Di fronte agli effetti sempre più conclamati degli effetti climatici, cioè l’aumento della temperatura media, la persistenza dei periodi siccitosi e l’avanzata della desertificazione, il fico domestico (Ficus carica sativa) può costituire un’alternativa frutticola credibile per gli ambienti aridi dell’Italia meridionale (e nel Salento può contribuire a sostituire l’olivo, la cui presenza è sempre più erosa dal batterio Xylella fastidiosa). Coltura abbastanza facile da gestire, rustica e poco costosa, ha tuttavia bisogno di essere almeno parzialmente rinnovata nella tecnica agronomica per renderla più produttiva e migliorare la qualità dei frutti (fioroni e fichi o forniti).
A testimonianza della sempre più rilevante importanza, non solo produttiva ma anche commerciale, riconosciuta alla coltura del fico, di essa si sono interessati di recente sia la “Settimana della biodiversità pugliese”, che ha indagato alcune delle migliori espressioni della ricca biodiversità regionale, già fatte oggetto di recupero e di valorizzazione per gli agricoltori di oggi e di domani, sia il webinar “Aggiornamenti tecnici sul fico” organizzato dalla Sezione di Frutticoltura della Società di ortoflorofrutticoltura italiana (Soi).
Elevata biodiversità in Puglia
Grazie alle sue numerose varietà, il fico ha sempre rappresentato una delle colture più importanti del panorama agricolo pugliese, ha ricordato Pasquale Venerito, ricercatore del Centro di ricerca, sperimentazione e formazione in agricoltura “Basile Caramia” (Crsfa) di Locorotondo (Ba), nel corso della “Settimana della biodiversità pugliese”.
«Il fico, sempre apprezzato per la rapida entrata in produzione e la facile e autonoma trasformazione dei frutti, è fra le colture arboree che in passato, insieme con l’olivo e la vite, ha retto l’economia agricola regionale. Oggi, in tutte le province pugliesi, la coltivazione del fico è quasi sempre associata ad altri fruttiferi o colture erbacee, ma da qualche anno sono stati realizzati nuovi impianti e altri sono in fase di realizzazione.
Un ritrovato interesse ha spinto alcuni imprenditori agricoli a investire nella produzione di fico fresco e nella sua trasformazione in fichi essiccati e composte. Anche gli agriturismi hanno contribuito, negli ultimi anni, sia alla conservazione sia alla promozione di questo patrimonio della biodiversità frutticola pugliese, con l’impianto di piccoli ficheti per il consumo interno alla propria ristorazione».
La varietà pugliese di fico più nota è la Petrelli: è una bifera precoce, che produce sia fioroni, con maturazione dai primi di giugno fino a quasi metà luglio, sia fichi veri e propri o forniti, da fine luglio a fine agosto.
«La Petrelli è particolarmente diffusa lungo la costa adriatica da Bari a Brindisi e in coltura specializzata in agro di Fasano (Br), ma è presente anche nell’entroterra, nei territori premurgiani del Barese, nonché nelle province di Foggia e Lecce, assumendo nomi diversi in ogni territorio: Culumbro fasanese, Fiorone di Torre Canne (a Fasano e dintorni), Petrale nel Brindisino, San Giovanni, San Pietro, Fiorone Mele, Colummaro bianco nel Salento, Fiorone di San Basilio a Otranto, fiorone Gentile o semplicemente Petrelli in provincia di Foggia, Fiorone di Sant'Antonio o San Vito nella zona di Terlizzi, Bisceglie, Molfetta, Fiorone di Polignano o Fiorone di Mola a Polignano a Mare e Mola di Bari. Il Fiorone di Fasano-Torre Canne è iscritto nei “Prodotti tipici e tradizionali di Puglia”. Il Crsfa ha risanato questa varietà, conservandone tre diversi apici».
L’innovazione per il fico
In aree caratterizzate da terreni difficili e scarse disponibilità idriche, il fico può dare soddisfazioni impensabili per altre colture frutticole, purché venga gestito secondo criteri colturali moderni, ha consigliato Venerito.
«La coltivazione del Petrelli può costituire un soddisfacente investimento per il frutticoltore in numerosi areali pugliesi, in particolare in quelli del sud della Puglia devastate dall’epidemia causata da Xylella. Gli impianti specializzati hanno sesti variabili da 5 x 5 m a 8 x 6 m e densità fra 250 e 500 piante per ettaro.
La forma di allevamento adottata è il vaso, più o meno espanso a seconda dell’habitus varietale, con piante che non superano i 4 m di altezza. In qualche caso viene adottata la forma a globo. Comunque si tende ad abbassare l’impalcatura per favorire l’espansione laterale della chioma e facilitare la raccolta, che rappresenta circa il 70% dei costi colturali».
Forme di allevamento e sesti di impianto
L’innovazione colturale per il fico passa in primo luogo attraverso opportune modifiche alle forme di allevamento e ai sesti di impianto tradizionali, ha sostenuto nel corso del webinar Giuseppe Ferrara, docente del Disspa dell’Università di Bari.
«Il fico è sempre stato allevato a vaso, alto almeno un metro, a forma libera e a 3-4 branche, con sesti di impianto molto ampi. Invece in impianti più recenti si è adottata ugualmente la forma a vaso, ma con impalcatura più bassa per favorire l’espansione laterale, e non in altezza, della chioma e facilitare le operazioni di raccolta e, grazie all’irrigazione di soccorso, con sesti di 5-6 x 5-6 m o 4 x 4 m.
Sono state provate anche nuove forme di allevamento: impianti multicaule intensivi con più di 1.000 piante/ha; oppure la spalliera in coltivazione sotto copertura per anticipare la maturazione dei fioroni e produrre fichi fuori stagione; in alcuni areali si usa una forma di cordone speronato con fili e tubi per il sostegno della pianta. Inoltre, benché il fico sia stato sempre coltivato in asciutto, in aree con bassa piovosità o per una coltivazione di pregio è consigliabile intervenire almeno con irrigazioni di soccorso localizzate. I volumi possono arrivare fino a 2.500 m³/ha, con differenze tra fioroni e fichi e, per questi ultimi, tra fichi da consumo fresco e quelli da essiccazione. Il fico tollera anche acque irrigue salmastre, con conducibilità elettrica fino a 5,5 dS/cm. Per la nutrizione bastano un buon apporto di sostanza organica e il reintegro degli elementi nutritivi asportati».
Problematiche fitosanitarie? Aclees taiwanensis?