Si sente sempre dire che l'allevamento contribuisce in maniera consistente al cambiamento climatico ma Nadia El-Hage Scialabba, esperta sistemi alimentari sostenibili, afferma in una sua recente pubblicazione che “l’ambiente non si potrà salvare senza il bestiame”. Di questa rivoluzione copernicana ne abbiamo parlato direttamente con lei.
Come è giunta a questa conclusione?
Quando lavoravo alla Fao avevo osservato come l'elemento animale produceva o disastri o benefici per l'ambiente. Si andava da un estremo all'altro ma, comunque, era sempre l’elemento determinante della sostenibilità di un sistema. I grandi erbivori importanti per il ciclo dei nutrienti e la fertilità del suolo ci sono sempre stati, in tutte le ere geologiche e il problema non è l'animale ma come lo gestiamo. Ridurre gli animali soltanto a merce oppure affermare che il cambiamento climatico sia causato dalle loro emissioni è riduttivo. Eliminare il bestiame perché non siamo in grado di gestirlo sarebbe un errore molto grave.
Dal punto di vista ambientale, poi, mangiare pollame o suini è molto peggio che mangiare una buona bistecca di bovino. Gli animali monogastrici allevati oggi sono nutriti essenzialmente con mangime: ad esempio il 68% del mais prodotto nel mondo è utilizzato come mangime per il pollame. Questi allevamenti, prevalentemente intensivi, sono anche dannosi per la nostra salute, visto la loro capacità di essere potenziali ospiti intermediari per la generazione di virus dell’influenza pandemica aviaria e suina. Approfondendo sono giunta alla conclusione che l’allevamento al pascolo a livello mondiale porterebbe a incredibili benefici per il nostro ecosistema.
Lei mette in evidenza come contabilizzazioni unilaterali delle emissioni di gas serra portino a conclusioni errate. Ci può spiegare meglio?
Quando si parla di emissioni si contabilizza il carbonio che il bestiame emette direttamente (numero di carbonio per chilogrammo di animale). Non vengono conteggiate le emissioni che si producono per produrre il mangime coltivato con pesticidi, le emissioni prodotte dalla deforestazione per lasciare spazio all’allevamento o le colture di cereali destinati a mangime. Non vengono conteggiati neppure l'assorbimento di carbonio delle praterie, né l’effetto cumulativo sul ciclo globale di azoto. Parlo di 3,4 miliardi di ettari di praterie permanenti che occupano il 70% della superfice agricola mondiale. In queste terre bisogna lasciare gli animali brucare l'erba. Infatti i ruminanti creano un circolo virtuoso nelle praterie per l'assorbimento di carbonio nel suolo. Recenti studi dimostrano che l’allevamento in pascoli del bestiame aiuta a confiscare più carbonio di quanto ne venga emesso. Questo ribalta la credenza relativa all’impatto negativo sull’ambiente del bestiame.
Lei afferma che biodiversità, desertificazione e cambiamenti climatici sono strettamente interconnessi e che fino ad oggi sono state portate avanti soluzioni inefficienti come, per esempio, il riposo del terreno o l’uso del fuoco, pratiche ampiamente utilizzate in tutto il mondo. Anche questo è un elemento che sorprende…
Bisogna tornare all'ecologia dell'erba. La materia organica nel suolo è quella che supporta le colture e la stabilità dell’ecosistema ed è importante per la ritenzione idrica, il ciclo dei nutrienti, la trasformazione del carbonio e la biodiversità del suolo. L’utilizzo del letame dell'animale per avere più materia organica nel suolo è una tecnica porta i suoi benefici. Invece tecniche come mettere a riposo il suolo può funzionare in aree che ricevono oltre 600 mm di acqua all’anno ma nelle terre che ricevono meno di 400 mm di acqua come nell’area mediterranea o nelle zone aridi, il riposo del suolo porta invariabilmente alla desertificazione. Un’altra pratica utilizzata per incrementare velocemente nutrienti nella terra è quella di usare il fuoco. In Africa vengono bruciati ogni anno un miliardo di ettari, eppure la desertificazione di quelle terre avanza con una grande velocità.
La piantumazione di specie vegetali potrebbe arrestare la desertificazione solo se associata all’introduzione di greggi. Infatti la riforestazione per fermare la desertificazione sta mostrando insuccessi perché non riesce a fermare l'ossidazione e il decadimento biologico della copertura vegetale. L'unica soluzione è riportare il gregge nelle praterie se vogliamo veramente avere un equilibrio a livello di sistema terrestre.
