Torna alla ribalta, dopo quasi sette anni dal Dm. 12/12/2009, il discusso sistema per la tracciabilità dei rifiuti, con un nuovo decreto ministeriale che resuscita il Sistri.
Il provvedimento spegne ogni speranza di norme chiare e di facile applicazione, speranza più che legittima visto il palese insuccesso della prima versione.
Traspare dal testo il malvezzo delle scatole cinesi, con innumerevoli rimandi legislativi, sovrapposizioni fra vecchio e nuovo, e con il timore di una riproposizione di quelli che furono i punti deboli del decreto del 2009.
Il giudizio da parte delle categorie interessate è piuttosto critico: remake delle vecchie norme, complicazione burocratica – la parte relativa alle attività di manutenzione è stata svuotata dei contenuti innovativi introdotti dal testo unico ambientale – incertezza sull’ambito di applicazione e soprattutto, un costo eccessivo, interamente a carico delle imprese.
Da parte del governo è mancata una coraggiosa ammissione del palese fallimento del vecchio Sistri, a dispetto dei costi sostenuti da parte della pubblica amministrazione e delle procedure non proprio trasparenti, tuttora sotto l’occhio della magistratura.
Sul piano opposto, il decreto rappresenta comunque un segnale di buona volontà per arrivare alla tracciabilità dei movimenti di rifiuti, almeno nella parte “professionale” della filiera.
Ma mancano ancora tante cose: in primo luogo i decreti attuativi, che si spera non raggiungano il volume dell’altra volta, oltre al fondamentale aspetto di chi gestirà il nuovo sistema; in proposito dovrà essere indetta un’apposita gara di appalto per cancellare le tante ombre del passato.
Resta forte il timore che il “nuovo Sistri” serva soprattutto per fare cassa (come è accaduto nella prima versione), senza fornire un servizio reale alla collettività, che dovrà accollarsi i servizi di gestione e smaltimento dei rifiuti: più il Sistri è costoso per le imprese coinvolte, più lo sarà per i cittadini che devono ricorrervi.
Nel corso della lunga vicenda era stato promesso un nuovo applicativo, più semplice e funzionale, ma dal testo del decreto sembra che si dovrà per forza utilizzare il vecchio sistema che – è utile ricordarlo – serve solo allo Stato ma non alle imprese, non essendo un software gestionale.
Forse sarebbe stato più opportuno progettare un sistema di tracciabilità interconnesso con i software commerciali per la gestione dei rifiuti, che si occupasse solo della raccolta, della validazione e del trasferimento dei dati che realmente interessano al ministero dell’Ambiente.
L’evoluzione della normativa ha nel frattempo escluso dal proprio ambito i produttori di rifiuti non pericolosi e le imprese di piccole dimensioni – prime fra tutte le aziende agricole – riducendo di fatto la platea dei soggetti interessati e di conseguenza il numero degli accessi al sistema, vero punto debole del vecchio Sistri.
Non ci vorrebbe molto, crediamo, a sviluppare una piattaforma informatica efficace e interattiva, che consenta di dare piena tracciabilità ai rifiuti potenzialmente più pericolosi per l’ambiente: una prova importante per un esecutivo che ha fatto del superamento del digital divide la propria bandiera.
di Roberto Guidotti
Unima - Unione Nazionale Imprese di Meccanizzazione Agricola