiedere indicatori proporzionati, riconoscimento delle pratiche estensive e procedure snelle per le piccole realtà.
Tra rischio e opportunità
Il quadro che emerge dal documento è complesso. Molte norme e iniziative puntano nella direzione giusta, ma il cambiamento non avverrà per decreto. Serve una transizione intelligente, che protegga il capitale naturale, non scarichi i costi sulle imprese più fragili e salvaguardi la libertà di ricerca genetica e varietale. Per la filiera dell’olio d’oliva la sfida è trasformare questa pressione in opportunità: migliorare il suolo, semplificare i processi senza perdere in rigore, e costruire strumenti di sostenibilità che valorizzino la qualità e la storia dei nostri oliveti.










