Il modo di guardare al suolo e alla produzione agricola sta cambiando profondamente. Oggi non possiamo più considerare gli organismi viventi come entità isolate: ogni forma di vita è sostenuta da una rete invisibile di microrganismi — il microbioma — che ne influenza salute, funzionalità e capacità di adattamento. Nel suolo, ad esempio, possono essere presenti fino a 10.000 specie microbiche differenti per grammo e 10⁹–10¹⁰ cellule microbiche/g, un patrimonio invisibile e determinante. È qui che entra in gioco il concetto di olobionte, non ancora comunemente impiegato, ma riconosciuto come concetto innovativo per descrivere la cooperazione tra un organismo e il suo microbioma.
Così come l’uomo vive grazie ai microrganismi che regolano numerose funzioni metaboliche e immunitarie — un microbioma che conta circa 3 × 10¹³ microrganismi, paragonabili al numero delle cellule umane — allo stesso modo le piante prosperano quando interagiscono, sia attraverso simbiosi che naturali rapporti endofitici, con il microbioma del suolo. E proprio nel suolo risiede il primo grande serbatoio microbico, da cui ha origine quel benessere che si trasferisce alle colture e, attraverso gli alimenti, arriva fino alla salute umana.
Dal microbiota umano a quello delle piante un linguaggio universale della vita
Così come l’intestino umano ospita trilioni di microrganismi fondamentali per digestione, immunità ed equilibrio fisiologico, anche le piante vivono grazie a una complessa rete microbica che ne sostiene la salute e la crescita. Nell’uomo, questi microrganismi colonizzano specifiche aree del tratto gastrointestinale adattandosi alle condizioni dell’ambiente ospite; nelle piante, accade qualcosa di sorprendentemente simile.
La rizosfera, ovvero la zona di suolo che circonda le radici, rappresenta l’equivalente ecologico dell’ambiente intestinale: è un’interfaccia attiva tra organismo e ambiente esterno, dove avvengono gli scambi più intensi tra pianta e microrganismi. Attraverso gli essudati radicali — fino al 40% del carbonio fissato tramite fotosintesi può essere rilasciato nel suolo — la pianta “dialoga” con i microrganismi, selezionando quelli più utili per la nutrizione, la difesa dai patogeni e la resistenza agli stress ambientali. Proprio come nel nostro intestino, il microbioma della rizosfera contribuisce alla regolazione metabolica dell’ospite.
All’interno dei tessuti vegetali troviamo l’endosfera, analoga alla microflora associata alle cellule e mucose del nostro organismo. Qui i microrganismi endofiti vivono in simbiosi con la pianta, influenzandone la fisiologia e contribuendo all’efficienza dei processi biologici, in modo simile a come il microbioma umano interagisce con le cellule intestinali e con il sistema immunitario.
La fillosfera, che comprende la superficie delle foglie e altre parti epigee, può essere paragonata alle interazioni microbiche che avvengono sulla nostra pelle o sulle mucose esterne. Anche in questo caso, la relazione con i microrganismi contribuisce alla protezione, all’adattamento e alla comunicazione biochimica con l’ambiente. In entrambi i casi – uomo e pianta – emerge un principio chiave: la salute dell’organismo è il risultato di un equilibrio dinamico tra ospite e microbioma, non di un’azione isolata dell’individuo. La vita, quindi, non si sviluppa “contro” i microrganismi, ma grazie alla loro presenza e alla cooperazione evolutiva che li lega all’ospite.
Co-evoluzione e selezione microbica
Questa relazione non è statica, ma frutto di una coevoluzione. Microrganismi, piante e organismi animali hanno imparato a riconoscersi e adattarsi reciprocamente, sviluppando meccanismi di cooperazione che aumentano la capacità di sopravvivenza dell’intero sistema. La pianta modula la composizione microbica del suolo, mentre i microrganismi, in risposta, ne influenzano la fisiologia e la resilienza. Allo stesso modo, l’uomo, attraverso l’alimentazione e il contatto con ambienti ricchi di biodiversità, perpetua questa interazione, integrando nel proprio microbioma elementi provenienti dalla natura.
Nell’olobionte, i membri del microbioma hanno anche coevoluto attività antagonistiche che limitano la proliferazione di microrganismi con elevato potenziale patogeno, contribuendo alla prevenzione delle malattie. In condizioni ottimali, tali interazioni possono migliorare le prestazioni delle piante, incrementando fino al 30% l’assorbimento di nutrienti (come N e P) nel caso della simbiosi micorrizica.
