La categoria dei biostimolanti è stata a lungo oggetto di numerose e vivaci discussioni, soprattutto per l’aspetto che riguarda il loro inquadramento normativo.
In qualità di Presidente del Gruppo Fertilizzanti Specialistici di Assofertilizzanti – l’Associazione di Federchimica che rappresenta i produttori di fertilizzanti in Italia - ho ritenuto opportuno cogliere l’importante occasione del forum per presentare la nostra visione sulla tematica.
Cosa sono
I biostimolanti appartengono alla categoria dei “fertilizzanti”, cioè prodotti per la nutrizione vegetale. L’Associazione ha ritenuto opportuno chiarire questo concetto perché, agli occhi di molti, i biostimolanti vengono ancora erroneamente considerati come prodotti “dual use”, ovvero come prodotti in grado di poter svolgere contemporaneamente funzioni di difesa e nutrizione delle piante. Il nuovo Regolamento europeo dei fertilizzanti, attualmente ancora in discussione, chiarisce bene che la “doppia funzione” non si riferisce al prodotto, bensì alla sostanza componente che, a seconda delle dosi e modalità di utilizzo, può alternativamente svolgere funzione di nutrizione o funzione di difesa. Le due finalità, non si sovrappongono mai.
Ad alimentare i dubbi sui biostimolanti ci sono anche i classici luoghi comuni sui fertilizzanti, a cui si attribuisce il solo compito di somministrare nutrienti alle piante. La nutrizione vegetale, invece, rientra in un’accezione più ampia dal momento che la fertilizzazione è una qualsiasi pratica finalizzata a migliorare lo stato nutrizionale della pianta, indipendentemente dal tenore di nutrienti contenuti nel prodotto (biostimolazione compresa).
Ad ogni modo i biostimolanti trovano una precisa collocazione nella normativa nazionale dei fertilizzanti – per la precisione nella tabella 4.1 dell’Allegato 6 del D.Lgs. 75/2010 – il cui elenco è stato aggiornato nel corso degli anni da 3 Decreti del Mipaaf (l’ultimo risale al 2015).
E a cosa servono
Chiarito cosa sono, dobbiamo dire adesso a che cosa servono. Oramai è universalmente riconosciuto che lo scopo di questi prodotti è quello di stimolare i processi nutrizionali delle piante, con lo scopo di migliorare le caratteristiche qualitative delle colture, l’efficienza d’uso dei nutrienti e la tolleranza agli stress abiotici (quindi pioggia, freddo, siccità, ecc…).
La norma nazionale di settore conferma questa impostazione. Tra l’altro i biostimolanti non godono nemmeno di una definizione tutta loro, in quanto la devono condividere con altre tipologie di prodotti che rientrano all’interno di una grande famiglia definita “prodotti ad azione specifica”, che viene così definita: prodotti che apportano ad un altro fertilizzante o al suolo o alla pianta, sostanze che favoriscono o regolano l’assorbimento degli elementi nutritivi o correggono determinate anomalie di tipo fisiologico, i cui tipi e caratteristiche sono riportati nell’allegato 6 (tratto dall’articolo 2 del D.Lgs. 75/2010). Con il nuovo anno, però, i biostimolanti dovrebbero acquisire un’identità propria (si veda il riquadro).
Nuova normativa in arrivo
Con il nuovo anno i biostimolanti dovrebbero acquisire un’identità propria, grazie ad una nuova normativa europea sui fertilizzanti che annovererà questi prodotti tra quelli che potranno fregiarsi del marchio CE. La Commissione europea, tra l’altro, per fugare ogni dubbio sulla destinazione d’uso di questi prodotti, propone di inserire nel nuovo Regolamento europeo dei fertilizzanti una definizione ancora più chiara e incontrovertibile e, al contempo, adotterà un emendamento che escluda a chiare lettere i biostimolanti dal campo di applicazione degli agrofarmaci (ovvero il Regolamento CE 1107/2009) circoscrivendo il perimetro normativo e l’ambito di applicazione di tali prodotti.
di Lorenzo Gallo (assofertilizzanti)