Il 78% degli italiani teme la perdita di potere di acquisto, mentre per il 55% la priorità è contenere il prezzo dell'energia. E l’85% dice no alla carne sintetica. Sono alcuni dei risultati del rapporto Censis-Assica-Unaitalia “Per il buon uso del recovery fund nel rilancio delle filiere della carne” presentato alla sala Stampa Estera a Roma in occasione dell’evento: “Scenari e Prospettive della filiera carne. Attese dei consumatori italiani, prospettive e sfide dei settori avicolo e suinicolo tra Recovery fund, sostenibilità, rincari di energia e materie prime”.
Lo scenario attuale: la crescita dei costi di produzione mette a dura prova il settore avicolo e suinicolo
La crescita dei costi di produzione, a partire da quelli della fase zootecnica che nei primi due mesi del 2022 registrano un +12,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, passando per quelli di energia e gas quadruplicati nel 1° bimestre dell’anno in corso rispetto allo stesso periodo 2021 e per tutti i cosiddetti costi accessori di produzione (plastica, pallet, cartoni, trasporti ecc.), mette a dura prova il settore avicolo e quello suinicolo che fanno i conti anche con le conseguenze della crisi ucraina e l’impegno verso una transizione ecologica in linea con le richieste dell’Ue e del Green Deal.
Garanzie al settore agroalimentare lungo tutta la filiera
È ora più che mai necessario, sostengono Assica e Unitalia, dare garanzie al settore, che sta pagando i rincari dei prezzi delle materie prime e dell’energia, e rischia di dover ridimensionare attività e occupati se dovesse innescarsi una brusca riduzione dei consumi. Abbiamo bisogno che le istituzioni ci aiutino a garantire cibo per tutti, a prezzi sostenibili, con minore impatto ambientale. Per farlo il pilastro è la sostenibilità economica e sociale delle nostre imprese. Altrimenti non c’è partita.
Sostenibilità sì, ma non a tutti i costi
Il rapporto evidenzia come la maggioranza degli italiani consideri la carne parte integrante della propria alimentazione, sia attento alla sostenibilità purché senza maggiori costi e tema di perdere capacità di acquisto. Per questo, la transizione ecologica – secondo Assica e Unaitalia - deve essere ben programmata, per evitare di mettere a rischio due comparti strategici dell’agroalimentare da 13,9 miliardi di euro e 93.900 addetti, che assicurano ogni giorno beni di prima necessità ai cittadini. Ma anche per evitare che l’inflazione (a marzo +6,7% su base annua - stime Istat) e i costi della transizione si ripercuotano sui consumatori che – come emerge dal rapporto – sentono già minacciato dalle emergenze il proprio potere di acquisto (78%).
Il 94,5% ritiene necessario dare molta più attenzione alla sostenibilità sociale ampiamente intesa, come benessere delle persone e condizioni dei lavoratori. Per il 63,6% degli italiani, infatti, prima di passare alle energie verdi e rinnovabili occorre valutarne il costo per imprese e famiglie. E per il 54,9% oggi la priorità è contenere il prezzo dell’energia.
«Stringere i tempi e attuare interventi di emergenza per sostenere i consumi»
Le filiere della carne vogliono e devono essere parte integrante della transizione ecologica e le associazioni che rappresentiamo lavorano sempre più in collaborazione per favorire tutte le sinergie utili in questa delicata fase storica - sostengono i presidenti di Assica e Unaitalia, Ruggero Lenti e Antonio Forlini –. Quella della sostenibilità è una strada intrapresa da tempo dai nostri comparti e su cui ad oggi le aziende associate hanno già effettuato ingenti investimenti con fondi privati e avviato progetti come Made Green in Italy per certificare in etichetta le aziende che producono carne suina in modo sostenibile. Occorre ora stringere i tempi e attuare interventi di emergenza per sostenere i consumi e alleggerire i costi di produzione, salvaguardando la marginalità delle imprese.
