Da outsider a mainstream in soli 5 anni. L’Italia rilancia al buio sulla puntata del Green Deal Europeo: per Bruxelles l’agricoltura biologica deve raggiungere il 25% entro il 2030; per Roma ci si può riuscire già nel 2027.
Una scelta naturale
Il bio italiano deve correre e si guarda intorno per capire chi lo può sostenere e chi invece lo vuole azzoppare. Diventare il principale strumento politico per realizzare la transizione ecologica (e magari anche quella digitale, climatica ed energetica) può fare piacere, ma nasconde delle insidie.
Anteprima editoriale di Terra e Vita 27/2022
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La scelta dell’esecutivo europeo è stata quasi naturale: gli obiettivi per l’agricoltura tracciati dal Green Deal sono praticamente uguali a quelli fissati dal regolamento sulla produzione biologica: tutelare l’ambiente e il clima, conservare a lungo termine la fertilità dei suoli, elevare la biodiversità e il benessere animale, limitare l’uso di input esterni, assicurare un impiego responsabile dell’energia e delle risorse naturali. Niente di più moderno e in linea con la necessità di trovare risposte efficaci per il periodo di crisi che stiamo vivendo.
Le strategie, i regolamenti, i piani d’azione non sono però bacchette magiche in grado di trasformare, con un semplice gesto, i ranocchi in principi.
Le incongruenze nello Sviluppo Rurale
L’abbraccio della politica può, viceversa, diventare mortale. È già successo alla produzione integrata, elevata solo pochi anni fa a paradigma di riferimento per l’agricoltura, resa addirittura obbligatoria (altro che 25%!), banalizzata e praticamente sparita dagli scaffali. I tentativi di pianificazione del comparto primario hanno sempre riscosso pochi risultati in Europa. Anche perché nei palazzi del potere il tradimento è dietro l’angolo.
Le associazioni del bio hanno già denunciato incongruenze nella programmazione dello Sviluppo Rurale. Almeno 7 Regioni non avrebbero stanziato la loro quota di risorse destinate al bio, in coerenza con quanto previsto dall’accordo del Piano Strategico Nazionale.
Oltre agli stanziamenti c’è il problema dei premi, che possono diventare decisamente più elevati nell’integrato rispetto al bio per le norme Ue che definiscono l’ammontare dei sostegni solo in base ai maggiori costi e minori ricavi legati all’adozione delle diverse misure. Difficile arrivare al 25% in queste condizioni.
Lo show è finito
Il bio può allora trovare un alleato nel libero mercato? L’agricoltura non è (più) uno spettacolo, non riempie i padiglioni delle esposizioni universali come ai vecchi tempi.
Anzi, con la crisi economica e i rischi di stagnazione fa fatica a riempire le dispense, visto che i consumi sono in flessione (non solo quelli del bio). All’ultima edizione del Sana si sono visti alcuni segnali di ripresa grazie alla passione e alla fantasia dei piccoli produttori bio, sempre pronti a inventare nuovi stili alimentari, ma tornare ai vecchi fasti sarà un percorso lungo.
Proprio al Sana un alleato il bio lo ha però trovato.
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Il dialogo tra FederBio e il Comitato Tecnico Scientifico di Edagricole
La sfida di coniugare produttività e sostenibilità, due obiettivi legittimi che non vanno messi in contrapposizione, può essere infatti vinta solo con robuste dosi di innovazione. La sessione di Rivoluzione Bio moderata da Terra e Vita ha aperto un promettente dialogo tra produzione bio, rappresentata da FederBio e mondo della ricerca, rappresentata dal Cts Edagricole e da Aissa. Un confronto che si preannuncia fertile e pieno di prospettive, se si rispetta la libertà di ricerca e si tutela la legittima biodiversità anche dei metodi di produzione.
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