Anno bisesto, anno fuori sesto. Dopo la prolungata anomala siccità invernale cadono proprio in questi giorni, come da copione, le attese precipitazioni: intense, disordinate, erosive ma probabilmente insufficienti a rimpinguare falde acquifere nel frattempo fortemente compromesse. Gli imprenditori agricoli, ormai avvezzi a guardare con crescente perplessità alle sempre più frequenti anomalie climatiche, possono reagire in due modi. Indugiare nella superstizione, prendendosela con Giove pluvio o con le dicerie popolari sugli anni bisestili accusati da sempre di mancanza di regolarità, armonia, legge e misura. Oppure reagire con logica e coscienza, coltivando la propensione all’innovazione e migliorando il proprio grado di conoscenza. Anche perchè il global warming amplifica gli eventi meteorologici negativi ad una frequenza ben superiore a quella riscontrata fino ad alcuni lustri or sono.
Basta ricordare quello che è capitato nel nostro Paese negli ultimi 15 anni: ad annate caratterizzate da periodi primaverili ed estivi particolarmente freschi e piovosi come il 2002, 2005, 2006, 2010 e 2014 si sono alternati millesimi caldi e siccitosi quali il 2003, 2007, 2011, 2012 e 2015. L’osservazione del cielo (e dei bollettini meteo) sembra essere tornata a incidere almeno quanto la politica agricola comunitaria o l’andamento dei mercati sulle scelte colturali. I problemi maggiori si registrano però sulle colture arboree pluriennali come la vite.
Qui la tecnica colturale si deve adeguare con il massimo grado di flessibilità ai cambiamenti climatici. Prestando la massima attenzione alla pressione dei patogeni, al controllo della vigoria delle piante e allo sgrondo delle acque in eccesso dai terreni nelle annate piovose. O viceversa applicando un accurato controllo dei processi di maturazione dell’uva nel corso delle annate siccitose attraverso misure di tipo “mitigativo”. A tal fine possono essere utilizzate tecniche colturali messe recentemente a punto quali la defogliazione in post-invaiatura della porzione medio-alta della chioma, l’applicazione tardiva di anti-traspiranti e la cimatura tardiva dei germogli. Tecniche che hanno il vantaggio di poter essere usate solo in caso di conclamata necessità, ovvero se il decorso della maturazione si presenta particolarmente accelerato.
Un’ulteriore tecnica, semplice ed economica, che sta fornendo risultati interessanti è quella del rinvio dell’epoca di potatura invernale a dopo il germogliamento. Recentemente, per migliorare il feeling dei viticoltori con questa pratica colturale, è stata valutata la possibilità di rinviare a germogliamento già avvenuto la rifinitura manuale di piante pre-potate meccanicamente in inverno (i risultati saranno divulgati su Terra e Vita nelle prossime settimane).
Un caso esemplare che mostra come la tecnica agricola non debba rassegnarsi alla dittatura dell’abitudine e della tradizione nemmeno per una pratica apparentemente acquisita come la potatura. Sull’olivo, proprio in questi mesi, il confronto/scontro tra favorevoli e contrari a interventi più o meno drastici di potatura (in chiave anti-Xylella) è debordata sulle pagine della cronaca giudiziaria. E anche sulla vite si è acceso negli ultimi tempi un interessante e costruttivo confronto tra i fan della potatura meccanica e la nouvelle vague della potatura “naturale”.
Il messaggio di assecondare la naturale attitudine della vite alla ramificazione anche in forme costrette come il cordone speronato (metodo Simonit&Sirch), per allungare la vita produttiva della pianta e e contenere le malattie del legno sembra essere rivoluzionario sia per i contenuti che per la formula espressiva (anche se in realtà le prime esperienze risalgono alla fine del XIX secolo).
Il problema è che la vite, come il clima, è in rapida evoluzione: cambiano le forme di allevamento e il cordone speronato sta perdendo terreno in svariate aree vitivinicole: in agricoltura l’unico metodo destinato a durare è quello scientifico.
di Alberto Palliotti
Università degli Studi di Perugia