Alluvioni, fortunali, grandinate, gelate fuori stagione. Negli ultimi due anni l’Italia è stata flagellata da eventi meteorologici estremi che hanno provocato danni pesantissimi nelle campagne. Le imprese agricole si sono ritrovate inermi, nonostante investimenti onerosi in sistemi di difesa attiva (reti antipioggia e antigrandine, drenaggio sotterraneo, irrigazione antibrina ecc.), tanto da considerare in alcuni casi anche l’idea di abbandonare certe aree coltivate, soprattutto se colpite da tre allagamenti distruttivi in 14 mesi, come successo in alcune zone dell’Emilia-Romagna, in pianura e in collina.
Negli anni gli agricoltori hanno investito per migliorare lo sgrondo delle acque, eliminando baulature e scoline interne, livellando a pendenza unica l’appezzamento unito e potenziando i fossi perimetrali, contribuendo al miglioramento della regimazione idrica, e non peggiorandola, come qualcuno ha assurdamente affermato.
Le imprese agricole non possono fare nulla per prevenire eventi estremi come alluvioni, esondazioni di fiumi e allagamenti.
Non possono neanche fare manutenzione degli alvei di fiumi e canali, se non espressamente autorizzati dagli organi demaniali territoriali. Se lo facessero per propria iniziativa, verrebbero sanzionati. E pensare che fino a 50 anni fa, gli agricoltori, garantendo una certa manutenzione, pagavano addirittura un canone annuale per poter “fare fieno e legna” dentro i fiumi.
Certamente alcune grandi opere idriche sono prioritarie: invasi in collina per la raccolta delle acque piovane dai ruscelli (e riutilizzo per fini irrigui), vasche di laminazione per un allagamento controllato, rinforzo degli argini e dragatura del fondo dei fiumi. Ma da sole queste opere non basteranno mai, perché necessitano dell’uomo che osservi quanto succede dal punto di vista climatico e adatti, di conseguenza, la strategia di gestione.
Anteprima di Terra e Vita 31/2024
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Gli agricoltori, come tutti coloro che vivono un territorio, sono i primi interessati perché tale luogo sia gestito con intelligenza e reso sempre più resiliente agli eventi climatici estremi, perché impatta sul loro lavoro, vita e sicurezza. Molti imprenditori agricoli sarebbero già attrezzati (e disponibili per un’integrazione di reddito) a manutenere canali e fiumi con trinciaerba e scavatori. Vivono in senso stretto a contatto con il territorio ogni giorno. Chi meglio di loro può monitorare, segnalare e collaborare alla gestione del territorio, non solo per evitare disastri come le alluvioni ma anche per renderlo accessibile e godibile per tutti?
Lo Stato e i suoi enti territoriali hanno evidenti difficoltà a monitorare accuratamente il vasto, capillare e diversificato territorio della nostra penisola.
Quindi, perché non cercare la collaborazione degli agricoltori per custodire il territorio? È di recente promulgazione anche una legge (la n. 24 del 28 febbraio 2024), che riconosce la figura dell’agricoltore come “custode dell’ambiente e del territorio”, con specifici compiti all’art. 2, tra i quali: manutenzione del territorio; salvaguardia del paesaggio agrario, montano e forestale; pulizia del sottobosco; cura e mantenimento dell’assetto idraulico e idrogeologico; difesa del suolo e della vegetazione da avversità atmosferiche e incendi boschivi. Perché non metterla a terra e istituire il registro degli agricoltori custodi?
Questa sarebbe l’unica strategia a vantaggio di tutti. Ci permetterebbe di non soccombere agli eventi climatici estremi e di poter continuare a godere della natura, rispettandola e custodendola.
di Gian Pietro Utili
Imprenditore agricolo, membro del Comitato tecnico-scientifico di Edagricole