Chi percorre l’autostrada Palermo-Catania si trova di fronte a un paesaggio di morte e desolazione. Di questi tempi, in passato, il giallo oro delle spighe di grano riempiva gli occhi di gioia. Oggi è tutti scuro, bruciato. Non dal fuoco, ma dalla siccità. Le piante non sono cresciute, l’accestimento è stato scarsissimo e sui culmi poche spighe con solo uno-due-tre semi striminziti.
A Libertinia, l’azienda agraria sperimentale del Crea-Ci (cerealicoltura e colture industriali) posta a metà strada tra Enna e Catania, nelle parcelle sperimentali solo steli secchi che portano poche spighe praticamente vuote. «Questo è il primo anno in cui non faremo la trebbiatura – dice sconsolato Nino Virzì, ricercatore del Crea e responsabile dell’azienda Libertinia –. A non raccogliere i cereali non siamo i soli: la situazione è simile in tutto l’areale catanese ed ennese».
I numeri, al momento, con la mietitrebbiatura appena iniziata negli areali a più bassa quota, sono ballerini, ma in ogni caso sconfortanti: in Sicilia a causa della siccità si prevede un taglio nelle rese compreso tra il 70 e il 90%. Del resto ci sono zone dove non piove da un anno. Altre - come Libertinia - dove sono piovuti solo 100 millimetri: «Un vero e proprio record negativo» osserva Virzì.
Senza ristori agricoltori sul lastrico
In provincia di Caltanissetta la situazione è disperata. Gli agricoltori sono praticamente alla canna del gas. I bilanci aziendali (e familiari) non tengono piú. Fanno i conti con le spese che hanno sostenuto, con i ricavi che non ci saranno e con i risparmi che stanno ormai per finire. Dopo avere raschiato il fondo del barile, rimane solo la speranza di un aiuto straordinario.
«Senza ristori adeguati impossibile restare a fare agricoltura da reddito e presidiare il territorio per la sicurezza di tutti» avverte Giovanni Gioia, presidente nazionale di Anga e titolare di un’azienda cerealicola a Marianopoli nel Nisseno, dove, in assenza del grano da raccogliere, la mietitrebbia aziendale non è stata nemmeno regolata. «Non si possono fronteggiare calamità così devastanti con gli strumenti esistenti – sottolinea il giovane imprenditore di Confagricoltura – è necessario mettere in campo misure eccezionali che aiutino davvero gli agricoltori a venire fuori da questa crisi. Sistemi semplici che evitino di imbrigliarci in metodi cervellotici finalizzati alla dimostrazione della perdita di reddito. Inutile girarci intorno: quest’anno non si emetteranno fatture di vendita perché non abbiamo prodotto da vendere e non ci sarà reddito per molti».
Giuseppe Li Rosi, presidente di “Simenza” – Cumpagnìa Siciliana Sementi Contadine” l’aggregazione di agricoltori, allevatori, trasformatori, ricercatori e professionisti nata nel 2016 con l’obiettivo di tutelare e valorizzare il vastissimo patrimonio dell’agrobiodiversità siciliana scuote la testa: «Nell’entroterra ennese, dove insistono i miei campi e quelli di molti soci di Simenza, siamo di fronte a una vera e propria desolazione. Le mietitrebbie resteranno nei capannoni: il raccolto è così scarso che non si possono recuperare nemmeno le spese del contoterzista».
Li Rosi però ammette che, per quanto basse siano quelle dei suoi campi (a malapena arriverà al 10% della produzione standard) procederà comunque alla trebbiatura: «Il progetto dei miscugli evolutivi che da anni porto avanti con numerosi soci non può e non deve fermarsi. Il poco che raccoglierò servirà a mettere in risalto quei genotipi più resilienti che sono riusciti a superare anche questa crisi climatica».
Subirrigazione anche per il grano
La scure della siccità che si è abbattuta sulla cerealicoltura siciliana porta Pietro Di Marco, presidente della coop Pro.bio.si a riflettere su come approcciare il futuro. Tanto da non escludere l’ipotesi di adottare per i grani duri che hanno mercato (antichi e bio) la subirrigazione. È come infrangere un tabù: l’acqua è un bene prezioso e finora è stata riservata a colture più redditizie.
Ma di fronte allo spettro dell’abbandono (molti hanno già deciso di non seminare più) Di Marco non ha dubbi: «dobbiamo rivoluzionare il nostro modo di pensare la cerealicoltura siciliana puntando alla trasformazione in loco e chiudendo in Sicilia la filiera. E chi ha avuto la possibilità di realizzare in passato laghetti e vasconi fuori alveo o potrà farlo in futuro in zone dove si è sempre coltivato in asciutto, deve cominciare a pensare come usare al meglio anche piccole quantità di acqua, che oggi più che mai rimane la risorsa più preziosa per l’agricoltura».
Manuela Morello, titolare dell’azienda “Acque di Palermo” a Roccapalumba che si trova sulle basse Madonie sta per iniziare la raccolta ma non è per niente ottimista: «Le rese dei miei campi sono prossime a 4/5 quintali per ettaro. C’è chi fa di più, ma non supera un terzo delle produzioni abituali».
Ma c'è chi è riuscito a cavarsela
Pare abbiano fatto meglio le varietà a ciclo più lungo, ma, almeno nella Sicilia occidentale (Palermo, Agrigento e Trapani) sono stati tre parametri ad influire più di tutto: altitudine, esposizione e tipo di suolo. Biagio Randazzo, agronomo titolare di azienda sementiera e breeder, sostiene che nelle zone al di sopra dei 700 metri ed esposte a Nord, il calo delle rese non sarà praticamente apprezzabile anche perché le coltivazioni sono riuscite a fare tesoro delle scarse piogge di aprile.
«Al di sotto dei 500 metri di altitudine e soprattutto nelle zone esposte a Sud – spiega Randazzo – sono bastati i quattro-cinque giorni di aprile in cui ha soffiato lo scirocco per mandare all’aria la produzione». Secondo il tecnico, sulle rese ha influito parecchio anche l’epoca di semina. Da questa, infatti, è dipeso lo stato della coltura in corrispondenza del verificarsi delle poche piogge. Le semine precoci, a quanto pare, hanno permesso alle piante di sfruttare al meglio anche qualche millimetro di pioggia. «Poi ci sono da considerare anche gli effetti fitotossici dei diserbi che hanno amplificato le conseguenze provocate dalla siccità».
Insomma, ottenere rese soddisfacenti quest’anno è come prendere un terno al lotto. C’è voluta fortuna per azzeccare varietà adatte ed epoca di semina. Ma c’è chi anche questa volta il terno non lo ha mancato. Nella zona di Corleone e Roccamena, nell’entroterra palermitano, anche in questo annus horribilis i suoli profondi e argillosi faranno come sempre la differenza. Ci saranno rese ridotte (previsti 50 quintali a ettaro a fronte degli usuali 70-80), ma pur sempre accettabili rispetto a chi non potrà recuperare nemmeno le spese per la semina e la coltivazione.