Siamo a un punto di svolta: la politica agricola europea dopo il 2027 non è una mera riforma tecnica, è una scelta di civiltà. Tra guerre che spostano flussi commerciali, prezzi delle materie prime impazziti e l’urgenza climatica che falcia produzione e redditi, l’Europa deve decidere se difendere solo interessi contabili o se investire seriamente sulla resilienza del suo sistema agroalimentare. Le proposte sul tavolo — dal targeting dei pagamenti diretti alle riserve strategiche — vanno lette come strumenti per rimodellare rapporti di forza, sostenere le filiere e tutelare i territori. Ma attenzione: le buone intenzioni rischiano di restare carta se non saranno tradotte in regole chiare, proporzionali e coordinate tra Stati membri.
Dal sostegno generalizzato alla logica del “chi produce davvero”
La Commissione europea propone che il sostegno al reddito sia prioritariamente indirizzato «ai coltivatori che esercitano l’agricoltura come attività principale» e che contribuiscono attivamente alla sicurezza alimentare. Il ragionamento è semplice: concentrare risorse su chi produce realmente dovrebbe aumentare l’efficacia della spesa pubblica. Tuttavia, la transizione non è indolore. Riduzioni e tetti sugli aiuti per aziende di grandi dimensioni, norme anti-abuso e una forma semplificata per i piccoli (lump sum fino a 3.000 euro) mirano a riequilibrare il sistema, ma rischiano di creare fratture tra Paesi con strutture colturali molto diverse. Serve un equilibrio tra equità e competitività: regole comuni e flessibilità nazionale calibrata sono essenziali per non penalizzare né le aziende dinamiche né le piccole realtà che mantengono paesaggi e biodiversità.
Come predisporre riserve senza sovvertire il mercato
Il dibattito sul ritorno alle riserve «per uso civile o militare in emergenza» è tornato d’attualità. La pandemia, i problemi nelle catene di approvvigionamento e la guerra in Ucraina hanno ricordato che la disponibilità e l’accesso al cibo non sono fattori sempre garantiti. Le proposte prevedono piani nazionali di preparazione alla sicurezza alimentare e la designazione di autorità competenti per coordinare risposte. Ma la lezione storica è chiara: le riserve possono essere utili se pensate come strumento temporaneo e mirato, non come sussidio permanente. Vanno progettate per minimizzare distorsioni di mercato, definite in funzione di rischi concreti (energia, fertilizzanti, cereali in contesti geopolitici critici) e integrate in sistemi di cooperazione Ue per evitare frammentazione.
Il paradosso del commercio mondiale per il settore agroalimentare
I dati sul commercio agroalimentare mostrano tensioni nette: a luglio 2025 export e import sono saliti, spinti soprattutto da cocoa e coffee sui mercati mondiali. Ma l’aumento dei prezzi non è un regalo per tutti: mentre i Paesi esportatori di commodity fanno i conti con ricavi più alti, molte filiere europee vedono cali di volumi (cereali) e fluttuazioni che mettono sotto stress redditi e piani aziendali. In più, prodotti come olio d’oliva hanno subito riduzioni del valore nonostante volumi in aumento. La sfida per la politica è costruire strumenti che proteggano il valore aggiunto europeo (qualità, certificazioni, filiere corte) e non solo rincorrere oscillazioni di prezzo.
Olive, formaggi, frutta: puntare su qualità e mercati esteri
La Commissione ha approvato 72 campagne di promozione per prodotti agricoli (budget totale circa 132 milioni di euro). Molti programmi semplici (Simple) mireranno a mercati extra-Ue — Uk, Usa, Cina e Giappone — e includono olive e olio fra i prodotti chiave. Questa è una leva concreta: comunicare la sostenibilità e gli standard europei può creare valore e marginalità per produttori che investono in qualità, ma le attività devono essere ben integrate con politiche di supporto alle filiere (investimenti, certificazioni, logistica) per evitare campagne efficaci ma disconnesse dalla capacità produttiva reale.
Riso, competitività e solidarietà: la tela intricata del Gsp
Le trattative sul nuovo Gsp (Generalised Scheme of Preferences) hanno acceso il campanello d’allarme per il comparto risicolo europeo. L’ingresso massiccio di riso duty-free e la divergenza di costi di produzione (p.es. Myanmar vs Italia) hanno compresso i prezzi locali costringendo cali di listino che minacciano la sussistenza stessa di aree specializzate. La richiesta del settore è chiara: soglie e meccanismi di salvaguardia, quota separata per broken rice e anti-triangolazione. Questo è il punto: la solidarietà commerciale verso i Paesi in via di sviluppo non va messa in discussione, ma va coniugata con misure che preservino la vitalità delle produzioni europee quando la concorrenza è squilibrata.
Se vogliamo un’agricoltura europea capace di nutrire le persone, mitigare il cambiamento climatico e reggere la competizione globale, non bastano slogan o aggiustamenti contabili. Occorre una strategia coerente: regole comuni chiare sul targeting dei pagamenti, piani nazionali coordinati per la sicurezza alimentare, strumenti di mercato intelligenti che proteggano valore e qualità, e politiche commerciali che bilancino apertura e salvaguardia delle filiere strategiche. Il futuro si coltiva con visione e responsabilità — e chi guida le decisioni europee deve ricordarselo ogni volta che parla di Cap, commercio o resilienza. L’urgenza non è un alibi per decisioni affrettate, ma un motivo in più per agire con determinazione e saggezza.











Certo che il futuro si coltiva e non si coltiva, però nelle situazioni in cui oggi la ns agricoltura imperversa certo non e’ delle migliori ma ci troviamo a fronteggiare mercati che ti mozzano il fiato.
Il peggiorare del clima,in cui si stanno sempre di più verificando alluvioni e siccità stanno contribuendo alla desertificazione di tantissimi terreni specialmente nel meridione d’Italia dove per oltre 40 anni non si e’ pensato al recupero delle acque e oggi e’ diventato un serio problema.
In questi questi anni abbiamo assistito agli aumenti dei fertilizzanti in maniera drastica e ancora oggi si parla di ulteriori aumenti dei concimi come urea e fosforo.
Abbiamo visti in questi anni tanti patti bilaterali che hanno messo in ginocchio i ns produttori,non ultimo il Mercosur.
Da non sottovalutare la manodopera,il costo energetico,l,’acqua e i costi di ristrutturazione aziendale.
Detto ciò,sono anni che se ne parla di filiere corte oppure di associazioni di OP ma gli agricoltori tantissimi non ricevono garanzie conferme a quelle che sono le realtà del momento.
Quindi,
oggi ,intraprendere per un giovane
l’attività agricola diventa sempre di più un problema in quanto sa già di andare incontro a delle incertezze e che quindi non si può assolutamente improvvisare.
La nuova PAC deve deve incentivare molto di più i giovani che già hanno una certa esperienza aziendale e non togliere quel famoso 20% che tanto si sta discutendo.
l’Europa deve ascoltare il grido degli agricoltori che si vedendo diminuire giorno per giorno il loro reddito ed il loro potere di acquisto.