Suolo come serbatoio microbico e base dell’asse suolo–pianta–uomo
In questa prospettiva, il suolo rappresenta il serbatoio microbico originario. È il luogo da cui tutto parte, l’habitat in cui si genera la biodiversità microbica che, passando attraverso le piante e gli alimenti, arriva fino all’uomo. Si stima che circa il 25% della biodiversità globale sia racchiusa nel suolo. Il benessere, dunque, è un flusso biologico che scorre lungo l’asse suolo–pianta–uomo, trasferendo vitalità e informazioni biochimiche grazie ai microrganismi e alle sostanze funzionali prodotte da ambienti in cui la biodiversità è preservata e sostenuta.
Quando consumiamo alimenti non processati, coltivati in suoli vivi e non impoveriti, assumiamo parte di quella vitalità microbica, sebbene solo una parte dei microrganismi del suolo sia adatta o sicura per l’uomo. Anche l’uso di cibi vivi e fermentati — con cariche microbiche vive che possono raggiungere 10⁶–10⁹ UFC/g — come avviene nelle tradizioni alimentari più antiche, rappresenta un modo naturale per sostenere il microbioma umano e, di conseguenza, la nostra salute.
Oggi il concetto di olobionte assume una dimensione ecosistemica: non è più osservato solo come l’integrazione tra un organismo e il suo microbioma, ma come un sistema di relazioni biologiche che coinvolge suolo, piante e organismi animali attraverso reti microbiche condivise. Tutto è interconnesso, e lo è proprio grazie ai microrganismi, che rappresentano le unità fondamentali del dialogo tra ambiente, colture e salute umana.
Per questo motivo, parlare di suolo vivo significa parlare di vita nel senso più ampio. Se preserviamo il suolo, preserviamo il microbioma; se proteggiamo il microbioma, sosteniamo la salute delle piante e quella dell’uomo. Il suolo non è solo il punto di partenza della filiera alimentare, ma l’origine stessa della nostra capacità di esistere in equilibrio. Ed è in questa consapevolezza che il nuovo paradigma trova compimento: siamo natura che si relaziona con la natura, attraverso la vita invisibile che ci connette.
Se il microbioma del suolo riflette lo stato di salute del pianeta e, indirettamente, quello delle persone, allora analizzare il degrado del suolo diventa non solo una necessità scientifica ma anche sociale. Oggi, davanti a un consumo di suolo che in Italia cresce al ritmo di 2,7 m² ogni secondo — pari a oltre 230.000 m² al giorno nel 2024 — non possiamo più limitarci a misurare la perdita di superficie agricola o ecosistemica: dobbiamo riconoscere che stiamo compromettendo il primo microbioma della vita, quello che sostiene la fertilità, la resilienza vegetale e la qualità degli alimenti.
Il dato diventa ancora più preoccupante se correlato al fatto che il consumo netto di suolo ha raggiunto 7.850 ettari nel solo 2024, il valore più alto degli ultimi dodici anni, con una copertura artificiale che arriva al 7,17% del territorio nazionale, contro una media europea del 4,4% .
Una dinamica che procede in parallelo con l’aumento del suolo consumato pro-capite, incrementato di circa 18,4 m² per abitante negli ultimi sei anni. Questo degrado biologico e strutturale del suolo rappresenta dunque una perdita di biodiversità microbica, ma anche di funzionalità biochimica e informazionale. Se consideriamo il suolo come primo attore dell’asse suolo–pianta–uomo, diventa evidente che la compromissione del microbioma del suolo interrompe il flusso di vitalità che sostiene la salute delle colture, degli alimenti e, in ultima istanza, dell’uomo.
Per questo, nella Giornata Mondiale del Suolo, il nuovo paradigma dell’olobionte ci invita a una riflessione profonda: la salute non nasce nell’organismo, ma nell’ecosistema che lo ospita. Proteggere il suolo significa agire alla radice del benessere, non solo ambientale, ma anche umano. Fermare il consumo netto di suolo — come indicato dalle strategie europee per il 2030 — non è quindi solo un obiettivo tecnico, ma un atto biopolitico fondamentale: difendere la vita invisibile che ci sostiene.
Non perdere l’occasione di partecipare al webinar gratuito organizzato in occasione della Giornata Mondiale del Suolo dal titolo “Suolo vivo e sistemi interconnessi” - 4 dicembre 2025











Bellissimo articolo, tema strategico e fondamentale, complimenti a voi che lo divulgate e lo sforzo di noi tutti deve essere quello di comprendere e divulgare questo concetto straordinario. Buon lavoro