Un istituto agrario storico, articolato e strutturato. È quello che ha sede ad Alba, in Piemonte, e che da dieci anni è guidato da Antonella Germini, «un’informatica prestata all’agricoltura», come si autodefinisce con autoironia. Una dirigente scolastica esperta, che si è fatta rapire nel 2012 dal pianeta dell’istruzione agraria (prima dell’Umberto I ha guidato un altro istituto simile, ndr) e che oggi tiene le redini di una delle eccellenze formative italiane del settore.
L’Istituto Umberto I ha quattro sedi - Alba, Verzuolo, Fossano e Grinzane Cavour - nelle quali sono attivi sia l’indirizzo tecnico agrario che il professionale per l’agricoltura. Dimensionato nel 2000 sui 900 studenti, presidia un territorio molto ampio ed è oggi rimasto uno degli “agrari puri”, cioè senza coabitazioni con altri indirizzi privi di coerenza con il comparto agroalimentare.
«Sono convinta che questo aspetto costituisca un grande valore aggiunto – esordisce Germini –. La distanza tra le sedi aiuta e comunque non costituisce un problema, a fronte di un rapporto equilibrato tra le due esperienze formative. Sono mondi che parlano la stessa lingua e vanno nella stessa direzione: non vedo competizione ma anzi una risposta plurima per coloro, studenti e famiglie, che guardano con sfumature diverse al settore».
C’è l’intenzione di aprire un indirizzo alberghiero?
«Non da parte mia. Non vedo le integrazioni e i vantaggi di cui qualcuno parla. Credo esistano altri strumenti per mettere in relazione agrari e alberghieri oltre la semplice coesistenza nello stesso istituto».
Avete invece quattro aziende agricole. Che valore hanno dal punto di vista formativo?
«Enorme. Sono dei veri e propri laboratori a cielo aperto. Ai nostri studenti è sufficiente aprire la finestra per entrare in vigneto, in frutteto, in un campo di seminativi, insomma: direttamente nei campi coltivati. Per loro l’azienda è una presenza quotidiana. In totale abbiamo circa 100 ettari, 60 di proprietà e 40 in affitto, con i corpi aziendali caratterizzati da differenti indirizzi produttivi e filiere di trasformazione, così da rappresentare agli studenti un’ampia varietà di situazioni».
La distanza tra le sedi non è un elemento penalizzante?
«No, perché è programmato uno scambio di visite aziendali che permettono agli studenti dell’istituto, al di là della sede, di conoscere le attività delle quattro realtà».
Ci spieghi più nel dettaglio cosa c’è nelle diverse aziende.
«Verzuolo ha indirizzo frutticolo-olivicolo, con attivo un laboratorio per la produzione di succhi limpidi di mela e di aceto di mele al servizio anche delle imprese del territorio. Stiamo lavorando per realizzare e attivare anche un laboratorio per la produzione di confetture. Inoltre, è presente un laboratorio di analisi sensoriale e una serra didattica, dotazioni utilizzate anche da enti e associazioni di categoria del sistema agroalimentare per l’organizzazione di corsi di formazione destinati ai tecnici del settore».
Veniamo a Grinzane.
«Qui abbiamo due noccioleti e la filiera per la trasformazione della frutta in guscio, pure in questo caso con la produzione che viene immessa sul mercato per la vendita al consumatore. E poi c’è un allevamento di capponi di razza Morozzo, fino agli anni Novanta a rischio estinzione e ora presidio Slow Food».
Facciamo tappa a Fossano.
«L’azienda ha un indirizzo cerealicolo-foraggero con anche prove in campo di varietà di mais autoctone. Presente pure la coltivazione del luppolo da birra e di orzi distici primaverili da malto. Attivi un micro-birrificio per le sperimentazioni e un caseificio didattico nel quale si produce il Taleggio, formaggio a pasta molle e a crosta lavata».
E arriviamo ad Alba, nell’azienda della sede centrale.
«L’Istituto qui è meglio conosciuto come Scuola enologica, nome al quale anche noi siamo affezionati, perché racconta tanto della storia che abbiamo nel settore della viticoltura e dell’enologia. Qui abbiamo dieci ettari di vigneti nei quali vengono coltivati i vitigni più diffusi nella regione, tra cui Dolcetto, Nebbiolo, Barbera, Moscato e altre cultivar. Dalla cantina aziendale escono ogni anno 35-40mila bottiglie con diverse etichette, comprese quelle a spumante brut metodo classico. Abbiamo anche un laboratorio per la micro-vinificazione di una trentina di varietà resistenti presenti in un vigneto impiantato nell’ambito di un progetto di sperimentazione con la Regione Piemonte. Il laboratorio è utilizzato in convenzione anche da aziende private che vogliono condurre delle prove di vinificazione prima di avviare nuove produzioni».
Una bella palestra anche per il sesto anno?
«La specializzazione di enotecnico è da sempre una nostra eccellenza, non a caso siamo tra i fondatori della Rete delle scuole enologiche italiane, poco più di una decina. Diversi gli iscritti che vengono anche da fuori regione».
Però non avete più un convitto.
«Purtroppo no, ormai da anni. Nonostante ciò, abbiamo allievi che arrivano, tanto per fare degli esempi, dal Trentino-Alto Adige e dalla Sicilia. Per gli iscritti al primo anno non è facile ma quasi sempre è il frutto di scelte meditate delle famiglie che impongono ai ragazzi di crescere in fretta».
Che relazioni avete con l’università e l’Its?
«Con l’ateneo del Piemonte Orientale ci sono rapporti molto proficui, non fosse altro che per la vicinanza anche fisica, tanto che la loro sede è interna a un nostro vigneto che viene utilizzato anche da loro per le esercitazioni. Al di là di questo, abbiamo una convenzione che proprio in questi giorni stiamo aggiornando per rendere la collaborazione ancora più articolata e orientata a fare sistema. Situazione diversa con l’Istituto tecnico superiore, con il quale non si è ancora trovata la sinergia».
Cosa ci dice sul fronte della filiera 4+2?
«Con il collegio dei docenti e il consiglio d’istituto stiamo ragionando per una delle sedi. Non abbiamo aderito da subito perché abbiamo ritenuto fosse una novità che aveva probabilmente necessità di più tempo per acquisire contenuti in grado di superare la riluttanza delle famiglie».
Ci sono investimenti in vista per dei laboratori?
«Gli investimenti sono continui visti i tanti fronti aperti. Tra i prossimi quello sul laboratorio di chimica e industrie agrarie che vorremmo anche collocare nell’area della cantina. L’attenzione è poi concentrata sulle sfide legate, anche per l’agroalimentare, all’intelligenza artificiale. È un’innovazione che interpella tutto il sistema dell’istruzione e rispetto alla quale vogliamo essere pronti il prima possibile».
Quanto è importante in questo la Rete nazionale degli agrari?
«Renisa svolge un ruolo fondamentale per lo scambio di buone pratiche, la ricerca di nuove opportunità e spazio di confronto continuo tra scuole e con i ministeri di riferimento. Su invito della presidente Patrizia Marini, svolgiamo da quest’anno anche il ruolo di capofila dal punto di vista amministrativo mentre, dal 18 al 20 maggio 2026, ospiteremo il congresso nazionale della Rete alla quale afferiscono 300 istituti di tutta la penisola».










