È stato un ottobre di frizioni a Strasburgo e Bruxelles. L’agricoltura torna al centro dello scontro politico europeo, in un clima in cui le grandi transizioni — ecologica, digitale, generazionale — rischiano di rallentare sotto il peso delle tensioni tra Stati membri e Commissione. Tre dossier, in particolare, delineano la direzione delle prossime politiche: il rigetto parlamentare del quadro europeo per il monitoraggio forestale, la revisione operativa del regolamento anti-deforestazione (Eudr) e la presentazione della strategia per la “generational renewal” in agricoltura.
Forest monitoring, l’Europa che frena sulla tutela ambientale
Il Parlamento europeo ha bocciato a maggioranza la proposta di un sistema unico per il monitoraggio delle foreste. Un voto pesante — 370 contrari contro 264 favorevoli — che segna una battuta d’arresto per il Green Deal e lascia intravedere una spaccatura profonda tra chi teme nuova burocrazia e chi denuncia un passo indietro nella difesa degli ecosistemi.
I popolari europei (Epp) e le destre hanno sostenuto che «gli Stati devono mantenere il controllo delle proprie risorse forestali», mentre i Verdi e parte dei socialisti hanno parlato di un “autogol strategico” che indebolisce la capacità di prevenire incendi e degrado.
Dietro la contesa c’è una questione più ampia: quanto l’Europa è disposta a centralizzare le proprie politiche ambientali, e quanto invece intende restituire sovranità agli Stati. Una linea di faglia che attraversa anche la gestione delle aree agricole marginali e dei paesaggi olivicoli, spesso strettamente legati alla salute dei sistemi forestali.
Eudr: correzioni tecniche o retromarcia politica?
Il 21 ottobre la Commissione ha proposto modifiche tecniche al Regolamento sulla deforestazione importata (Eudr). L’obiettivo dichiarato è “agevolare l’attuazione” della norma, che entrerà in vigore il 30 dicembre 2025 per le medie e grandi imprese e un anno dopo per le micro e piccole.
Le novità riguardano la piattaforma informatica di tracciabilità e la possibilità di procedure semplificate per le aziende di dimensioni ridotte. Un gesto di realismo, spiegano da Bruxelles, per evitare un collasso del sistema informatico e alleggerire gli oneri amministrativi.
Ma le reazioni non si sono fatte attendere. Ong e ambientalisti parlano di un tentativo di “diluire” il regolamento, mentre alcuni governi — tra cui quello tedesco — si dividono tra chi lo considera ancora troppo gravoso e chi teme un indebolimento degli obiettivi climatici.
Per l’Italia, e in particolare per il comparto agroalimentare esportatore, le modifiche all’Eudr significano un nuovo periodo di adattamento: verifiche più complesse sui dati di geolocalizzazione, sistemi di certificazione più stringenti e la necessità di coordinare i controlli con le autorità nazionali.
Giovani agricoltori: una strategia “aspirazionale”
Nello stesso pacchetto politico, la Commissione ha lanciato la strategia europea per il rinnovamento generazionale in agricoltura. L’obiettivo: raddoppiare la presenza di giovani agricoltori dal 12% al 24% entro il 2040.
Una sfida ambiziosa, che si scontra con ostacoli noti: accesso al credito, costo dei terreni, infrastrutture carenti e burocrazia disincentivante. La proposta invita gli Stati membri a destinare almeno il 6% della spesa agricola a misure per i giovani, ma senza renderlo obbligatorio.
«Senza vincoli di bilancio e strumenti mirati rischia di restare una dichiarazione d’intenti», hanno commentato le organizzazioni giovanili agricole europee, che chiedono un vero piano d’investimenti, soprattutto per i settori più innovativi e sostenibili.
Un equilibrio instabile tra realismo e ambizione
L’impressione a Bruxelles è che la nuova legislatura europea stia cercando un compromesso tra l’ambizione del Green Deal e la pressione politica per semplificare. Dopo anni di norme “verdi” percepite come punitive da parte del mondo agricolo, la Commissione tenta ora di ricostruire fiducia con le categorie produttive.
Ma il rischio, avvertono molti analisti, è che in questo pendolo l’Europa perda coerenza: allentare troppo i vincoli ambientali per motivi elettorali potrebbe minare la credibilità del progetto stesso di transizione sostenibile.
L’Italia tra prudenza e opportunità
Il governo italiano osserva con cautela. Il ministro Fitto, che ha più volte criticato “l’eccesso di norme calate dall’alto”, vede in questa fase una possibilità di maggiore sussidiarietà per gli Stati membri. Al tempo stesso, però, l’agricoltura italiana — tra le più esportatrici d’Europa — ha tutto da perdere in un contesto normativo instabile.
Per il nostro Paese, la partita si gioca su due fronti: partecipare al negoziato sull’EUDR per garantire che i prodotti mediterranei non vengano penalizzati, e spingere per una vera politica europea di insediamento giovanile che premi chi innova e diversifica, non chi resiste per inerzia.
Un bivio politico per l’Europa rurale
L’Unione si trova davanti a un bivio: ridurre la pressione normativa per riconquistare consenso o rilanciare la visione di lungo periodo della sostenibilità. La risposta determinerà non solo il destino delle foreste europee, ma anche la competitività e l’identità dell’agricoltura mediterranea. In questa partita, l’Italia — e il suo modello di agricoltura di qualità — non può permettersi di restare spettatrice.