Valutare impatto della From Farm to Fork e posticipare nuova Pac
Per Unaitalia e Assica occorre una seria e approfondita valutazione dell’impatto della strategia From Farm to Fork, che secondo alcuni studi internazionali provocherebbe un crollo della produzione alimentare Ue fino al 25% e un’ulteriore esplosione dei prezzi dei beni alimentari di prima necessità. «Appoggiamo il ministro Patuanelli sulla proposta di posticipare di un anno la data di entrata in vigore della nuova Pac (1° gennaio 2023) – dichiarano i due presidenti - che non tiene conto di uno scenario totalmente mutato».
Forlini: «L'Europa non imponga misure miopi»
«È fondamentale che l’Unione Europea non imponga misure miopi – dichiara il presidente di Unaitalia, Antonio Forlini – che mettano a rischio produzioni come quella delle carni avicole che oggi risultano le più consumate dagli italiani e in Ue. Riducendo la produzione metteremmo a rischio un settore oggi totalmente Made in Italy e autosufficiente al 107,5%, in un momento in cui occorre invece rafforzare la sovranità alimentare europea e salvaguardarsi dal rischio di import da Paesi terzi che non hanno i nostri standard in tema di benessere animale e sicurezza alimentare»
Lenti: «Convocare tavolo di filiera e coinvolgere anche la grande distribuzione»
«La guerra ha peggiorato una condizione per le imprese già emergenziale: l’aumento dei costi di produzione di tutti gli anelli della filiera, aggravato dalle difficoltà di approvvigionamento, rischia di far lievitare una pericolosa spirale inflattiva - dichiara il presidente di Assica Ruggero Lenti -. A questo si aggiungono la minaccia della Psa, malattia veterinaria che espone a rischio gli allevamenti suinicoli e compromette l’export verso Paesi Terzi, e la scarsa chiarezza sull’applicazione del nuovo DLgs in materia di pratiche sleali, che rischia di reintrodurre dalla finestra le cattive abitudini di pagamento che tanto faticosamente erano state allontanate con l’articolo 62, rischiando così di aggiungere ulteriori oneri finanziari alla già difficile situazione economica delle aziende.
Mai come oggi, appare dunque prioritaria la convocazione del tavolo di filiera suinicola che coinvolga rappresentanti del mondo mangimistico e della Gdo, già richiesto l’11 marzo scorso e sul quale attendiamo rassicurazioni dal ministro Patuanelli».
Il rapporto Censis
La carne, punto fermo nella dieta degli italiani
Secondo i dati del Censis, le reiterate campagne denigratorie sulla carne non scalfiscono il buonsenso degli italiani: l’82,5% dichiara esplicitamente che la giusta quantità di carne bianca e rossa è componente fondamentale di una buona dieta, perché parte della dieta mediterranea. E il 64,9% non si fa condizionare da eventuali informazioni negative o fake news sul tema.
«La reiterazione incessante di semplificazioni e infondatezze su produzione e consumo di carne – afferma il dg Censis Massimiliano Valerii - non fa breccia nel corpo sociale, e ne sono più impermeabili i giovani (67,9%) ed i laureati (67,3%). Di fatto, la maggioranza degli italiani si è formata una propria idea sulla produzione e consumo di carne che resiste ai condizionamenti esterni ed alla proliferazione di informazioni negative. Così, il 61,3% è contrario all’idea che si debba smettere di produrre carne e chiudere gli allevamenti perché così si salverebbe il pianeta dal riscaldamento globale: il 30,6% la considera una delle tante fake news che circolano sul settore e per un ulteriore 30,7% è una minaccia perché si colpisce un intero settore e un alimento importante. Solo il 25% - conclude Valerii - ritiene veritiero il nesso tra allevamenti e produzione di carne e riscaldamento globale, mentre il 13,7% non ha una opinione precisa in merito».
