Si recentemente tenuto a Roma il 3° Convegno Italiano di Agroecologia “Agroecologia per la rigenerazione dei sistemi agro-alimentari nell’ambito delle strategie dell’Unione Europea”. Nell’occasione, all’uscita dalla tavola rotonda a cui aveva partecipato, abbiamo avuto l’occasione di intervistare Carlo Triarico, presidente dell’Associazione per l’Agricoltura Biodinamica.
Agroecologia e agricoltura biodinamica, quali sono le differenze?
«L’Agricoltura biologica, grazie alla biodinamica che ne è stata l’inizio, è arrivata oggi a cento anni di applicazione pratica e di studi sul campo - afferma Triarico -. La bioagricoltura è una base essenziale per l’agroecologia. La biodinamica ha ormai una base di letteratura scientifica referata e ingloba tutti i 10 elementi che sono stati definiti dalla Fao per descrivere l’Agroecologia.
L’agricoltura biodinamica, infatti è diversificata e preserva, protegge e valorizza le risorse naturali, attua processi partecipativi per la cocreazione e condivisione delle conoscenze, sviluppa sinergie per migliorare le funzioni chiave dei sistemi alimentari, supportando la produzione e molteplici servizi ecosistemici, è efficiente perché produce utilizzando pochissime risorse esterne, pratica il riciclo che le permette di avere costi economici e ambientali più bassi, è resiliente, perché capace di ripristinare l’equilibrio a fronte di eventi esterni sfavorevoli, si basa su precisi valori umani e sociali, è portatrice di cultura e tradizioni alimentari, contribuendo alla sicurezza alimentare e alla nutrizione e mantenendo la salute degli ecosistemi, pratica una governance responsabile ed una economia circolare e di solidarietà, collegando agricoltori e consumatori all’interno di un organismo agricolo a ciclo chiuso.
La biodinamica rappresenta bene l’identità del biologico. In questo contesto l’agricoltura biodinamica potrebbe quindi essere più che soddisfatta di ciò che ha raggiunto e disinteressarsi di come stanno gli altri attori del sistema agricolo nazionale. Ma non è così, i biodinamici infatti sono molto preoccupati della situazione del sistema nel suo complesso e sono disponibili a ricoprire un ruolo attivo per dare l’esempio e aiutare chi deve affrontare la sfida della sostenibilità a superare i problemi relativi la transizione verso l’agroecologia».
Cosa è necessario fare perché possa essere avviata la transizione agroecologica del sistema agricolo italiano?
«Occorre puntare a sostenere l’agricoltura biologica. Il mondo biodinamico ha le competenze e ha già raggiunto gli obiettivi posti a livello europeo con le politiche Farm to Fork e biodiversità. A livello di sistema agricolo italiano, però, siamo ancora indietro e la variabile tempo relativa alla transizione agroecologica è una variabile critica perché se da un lato sappiamo, come ci dicono gli analisti, che non abbiamo più molto tempo a disposizione, dall'altro non siamo nelle condizioni di viaggiare alla velocità che sarebbe necessaria.
Infatti, sarebbero urgenti ingenti investimenti, e non soltanto economici, ma anche rispetto alla vita sociale, che potrebbero scaturire da coraggiose scelte politiche che facilitino il sistema a raggiungere una leadership europea verde, visto che abbiamo già una leadership europea per il biologico e per il biodinamico. Sarebbe opportuno quindi alzare l’asticella degli obiettivi sia in termini quantitativi che qualitativi.
D'altronde la biodinamica è consapevole che sul tema ambientale si viaggia tutti insieme. Ed è quindi necessario porsi degli obiettivi ambizioni e con orizzonti temporali scaglionati convogliando le forze degli attori in campo, in modo tale che quelli che sono più avanti porgano la mano verso quelli che sono più indietro per affrontare il cambiamento che tutti abbiamo davanti».
Quale potrebbe essere il ruolo dell’agricoltura biodinamica?
«Il mondo dell’industria e della produzione convenzionale vive, in questo momento, un rischio oggettivo di dipendenza da risorse esterne al processo, che non può essere ignorato. La crisi geopolitica lo ha reso evidente. Gli input pesanti devono essere eliminati e la biodinamica, come espressione eccellente di bioagricoltura, caratterizzata da socialità, politica, competenze, tecniche e compartecipazione di diverse culture, può partecipare attivamente affinché tanti agricoltori possano incontrare la modernità di un nuovo modello agricolo, nella direzione della strategia Farm to Fork UE.
Per far questo è anche necessaria subito ricerca e una corretta formazione pensata non soltanto per il mondo del convenzionale. Per fare un esempio il patentino dei fitofarmaci, con una versione per l’agricoltura biologica. Il mondo agricolo biologico e il mondo ambientalista devono portare avanti gli stessi valori e le stesse istanze e questo dovrebbe essere la normalità. L’anomalia invece è che il mondo rurale e il mondo ambientalista possano trovarsi su fronti opposti. Le sorti sono comuni ma permangono interessi contrapposti, per esempio tra i vari Stati europei dove l’agricoltura è molto massificata diversamente dall’Italia.
Da noi c’è una ricchezza dovuta alla diversificazione e alla cultura, che potrebbe sfavorirci. Il nostro compito come attori del sistema agricolo italiano è di avere coraggio e di porre come istanza politica l’urgenza della transizione agroecologica per non rischiare di perdere l’importante appuntamento che abbiamo con un futuro durevole dell’agricoltura».
Quali sono i principali punti di forza della biodinamica?
I punti di forza della biodinamica sono i punti di forze del biologico. La biodinamica, l’anno prossimo compirà 100 anni dalla sua nascita. Abbiamo un patrimonio enorme di pratiche ecologiche consolidate a disposizione di tutti, che comprendono anche conoscenze sociali delle quali non si può fare a meno perché non basta la tecnica, non bastano i mezzi produttivi.
La biodinamica potrebbe essere letta giuridicamente come una pratica più restrittiva del biologico, ma questo punto di vista è riduttivo. Vuole potenziare l’agricoltura biologica. Se si parla di humus, per esempio, per i biodinamici la norma prevede che il letame non possa essere utilizzato tal quale, ma solo umificato, grazie a processi biochimici naturali per i quali le sostanze organiche sono trasformate in altre sostanze biostimolanti, solubili e insolubili nell'humus. Questo ha un senso perché porta ad avere impatti sul terreno totalmente diversi. Lo stesso vale per la biodiversità. Nelle nostre aziende agricole vige l’obbligo di destinare come minimo il 10% alle aree di biodiversità e questo consente di ridurre in maniera sostanziale le patologie nei nostri campi, con un approccio di salutogenesi. La biodinamica non è solo una serie di tecniche che in questo momento storico posso essere preziosissime, ma è anche una pratica di coevoluzione.
Nel biologico ogni evoluzione deve essere una coevoluzione perché nei fatti è l'uomo che, attraverso interventi antropici, valorizza e migliora gli ecosistemi. Siamo abituati a considerare l’impatto dell’uomo come negativo mentre invece dovrebbe essere l'elemento positivo. In altre parole l'elemento umano sulla natura dovrebbe essere un valore grazie agli ambiziosi obiettivi concreti e spirituali che caratterizzano l’agire consapevole dell’agricoltore».