E dunque è il bestiame la soluzione? Ci può spiegare come funziona un Pascolo olistico pianificato?
Nei pascoli permanenti, i ruminanti sono fondamentali per convertire la luce solare catturata nella biomassa in cibo. Vari esperimenti in America, Africa e Australia hanno dimostrato come la re-introduzione di mandrie rigenera la terra: rompono il suolo indurito migliorando la penetrazione dell'acqua, la ritenzione idrica e la capacità delle nuove piante di stabilirsi e crescere.
L'unica opzione disponibile per affrontare seriamente la desertificazione e il cambiamento climatico è il bestiame. Il problema è proprio l’assenza di animali nelle aziende agricole.
Il Pascolo olistico pianificato è una forma sviluppata di permacultura per le praterie, nato negli anni ‘60 da Allan Savory in Sud Africa. Questa gestione olistica individua la frequenza, il tempo e l'intensità del brucare della mandria. Il bestiame viene spostato regolarmente da una zona recintata all'altra. La loro attività è quella di brucare, pestare il terreno e, producendo liquami, rigenerare la flora, attraverso la mineralizzazione nel suolo delle sostanze nutritive.
Parliamo ora del consumo di carne. Lei dichiara che la “carne finta” costruita in laboratorio risulta più inefficiente e inquinante di quella naturale. Una soluzione che propone l'industria che peggiorerebbe la situazione invece di migliorarla.
La prima carne sintetica è iniziata a circolare nel 2015. Oggi le grandi potenze investono milioni in questo settore. Nel 2019 "Impossibile Food" ha ricevuto il premio alle Nazioni Unite come Burger positivo per il clima. Mi sono iniziata a informare sulla questione e ho scoperto che questi sostituti di prodotti animali (carne, latte, uova) chiamati plant-based proteins hanno bisogno di materia prima, come la soia e il mais, della quale si estraggono le proteine vegetali, prodotti con uso massiccio di glifosate, e altri fitofarmaci. Inoltre, devono essere aggiunti numerosi ingredienti come vitamine e minerali e hanno un alto contenuto di sale. La carne in vitro viene prodotta con un alta intensità energetica e la coltura tissutale della carne bovina prevede l'uso di fungicidi, antibiotici e fattori di crescita, come gli ormoni sessuali, vietati in zootecnia in Europa perché possono provocare rischi per la salute. Inoltre la carne da laboratorio ha impatti ambientali più elevati rispetto al pollo, latticini e sostituti a base di glutine, e impatti molto più elevati rispetto a sostituti a base di soia. Per quanto riguarda gli impatti sulla salute, invece, ci vorrà tempo per avere i primi risultati in merito.
I disciplinari Demeter per le aziende biodinamiche prescrivono l'inserimento del bestiame in azienda e, attraverso i corsi promossi dall'Associazione per l'Agricoltura biodinamica, si diffondono buone pratiche di gestione delle greggi che si avvicinano molto al Pascolo olistico pianificato. Vista la sua esperienza in ambito internazionale nel campo della agricoltura biologica e sostenibile, quale ruolo attribuisce all’agricoltura biodinamica in questa fase di transizione ecologica che il nostro Paese dovrà affrontare?
Esistono realtà certificate biologiche solo perché nutrono con mangimi biologici le loro vacche chiuse in stalla. Da oltre cent’anni gli agricoltori hanno separato gli animali dai campi ma questa separazione, che crea un ciclo aperto, si è rilevata molto inefficiente. Per fortuna esistono anche realtà, come per esempio quelle biodinamiche, dove abbiamo ottimi risultati dal punto di vista ambientale, sociale e economico. Nell’attuale contesto la biodinamica ha molto da offrire, visto la sua performance superiore al biologico in termini di integrazione degli animali nell’azienda e di sequestro di carbonio nel suolo. L’agricoltura biodinamica è il modello per eccellenza per la salvaguardia dell’ambiente proprio perché si basa sul ciclo chiuso.
Credo che l'inserimento del bestiame nel sistema azienda sia un obiettivo da perseguire. Non è facile, dopo tanti anni di segregazione e di specializzazione. Servono quindi molti investimenti in formazione e ricerca a supporto dell’economia circolare.
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Nadia El-Hage Scialabba ha recentemente pubblicato per la casa editrice Elsevier il suo libro “Managing Healthy Livestock Production and Consumption” (Una Sana Gestione della Produzione e del Consumo del Bestiame).