C’è chi l’ha ribattezzata “la geopolitica della soia”, sottolineando gli aspetti politici di una commodity che in questa fase delicatissima sembra essere una merce di scambio non solo agricolo fra Cina e Stati Uniti. Fatto sta che nelle tensioni commerciali innescate dagli Usa di Trump nei confronti della Cina di Xi Jinping, unica realtà che ha avuto il coraggio di rispondere duramente alla “prepotenza” di Washington, ci si è messa anche la soia.
La premessa
La Cina è il più grande importatore di cereali e semi oleosi (fra cui, appunto, la soia) a livello mondiale. Da alcuni anni, ormai, detiene gli stock strategici più significativi in volume in termini quantitativi, tanto che fu proprio la “voracità” del Dragone a partire dal 2020-21 a innescare una volatilità dei prezzi su scala globale. Gli Stati Uniti, anche in passato, e anche nelle precedenti fasi di tensione con la Cina (sia durante la prima presidenza Trump che con Biden) non videro mai le forniture di soia azzerarsi, come appunto avvenuto oggi.
Quasi un quarto dei 4 miliardi di bushel di soia coltivati ogni anno negli Stati Uniti viene esportato in Cina, che rappresenta di gran lunga il più grande acquirente mondiale. Lo scorso anno, il Paese ha importato quasi 13 miliardi di dollari di soia dagli Stati Uniti, contro circa due miliardi di due decenni fa.
Acquisti dal Sudamerica
Da diversi mesi, però, Pechino ha adottato una strategia politica e commerciale mirata appunto a tagliare fuori la soia Made in Usa per preferire il Brasile, che nei primi otto mesi del 2025 ha esportato verso l’ex Celeste Impero quasi 53 milioni di tonnellate, arrivando a detenere una quota di mercato del 72%, contro il 23% degli Stati Uniti.
I dati, consultabili sul sito di Teseo.Clal.it, mostrano qualche apparente incongruenza, data prevalentemente da due fattori. I dati di export dagli Usa alla Cina e dal Brasile verso la Cina sono differenti rispetto all’import della Cina da Stati Uniti o da Brasile. Questo perché vi sono tempi tecnici di viaggio, di registrazione alla dogana, di trasmissione dei dati. Un altro elemento che può generare incertezza o una non completa certezza numerica è data dal fatto che qualche mese fa Pechino – che non è una democrazia – aveva dichiarato di voler sospendere la trasmissione dei dati.
Resta il fatto che, in base alle statistiche pubblicate su Teseo.Clal.it, fra gennaio e agosto 2025 la Cina ha ritirato 16,8 milioni di tonnellate di soia dagli Usa (+30,9% sullo stesso periodo del 2024, ma in flessione rispetto ai 19,9 milioni di tonnellate dello stesso periodo del 2023). Se, invece, guardiamo le esportazioni di soia registrate dagli Usa verso la Cina nel periodo gennaio-luglio 2025, il Dragone rappresenta il 32% delle quote di export di soia americana nel mondo (primo posto), con volumi inviati pari a 5,9 milioni di tonnellate, in flessione del 39,5% su gennaio-luglio 2024.
Lo stesso vale per il Brasile. Visto dall’import cinese si parla di quasi 53 milioni di tonnellate, se si osserva l’export di soia dal Brasile alla Cina, fra gennaio e agosto si parla di quasi 66 milioni di tonnellate di semi di soia, con un incremento tendenziale del 7,8%.
I produttori Usa: serve un accordo con la Cina
Al di là dei numeri, a innescare il panico nell’Associazione americana dei produttori di soia (Asa) è stata anche la mossa di Pechino degli ultimi giorni, che avrebbe approfittato dell’apertura dell’Argentina a esportare temporaneamente la soia a dazio agevolato, preferendo i sudamericani agli Usa. Una decisione che ha portato il presidente dell’Asa, Caleb Ragland, a invitare l’Amministrazione Usa a «concludere un accordo commerciale con la Cina. La Cina è il più grande cliente di soia al mondo e in genere il nostro principale mercato di esportazione. Gli Stati Uniti non hanno effettuato alcuna vendita alla Cina in questa nuova campagna di commercializzazione del raccolto a causa dei dazi di ritorsione del 20% imposti dalla Cina in risposta ai dazi statunitensi. Ciò ha permesso ad altri esportatori, il Brasile e ora l’Argentina, di conquistare il nostro mercato a spese dirette degli agricoltori statunitensi – spiega Ragland –. La frustrazione è schiacciante. I prezzi della soia statunitense stanno calando, la raccolta è in corso e gli agricoltori leggono titoli non sulla conclusione di un accordo commerciale con la Cina, ma sul fatto che il governo statunitense sta estendendo 20 miliardi di dollari di sostegno economico all’Argentina, mentre quel paese sta eliminando le tasse sulle esportazioni di soia per vendere 20 carichi di soia argentina alla Cina in soli due giorni».
Per l’Asa, “l’economia agricola sta soffrendo mentre i nostri concorrenti stanno soppiantando gli Stati Uniti nel più grande mercato di importazione di soia al mondo”.
Il livello di preoccupazione dei farmer americani è alle stelle e la ritorsione cinese sulla soia è solamente una delle cause che stanno preoccupando il mondo agricolo, al punto che, fra carenza di manodopera dopo le misure repressive dell’amministrazione Trump contro l’immigrazione, i cambiamenti climatici che colpiscono a macchia di leopardo, provocando cali delle rese in campo, l’aumento dei fattori di produzione e la stretta creditizia nei confronti di molte aziende agricole, un tasso di suicidi fra gli agricoltori che si sta alzando, alcuni analisti hanno coniato il termine “Farmageddon”.
Da Washington sarebbe pronta una serie di misure economiche per sostenere gli agricoltori in maniera massiccia, tenuto anche conto che si tratta frequentemente di sostenitori del partito repubblicano.
Le nuove rotte commerciali della soia, però, potrebbero avere ripercussioni sulle dinamiche globali dei prezzi e delle destinazioni. Con l’Unione europea, che già oggi ritira oltre 2,1 milioni di tonnellate (gennaio-agosto) di soia, che potrebbe diventare un nuovo porto per la soia a stelle e strisce.













