Il Tar del Lazio ha messo la parola fine ai pascoli “fantasma” in quanto destinati solo ad acquisire i premi della Pac senza aver mai visto nessun animale che vi pascolasse.
Si è chiusa così una vicenda che ha visto alcuni gruppi di allevatori costituiti anche in società fantasma contestare una circolare dell’Agea emanata nel 2013 e reiterata nel 2014 che escludeva dal pagamento degli aiuti i pascoli magri che rispettavano solo i principi della condizionalità e al più venivano usati come pascoli di animali posseduti da terzi e non dai titolari dei titoli Pac che beneficiavano degli aiuti.
Secondo la tesi dei ricorrenti il legislatore comunitario avrebbe previsto, dal 1° gennaio 2005, il “disaccoppiamento” totale dei premi per incentivare non solo i soggetti che utilizzano i terreni per la produzione, ma anche gli agricoltori che, a prescindere dalla produzione, mantengono i terreni in buone condizioni agronomiche e ambientali.
L’Agea, nei primi anni di applicazione del nuovo regime di aiuti ha ammesso anche i pascoli magri presi in affitto, ma successivamente, pur in assenza di cambiamenti normativi a livello comunitario e nazionale, ha deciso che, a partire dalla domanda unica per la campagna 2014, non era più possibile considerare il pascolamento di animali di proprietà di terzi ai fini dell’ammissibilità delle superfici dichiarate a pascolo magro al regime unico di aiuto, come peraltro era stato permesso fino alla campagna 2013 a partire dall’introduzione del nuovo regime di pagamento.
I ricorrenti precisavano ancora nel loro ricorso che Agea aveva violato a partire sempre dalla campagna 2014 il principio del legittimo affidamento in quanto i ricorrenti avrebbero riposto legittimo affidamento sui principi comunitari e sulle stesse circolari Agea degli anni precedenti che avrebbero sempre ammesso al regime unico di aiuto le superfici a pascolo magro, ove le stesse fossero state pascolate anche con animali di terzi.
I giudici del Tar del Lazio con una sentenza depositata il 19 gennaio 2015 hanno respinto nel merito la richiesta di annullamento delle circolari Agea deludendo le aspettative dei ricorrenti che avevano continuato a cercare terreni pascolativi da prendere in affitto con lo scopo di ottenere i premi Pac e assicurando la realizzazione delle poche pratiche colturali rispettose della condizionalità, sostenute spesso dal proprietario affittuario e senza nemmeno verificare se lo stesso proprietario utilizzasse i terreni per farvi pascolare i propri animali. In alcuni casi, infatti, i contratti di affitto comprendevano anche il pascolamento di animali di proprietà dello stesso proprietario del terreno ma senza alcun particolare ed esplicito vincolo.
I giudici del Tar Lazio affermano ora che le circolari Agea non hanno sovvertito i principi generali della Pac in quanto in linea generale, si rileva che il regime di pagamento unico, introdotto con il Reg. (CE) n. 1782/2003 di riforma della Pac, ha dissociato il regime di aiuti dalle produzioni, per cui da tale nuovo regime consegue il concetto di “disaccoppiamento”.
La nuova Pac, pertanto, si legge nella sentenza, attribuisce agli agricoltori dell’Ue la libertà di adeguare la produzione alle esigenze del mercato, nel senso che, se in passato gli agricoltori ricevevano tanti più contributi quanto maggiore era la produzione, gli aiuti versati nel nuovo regime, sulla base del detto principio del “disaccoppiamento”, sono per lo più indipendenti dalle quantità prodotte.
Le motivazioni dei giudici
Con la scomparsa del nesso tra sovvenzioni e produzione, gli agricoltori dell’Unione hanno la possibilità di prestare maggiore attenzione alle esigenze del mercato potendo scegliere cosa produrre in base a criteri di convenienza e potendo, al contempo, fare affidamento su un reddito stabile.
Cosicchè, se è vero che il principio del “disaccoppiamento” dissocia il regime di aiuti dalle produzioni e che il principio della “condizionalità” si concreta nel mantenimento dei terreni in buone condizioni agronomiche e ambientali, è altrettanto vero che del regime di sostegno può beneficiare l’agricoltore, vale a dire chi esercita un’attività agricola e tra queste, quelle di allevamento degli animali.
In sostanza la normativa europea e di recepimento nazionale, che sancisce il principio del “disaccoppiamento” non prevede la concessione di una mera rendita finanziaria al detentore del terreno, il quale, per beneficiare del regime, deve essere un agricoltore e svolgere sugli stessi terreni un’attività agricola, sia pure non specifica.
Le circolari impugnate, pertanto, non violano la normativa in materia, ma specificano un concetto che emerge sin dall’origine nella normativa comunitaria introduttiva del regime unico di pagamento, vale a dire che l’attività agricola (o di pascolamento) sia svolta dal soggetto beneficiario dei contributi che ne assume il relativo rischio di impresa.