Nel bel mezzo del trilogo. All’alba dell’elaborazione di due documenti decisivi per il futuro dell’agricoltura italiana come il Piano di resistenza e resilienza (Pnrr) legato al Next Generation Eu e il Piano strategico nazionale (Pns) previsto dalla Pac post 2022, la coalizione Cambiamo agricoltura apre un confronto sulla portata della svolta impressa da Bruxelles.
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La battaglia degli ecoschemi sul fronte del Piano strategico nazionale
Il web talk “Agroecologia e PAC post 2020” moderato da Terra e Vita, ha messo a confronto - in un proficuo dibattito digitale - le opposte opinioni espresse da (clicca sul nome per accedere all'intervento):
- Franco Ferroni, Responsabile Agricoltura & Biodiversità WWF Italia - Coalizione CambiamoAgricoltura;
- Marcella Cipriani, vicepresidente Conaf,
- Paolo Di Stefano, Responsabile affari Ue e internazionali di Coldiretti
- Giuseppe Romano, Ufficio di Presidenza AIAB, Coalizione CambiamoAgricoltura;
- Anna Rufolo, Membro del dipartimento sviluppo agroalimentare e territorio, CIA – Agricoltori Italiani;
- Francesco Sottile, Università di Palermo, Comitato Esecutivo di Slow Food Italia - Coalizione CambiamoAgricoltura;
- Cristina Tinelli, Responsabile dell’Ufficio di Bruxelles, Confagricoltura;
- Carlo Triarico, Presidente dell’Associazione per l’Agricoltura Biodinamica; Coalizione CambiamoAgricoltura,
- Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio, coalizione CambiamoAgricoltura.
Le sei strategie del Green Deal
Alle posizioni fortemente critiche espresse da Maria Grazia Mammuccini e Franco Ferroni
(leggi qui) si aggiunge quella di Giuseppe Romano di Aiab. «Dobbiamo operare un forte pressing sul Piano strategico nazionale affinchè si tenga in adeguato conto gli obiettivi del Green deal in termini di neutralità climatica e tutela della biodiversità».
«Per affrontare i pesanti cambiamenti in atto occorre la volontà di affrontare una programmazione di medio lungo periodo in linea con gli auspici del Next Generation Eu e con le strategie tracciate da Bruxelles per il futuro dell’agricoltura». Romano non parla solo di From farm to fork e Biodiversity strategy «È fondamentale monitorare tutte le sei strategie del Green Deal: ognuna ha ripercussioni sul rapporto tra agricoltura e ambiente».
Mille sfumature di bio
«Esistono tante sfumature di biologico - ammette Francesco Sottile - però dal bio
bisogna passare: è un punto fermo per parlare di transizione ecologica e servizi ecosistemici in virtù del ruolo che gioca in favore dei territori, dei piccoli agricoltori e della biodiversità». «Quest’ultima non deve essere vista solo come un obiettivo, ma come un vero strumento di produzione per i modelli che esaltano l’approccio ecologico». Tutto ciò secondo Sottile non significa essere contrari all’innovazione tecnologica. «Ma lascia perplessi l’impatto dell’agricoltura di precisione perché rischia di scavare un solco irreversibili tra diversi modelli produttivi per i limiti di accessibilità».
La svolta richiede competenza e professionalità
«il nostro ruolo e responsabilità – afferma Marcella Cipriani, vicepresidente Conaf – nella
svolta agroeologica sono molteplici: nella progettazione aziendale e territoriale operata dai professionisti agronomi il paesaggio, l’inclusività, il presidio e la tutela dell’ambiente diventano parametri decisivi». Per affrontare ogni transizione importante occorre un’adeguata dose di competenza. «Dall’ultimo Congresso gli agronomi, attraverso la Carta di Matera, hanno assunto l’impegno di valorizzare e accrescere il loro contributo in favore della sostenibilità delle produzioni». Cipriani si auspica che il Piano strategico nazionale sia veramente inclusivo per poter fornire il contributo dei professionisti.
Purtroppo la vicenda del rinnovo della convenzione Agea-Caa, penalizzando i professionisti, va nella direzione esattamente opposta. «Una vicenda kafkiana su cui sono intervenuti anche i due rami del Parlamento. Voglio solo mettere in evidenza l’incogruenza di considerare il contratto di dipendenza più affidabile rispetto alla libera professione. Le pratiche Pac sono pratiche tecniche che invece dovrebbero essere gestite principalmente da liberi professionisti. Ci siamo battuti per la liberalizzazione del fascicolo aziendale. Ci siamo battuti per la liberalizzazione del fascicolo aziendale. Le nostre competenze sono al servizio dell’agricoltura e del suo rapporto con l’ambiente, chiediamo che ci vengano garantite le migliori condizioni per poter lavorare».