Oggi il 96,5% dei cittadini dichiara di mangiare carne, di cui il 45,9% regolarmente ed il 50,6% di tanto in tanto. Gli italiani sono inoltre consapevoli che la filiera della carne si è evoluta e modernizzata: nessuno è convinto di mangiar carne con le stesse caratteristiche di quella di 30 anni fa. A sorpresa, a mangiare con regolarità carne sono soprattutto i giovani (62,8%) con quota più alta di quella di anziani (30%) e adulti tra i 35 e il 64 anni (47,7%).
I consumatori bocciano i cibi sintetici
No alle presunte alternative. Per il 79,9% degli italiani la carne fatta con prodotti vegetali non può essere considerata carne: per questo vogliono che siano proposti chiaramente come prodotti distinti e diversi da quelli della carne. Lo sforzo promozionale per la carne prodotta in laboratorio – secondo Censis – non conquista quindi gli italiani: l’85,6% dichiara di non volere cibi fatti in laboratorio, ma da agricoltura e allevamenti tradizionali. Altra alternativa che non convince sono gli insetti, con l’83,9% che non è disposto a mangiarli.
Etichettatura chiara e trasparente
Gli italiani non vogliono ambiguità lessicali e informative: per il 93,4% occorre sempre distinguere in modo inequivocabile nelle etichette i prodotti di carne da animali allevati in modo tradizionale e quelli di carne sintetica creata in laboratorio. Importante l’economia circolare: il 90,5% valuta positivamente le imprese e i prodotti che utilizzano materiali che possono essere recuperati e riciclati. Un fattore comune a tutti i livelli d’istruzione è infine conoscere la provenienza della carne che si consuma e il benessere animale: il 94,1% per i prodotti della carne vuole indicazioni su provenienza e trattamento degli animali, indipendentemente dal titolo di studio.
Al primo posto la sostenibilità economica
«La ricerca - spiega Valerii, - mette in evidenza come gli italiani apprezzino le produzioni sostenibili ma che la priorità per loro è il benessere: bloccare il caro energia e preservare la capacità di acquisto. Se sostenibile vuol dire meno benessere allora gli italiani non ci stanno. Il 67,9% ritiene prioritaria la tutela del benessere economico e sociale rispetto alla sostenibilità ambientale. Diffuso il pragmatismo tra i giovani, dove la percentuale sale al 75,3%. Certamente sono idee condizionate dagli avvenimenti in corso, considerato che per il 75,3% degli italiani bisognerà abituarsi a nuove emergenze nel futuro».
«Dai dati dell’indagine emerge - conclude Valerii - che gli italiani sono pronti a cambiare abitudini solo se i benefici saranno superiori ai costi: ci si adatterà a uno stile alimentare più sostenibile purché non incida negativamente sul proprio benessere e sulla capacità di spesa».
Come si può non commentare questo articolo ?? , anche se è probabile che il commento non sia pubblicato come spesso accade.
Basta leggere qualche frase come ” è più importante il benessere economico che l’ambiente” per capire quanto è profondo il miopismo di chi scrive o chi ha fatto la ricerca. Senza ambiente sano e produttivo non esiste materia prima da dare agli animali.
Sarebbe utile conoscere anche i dati di chi ha risposto, perchè nutro molti dubbi che i giovani siano quelli che più hanno risposto in questo modo.
Si parla di 107% di autoproduzione ma siamo qui tutti a dire che a causa degli aumenti delle materie prime il settore è a rischio. E’ a rischio perchè non c’è più nessuna connessione tra campagna e allevamento. Perchè ci sono allevamenti industriali fuori misura senza avere l’autonomia di produzione delle materie prime. Quindi non ci vuole nessun studio particolare ma basta questo per definire il sistema attuale NON SOSTENIBILE.
Si scrive che la gente vuole vedere l’etichetta chiara, ma la chiarezza è sapere tutta la filiera da dove viene e da che tipo di allevamento arriva, non se è sintetica o meno.
NB: perché non fate un servizio che avvisi quando viene pubblicato il commento e le relative risposte ??
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