Clorati e perclorati sono sempre più presenti nelle analisi multiresiduali sui prodotti vegetali. Entrambe le sostanze sono anioni inorganici inodori, incolori e molto stabili a temperatura ambiente. Il clorato ha origine dai sali di cloro derivati dall’acido clorico, mentre il perclorato proviene dai sali dell’acido perclorico.
Le fonti principali
Il clorato è sempre associato alle attività umane come sottoprodotto residuale nella purificazione dell’acqua per il trattamento e la pulizia nell’industria alimentare e nella disinfezione degli alimenti di origine vegetale. In passato veniva utilizzato in alcuni prodotti fitosanitari, attualmente vietati nell’UE ai sensi della decisione n.2008/865/Ce della Commissione. La fonte principale di clorato nella dieta è l’acqua potabile. I perclorati sono contaminanti di origine naturale e antropica presenti nell’ambiente. A causa del loro forte potere ossidante gli impieghi dei perclorati nell’industria sono diversi: possono essere impiegati in campo militare, ma anche nella produzione di materiali a contatto con gli alimenti (Moca) come additivi o sostanze ausiliarie di polimerizzazione. Sono stabili e solubili in acqua, quindi possono essere presenti nell’acqua, nel suolo e, assorbiti dalle piante, finiscono per contaminare gli alimenti, in particolare frutta e verdura. La contaminazione da perclorati degli alimenti di origine vegetale è spesso associata all’uso di fertilizzanti inorganici derivanti dalla loro naturale presenza nelle materie prime utilizzate per la loro produzione. Inoltre, il perclorato è uno dei prodotti di degradazione originati dai disinfettanti clorurati utilizzati per il trattamento delle acque. Potrebbe anche formarsi da reazioni fotochimiche nell’atmosfera e rilasciato da alcuni prodotti fitosanitari contenenti cloro.
Articolo pubblicato sulla rubrica L’occhio del Fitopatologo di Terra e Vita
Abbonati o accedi all’edicola digitale
Il parere dell’Efsa
Nel 2020 sono stati fissati nuovi limiti per la presenza di clorati e perclorati nelle diverse tipologie di alimenti (Reg. Ue 2020/749 della Commissione e Reg. Ue 2020/685 della Commissione). L’Efsa ha evidenziato che i clorati e i perclorati possono, entrambi, avere un effetto negativo per la salute umana, in particolare sono in grado di ridurre l’assorbimento di iodio da parte della ghiandola tiroidea, causando una ridotta produzione di ormoni tiroidei e ipotiroidismo. Secondo le nuove norme la quantità massima autorizzata di perclorati è stata fissata a 0,05 milligrammi per chilo di frutta o verdura, a 0,10 milligrammi per le Cucurbitaceae e i cavoli ricci (zucchine, cetrioli, meloni, angurie ecc.), a 0,5 mg/kg per gli ortaggi a foglia e le erbe. Infine, il tè essiccato (Camellia sinensis) e le infusioni a base di erbe e frutta essiccate potranno contenerne un massimo di 0,75 mg/kg.
Articolo pubblicato sulla rubrica L’occhio del Fitopatologo di Terra e Vita
Abbonati o accedi all’edicola digitale
Cosa fare per ridurli
Per ridurre i potenziali residui di clorati e perclorati negli ortofrutticoli è necessario controllare scrupolosamente tutte le operazioni della filiera: scegliere fertilizzanti a bassissimo contenuto di cloro-residui; controllare il contenuto di composti clorati nelle acque di irrigazione e di lavaggio; utilizzare solo prodotti fitosanitari registrati e regolarmente acquistati ecc. Nella difesa fitosanitaria è fondamentale non “improvvisare” e/o utilizzare ricette “miracolose” con prodotti disinfettanti a base di cloro. Questi possono non solo essere dannosi per le piante (fitotossicità, alterazioni dei microbiomi ecc.), ma possono risultare particolarmente pericolosi per gli utilizzatori e per i consumatori finali.
Misurare i residui
Per residui di prodotti fitosanitari si intendono le quantità minime di sostanze chimiche che possono rimanere nella coltura in seguito all’applicazione degli stessi. Il residuo può essere costituito dalla sostanza attiva di partenza, dai prodotti di degradazione oppure dalla combinazione di entrambi. L’analisi multiresiduale è un’analisi complessa che ricerca un elevatissimo numero di molecole (analiti). Per i vegetali viene utilizzato il metodo Quick Easy Cheap Effective Rugged e Safe. Le tecniche strumentali maggiormente utilizzate sono la gascromatografia e la cromatografia liquida con detector massa, che consentono di rilevare concentrazioni di principi attivi molto basse. I residui sono normalmente espressi in mg/kg, ovvero milligrammi di sostanza in un chilogrammo di prodotto agricolo (parti per milione (ppm). Il livello più basso di un residuo che può essere misurato in maniera affidabile rappresenta il limite di quantificazione (LQ) del metodo; il limite di rilevazione (LR) rappresenta, invece, il più basso livello di residuo rilevabile. Un prodotto si definisce a “Residuo Zero” quando i residui sono inferiori o uguali a 0,01 mg/kg (10 ppb). Tale soglia è intesa come il limite di quantificazione analitica attualmente proposto dai laboratori di prova più qualificati. Oggi l’analitica di laboratorio è in grado di individuare residui mille volte inferiori al limite di rilevabilità fissato per legge a 0,01 mg/kg.