«Sono le nuove tecnologie a dover essere sbloccate»
«I produttori agricoli – testimonia Cristina Tinelli – sono i primi a voler lavorare in un
ambiente fertile e sano. Il confronto sulla Pac deve essere costruttivo, altrimenti non si va da nessuna parte». «Confagricoltura vuole guardare all’agricoltura del futuro e non tornare al passato. Le sfide che abbiamo davanti non sono solo quelle della sostenibilità».
La strategia From Farm to Fork è stata elaborata dimenticando che l’Unione europea prescrive la coerenza delle sue politiche, e tra queste c’è anche quella commerciale. L’EuroParlamento secondo Tinelli ha tenuto conto di questa anomalia. «L’Unione non può pensare di essere l’unica area al mondo a risolvere problemi epocali come il climate change e la perdita di biodiversità, soprattutto se, con l’altra mano, Bruxelles stringe accordi vincolanti con il Brasile di Bolsonaro - a cui della neutralità climatica interessa poco, dato che abbatte le foreste - per incentivare gli scambi con il Mercosur».
«Veniamo da due mesi molto caldi a Bruxelles – ricorda Tinelli - ma il Parlamento si è espresso ed è l’organo che in Europa rappresenta la pluralità, la sede della democrazia. Il vicepresidente Frans Timmermans è intervenuto in maniera anomala e poco accorta contro la riforma della Pac che ha direttamente elaborato, in un processo come il trilogo in cui la Commissione dovrebbe rappresentare il ruolo di garante». Tinelli non pensa affatto che l’Europarlamento abbia manifestato poco coraggio e che la Pac che ha votato sia meno ambiziosa. «All’inizio gli ecoschemi – ricorda – erano volontari. L’assemblea ha inserito un pacchetto di misure negli ecoschemi, applicabili in tutto i continente, proprio per salvaguardare la saldezza unionale ed evitare che ogni Paese prendesse strade divergenti sull’aspetto più caratterizzante della prossima Pac».
Le nuove tecnologie non giocano secondo Tinelli un ruolo contrario alla svolta ecologica della produzione agricola, tutt’altro. «L’Unione deve invece sciogliere tutti i nodi che ancora impediscono non solo l’affermazione delle nuove tecnologie di breeding, frenate da un’interpretazione giuridica anacronistica, ma anche tutti i vincoli che frenano il definitivo sviluppo dell’agricoltura digitale».
«Non c’è alcuna contrapposizione tra agricoltura e ambiente»
Anche secondo Anna Rufolo di Cia-Agricoltori italiani la visione va ribaltata. «Riteniamo
che l’agroecologia e la transizione ecologica abbiano adeguato spazio in questa Pac, pretendere di fermare ora la riforma avrebbe conseguenze catastrofiche sugli agricoltori in una situazione di incertezza sanitaria, giuridica, economica». Rufolo ricorda inoltre che la Commissione è già intervenuta a maggio dichiarando la coerenza della Pac con il Green deal.
«Vedere una contrapposizione tra agricoltura è ambiente fa parte di un retaggio ormai superato, la possibilità di scegliere tra modelli climate neutral, smart e bio è un’espressione di pluralità e ricchezza che consentono di raggiungere con più efficacia gli ambiziosi target di sostenibilità ambientale».
Rufolo consiglia di non considerare esaustive e definitive le prime indicazioni sugli ecoschemi fornite da Bruxelles.
«Cia ha sempre ritenuto importante qualificare dal punto di vista ambientale il primo pilastro e la presenza del bio in questo ambito è un importante approccio per raggiungere l’obiettivo». Secondo Rufolo è assolutamente congruo pretendere la corretta valutazione e certificazione dell’efficacia delle misure agroecologiche. «Ma il loro spostamento nel primo pilastro è un segnale che testimonia attenzione verso una connotazione green della Pac».
Il giusto equilibrio tra premi e risultati
«La Commissione non ha né la volontà né gli strumenti giuridici per ritirare la Pac e l’intervento di Timmermans è già stato smentito dalla stessa presidente Ursula von der Leyen». Da Bruxelles Paolo di Stefano aggiorna “le previsioni del tempo” sulle istituzioni europee. «La Pac approvata in prima lettura dal Parlamento europeo non è fatto meno ambiziosa sul fronte agroambientale».
