Chicchi grandi come palline da tennis, l’inverno piombato fra filari, noccioleti e frutteti, dopo venti minuti di grandinata.
Le stime dei danni sono ancora in corso, dopo il nubifragio che il pomeriggio di giovedì 6 luglio ha colpito una zona di settanta chilometri quadrati fra Cuneese, Astigiano e Torinese. In attesa del computo definitivo la Regione ha giocato d’anticipo, chiedendo lo stato di calamità naturale e stanziamenti a favore delle aziende agricole.
Domenica 9 luglio, a Cortemilia, uno degli epicentri dell’area colpita, il presidente Alberto Cirio ha infatti incontrato i sindaci delle Unioni montane Alta Langa, Langa Astigiana e Roero. «Ѐ fondamentale, oltre a certificare le perdite, documentare la situazione prima delle operazioni di ripristino: gli incartamenti serviranno per gli indennizzi - ha spiegato il politico-, chiederemo l’accesso al Fondo di solidarietà nazionale, ma siamo già al lavoro per stanziare risorse regionali».
Tonda gentile nell’epicentro del disastro
Il tecnico Antonio Marino segue decine di noccioleti e vigneti fra Cuneese e Astigiano. «La situazione in campo è variegata: nelle aree di bordo le perdite di raccolto sono praticamente nulle, invece nelle zone colpite si arriva anche al 100 per cento dei frutti». Bosia, Cortemilia e Cravanzana, culla della Tonda gentile, sono i Comuni più colpiti: qui i noccioli, «oltre a esser stati completamente defogliati hanno fino all’85 per cento della superficie corticale lacerata. Impianti di 4-5 anni dovranno essere ceppati e riavviati da zero: le piante non saranno in grado di rimarginare le ferite o, se lo faranno, andranno comunque incontro a infezioni da citospora».
Le situazioni più difficili si hanno sui crinali delle colline «interessati dai fenomeni più violenti, per via delle correnti d’aria». I chicchi hanno disintegrato la cupola dei frutti e, in alcuni casi, raggiunto il peduncolo di quelli rimanenti: «Queste nocciole sono destinate a essiccarsi e cadere a terra in pochi giorni». Assieme alle foglie sono stati compromessi anche gli amenti, che le piante iniziano a sviluppare per la prossima stagione vegetativa. Il calore seguito al temporale non ha aiutato, «compromettendo ulteriormente le lesioni, sulle quali si interviene con trattamenti di rame».
Viti defogliate da Barbaresco alle altre denominazioni del Roero
Panorama analogo anche per le viti. In questo caso è più lungo l’elenco dei Comuni coinvolti: i vigneti delle denominazioni roerine a Montà e Vezza, ovvero rossi, bianchi e moscato fra Alba, Barbaresco, Diano d’Alba, Mango Neviglie e Cossano. Prosegue Marino: «Dove i fenomeni sono stati più intensi le foglie mancano del tutto, il tralcio, ormai legnificato, lesionato e i grappoli staccati».
Il destino della quota restante della produzione è legato all’andamento climatico, in caso di persistente umidità, «i grappoli verranno distrutti dalla muffa grigia». Ai danni diretti si sommano quelli indiretti: «I chicchi hanno compromesso le gemme che serviranno per la prossima stagione e non è detto che si possa recuperare con le operazioni di potatura». La reazione delle viti al nubifragio si vedranno solo nelle prossime settimane: «Per quindici giorni le piante rimarranno ferme, in seguito inizieranno a ricacciare qualche germoglio».
Madernassa, Abate e albicocche bersagliate
Da Guarene, borgo nel cuore dell’areale frutticolo roerino viene la testimonianza di un produttore della pregiata cultivar di pera Madernassa (prodotto a marchio Igp): «L’ottanta per cento del raccolto non è più commercializzabile.
La chioma folta di alcuni alberi ha salvato qualche pera, mentre sugli esemplari più giovani anche il legno è stato intaccato: dovremo vedere quali saranno gli effetti sulle gemme per la prossima stagione». La cella temporalesca, partita dal centro di Poirino, ha distrutto anche il raccolto del cultivar Abate e le albicocche nei Comuni limitrofi: «La peggio l’hanno avuta i vigneti in collina».
La grandine è l’ultimo tassello di una stagione partita all’insegna delle gelate tardive di aprile, che avevano decimato i fiori, «caduti dopo l’allegagione. Le prospettive tuttavia erano buone, perché le pere erano di buona pezzatura e richieste, mancando quelle dall’Emilia».