La produzione di frutta a guscio - noci, nocciole, castagne e in fase di sperimentazione pure mandorle e arachidi -, è in costante crescita in Emilia-Romagna dove il prodotto si valorizza nella filiera corta fino a incrociare le più antiche tradizioni gastronomiche e l’arte dolciaria. In regione le noci sono passate in un anno da 1.075 a 1.221 ettari coltivati (+13%), le nocciole salgono a 244 ettari (+165%), mentre le castagne e i marroni raggiungono i 2.334 ettari complessivi (+5,5%). Nascono così frutteti che diventano alleati dell’ambiente contro l’effetto serra. Procedono le filiere delle noci di Romagna e delle noci bio del Delta del Po, quelle delle castagne e dei marroni dell’Appennino. Il punto lo ha fatto Confagricoltura Emilia Romagna a Bologna, durante il talk show “Noci e frutta a guscio in Emilia-Romagna. Valorizzazione di un territorio vocato”, nell’ambito della manifestazione “Cibò. So Good!”.
«Nell’era della deglobalizzazione e in ragione delle tensioni geopolitiche in atto – ha spiegato il presidente regionale di Confagricoltura Marcello Bonvicini – occorre diversificare le produzioni, investire in filiere orientate al mercato capaci di leggere le nuove tendenze alimentari legate alla salute e al benessere. L’Emilia-Romagna è regione leader per numero di eccellenze Dop e Igp, domani lo sarà anche per la frutta a guscio».
Una filiera che ha messo radici vent'anni fa
«Il nostro bacino produttivo va da Rimini, Forlì-Cesena e Ravenna a Ferrara passando per Bologna – ha ricordato il presidente della sezione frutta a guscio di Confagricoltura Emilia Romagna e AD di New Factor, l’azienda madre che guida la filiera “Noci di Romagna" Alessandro Annibali –. L’Emilia-Romagna, grazie alla vocazione dei propri terreni, alle capacità e all’intraprendenza dei propri agricoltori e imprenditori, rappresenta l’area strategica di sviluppo della nocicoltura moderna».
Tutto nasce più di 20 anni fa quando New Factor, azienda specializzata nella commercializzazione di frutta secca, ha dato il via come capofila, attraverso l’azienda agricola San Martino di Forlì e, dal 2018 insieme alla cooperativa faentina Agrintesa, al progetto di filiera In-Noce. Un sogno diventato realtà che oggi vede coinvolte 21 aziende e conta 500 ettari a noceto irriguo, intensivo e meccanizzato. Annibali ha iniziato nel 1997 a piantare alberi di noce nella sua azienda agricola alle porte di Forlì e ora dice: «L’Emilia-Romagna protagonista nella coltivazione del noce (in particolare la varietà più apprezzata su scala mondiale: Chandler), mette a terra un progetto pilota che guarda alla trasformazione industriale del prodotto agricolo in barrette e snack salutistici, alla sua naturale esaltazione all’interno di una ampia gamma di specialità gastronomiche dolci e salate, dalle torte alle salse ai condimenti. In futuro – ha aggiunto Annibali – si potrà fare lo stesso con castagne, nocciole e mandorle coltivate in regione, per ridurre la dipendenza dalle importazioni estere e per dare valore alla frutta secca del territorio puntando su una filiera corta, sostenibile e circolare».
Da uno studio condotto nell’areale emiliano-romagnolo si evince infatti che un ettaro di noceto evita l’emissione in atmosfera di 30 tonnellate circa di CO2 nell’arco dell’intero periodo vitale. Gli scarti della lavorazione servono per produrre energia pulita (biogas o biometano) e fertilizzanti oppure si riciclano in oggetti di design.
Buona opportunità per diversificare la produzione
Claudia Guidi è socia fondatrice del Consorzio Noci del Delta del Po, che dal 2018 promuove la coltivazione e commercializzazione di noci da agricoltura biologica e prodotti derivati. «L’idea di coltivare noci nel Delta del Po – ha dichiarato l’imprenditrice – nasce dall’esigenza di diversificazione delle colture in un territorio come quello della provincia di Ferrara, da sempre legato a una tradizione frutticola soprattutto pericola: un comparto che nel corso degli ultimi anni ha però subito gravi contraccolpi causati dalla cimice asiatica, dalla maculatura bruna e dalle gelate. La scelta del biologico è dettata dalla voglia di soddisfare le richieste di quei consumatori che, oltre a ricercare prodotti nutraceutici e salutistici, vorrebbero anche delle certezze sul metodo di coltivazione. Biologico e convenzionale non sono due realtà antitetiche, ma due diverse possibilità di reddito per l’agricoltore che scegliendo il bio sposta il focus dalle rese verso una maggior tutela ambientale e paesaggistica».