«Non condividiamo l’approccio di prendere alla lettera obiettivi che possono essere importanti e anche condivisibili come quelli del From Farm To Fork ma che non escono da un processo legislativo e che non hanno nemmeno - ahimè – nemmeno uno studio di impatto cumulativo alla base». Finora solo gli americani hanno prodotto uno studio di impatto che, per quanto discutibile, arriva a stimare una quota dal 7 al 12 per cento di perdita di produzione agricola con la sua applicazione. «Non dico che hanno ragione gli americani ma dico che la Commissione deve avere il suo studio, perché se l’effetto è questo, allora dobbiamo ricordare che la Pac è prima di tutto una politica economica e che deve essere comune. La condivisione dovrebbe essere un bene da tutelare per chi ha a cuore la biodiversità».
«Stupisce anche a me il clima di negatività e contrapposizione rappresentato tra agricoltura e ambiente e lo dico da Bruxelles: l’Italia ha, riguardo a questo apporto, un vantaggio competitivo rispetto al resto d’Europa. Con record di risultati in termini di riduzione degli input, di biodiversità e in materia di scambi tra attori della filiera».
«Sorprende – continua Di Stefano – la ritrosia nei confronti dell’innovazione: sia la precision farming che le Nbt possono assicurare dei risultati in tema di riduzione dell’impatto delle produzioni: non so se più o meno rispetto ad altre tecniche, ma dateci almeno la possibilità di sperimentarlo, perchè fino a oggi la Commissione da una parte non considera digital e precision farming come green de facto, e dall’altra non ha ancora sbloccato la partita Nbt».
«Esempi come Bonifiche Ferraresi, unici in Europa, dimostrano l’accessibilità delle nuove tecnologie digitali anche per le piccole imprese, se possono contare sull’attività di formazione e tutoraggio di quelle più grandi».
Di Stefano raccoglie la sfida di Ferroni di trovare il gusto equiibrio attribuendo un aiuto commisurato alla portata e ambizione dell’impegno agroecologico adottato (leggi qui). «Un tema che Coldiretti ha portato in Europa: diamo più aiuti a chi fa di più, ma come lo definiamo chi fa di più? Se è solo il bio l’Italia parte sicuramente avvantaggiata, ma se apriamo a quello delle numerose deroghe solo per spendere i fondi comuni, allora il gioco non vale la candela». Infine Di Stefano ricorda che il Farm to fork non è solo agroecologia è molto di più e lo si capisce proprio dallo slogan che gli è stato attribuito. «Si parla finalmente di legame tra agricoltore e consumatore ed è la prima volta in Europa, ma su questo punto non vengono fissati alcuni obiettivi coraggiosi sulla trasparenza della filiera come Bruxelles risce invece a fare su concimi, antibiotici o agrofarmaci ».
Paradigmi che creano valore e paradigmi classisti
«Il tema dell’innovazione è importante – ammette Carlo Triarico -, ma in questo senso la
svolta dell’ agricoltura ecologica è stata quella più significativa. La tecnologia verde e tutte le tecniche digitali compresi i droni che possono essere usati in agricoltura possono dare un contributo utile, ma dipende da come vengono usate». Dire innovazione è però secondo Triarico diverso da novità tecnologica, «alcune non sono assolutamente in accordo con il modello di produzione italiano».
Al proposito occorre ribadire – sostiene Triarico che fossilizzarsi nell’aumento della produzione e della resa delle commodity è distruttivo. «La Pac si è posta fin dall’inizio un obiettivo che confligge con la nostra storia di alta qualità: abbassare i prezzi agricoli per contrastare i paesi emergenti. È un modello che non porta da nessuna parte e la storia l’ha dimostrato e che ripete piaghe come la sovrapproduzione e l’inquinamento portate dall’industrializzazione forzata».
«Non parlo del modello di produzione biodinamico, le nostre aziende producono ed esportano al 95% per Paesi che chiedono e pagano l’alta qualità. Oggi siamo qui per incidere sul modello di agricoltura e per uscire da questa situazione che distrugge i redditi dei produttori». Triarico ricorda che quando le aziende sono in crisi, arrivano risanatori insegnano a produrre meno e a indirizzare le produzioni verso mercati più remunerativi. «L’agricoltura italiana si basa sulla differenziazione, salvaguardiamo questo punto di forza che ci assicura un valore aggiunto per ettaro maggiore rispetto alla Francia anche se prendiamo contributi minori».
È questo esempio che spinge Triarico a raccomandare attenzione al modello da favorire. «è la dimostrazione la politica agricola, se sostenuta da scelte sbagliate, non crea valore». Il paradigma giusto secondo Triarico rimane dunque quello in grado di favorire gli sforzi in favore della qualità e dell’ambiente. «Nel paradigma smart vedo invece un po’ di classismo, perché la scuola smart è quella che esclude chi non ha il computer a casa e non può contare sulla presenza dei genitori ed è così anche per l’agricoltura smart che rischia di mettere fuori gioco chi non può contare su connessioni veloci».