«L’art. 69 del Titolo IV del Regolamento CE 1782/03 prevedeva l’assegnazione di aiuti accoppiati supplementari (legati pertanto al tipo di coltura e alla quantità prodotta) e per produzioni di qualità ad alcuni settori, fra cui i seminativi, e in particolare un “premio proteiche” per piselli, favette e lupini, pari a 55,7 €/ha.
Non sappiamo se la nuova Pac assegnerà aiuti specifici per la coltivazione delle leguminose. Ma l’Ue ha da tempo un forte orientamento verso la tutela dell’ambiente. Infatti esso permea il Green Deal, il nuovo corso per rendere sostenibile la crescita dell’economia europea con riduzione del ricorso ad agrofarmaci e a fertilizzanti. Perciò la futura Pac certamente non trascurerà le leguminose, colture che fissano l’azoto al terreno e quindi riducono il consumo di fertilizzanti».
L’auspicio di Giuseppe De Mastro, docente di Coltivazioni erbacee presso il Dipartimento di scienze agro ambientali e territoriali (Disaat) dell’Università di Bari, ha concluso il webinar “Leguminose da granella: attualità e prospettive”, organizzato dagli Ordini dei dottori agronomi e forestali di Potenza e Matera.
Prospettive delle leguminose da granella
«L’importanza delle leguminose da granella – ha ricordato De Mastro – è dimostrata dal fatto che la Food and agriculture organization (Fao) ha dichiarato il 2016 “Anno internazionale dei legumi”, definiti “semi nutrienti per un futuro sostenibile”. Un “anno” con obiettivi specifici: 1. sensibilizzare l’opinione pubblica sul ruolo importante dei legumi per una produzione alimentare sostenibile e per una dieta sana e sul loro contributo alla sicurezza alimentare e alla nutrizione; 2. promuovere il valore e l’utilizzo dei legumi in tutta la catena alimentare, i loro benefici per quanto riguarda la fertilità del suolo e i cambiamenti climatici e la lotta alla malnutrizione; 3. incoraggiare connessioni attraverso tutta la catena alimentare per promuovere la produzione di legumi, incoraggiare il potenziamento della ricerca e affrontare le sfide nel campo del commercio dei legumi».
Le leguminose ben si integrano nella rotazione con le altre colture, perché sono azotofissatrici, e i legumi sono un “toccasana” per la salute. Eppure la produzione italiana è diminuita dell’80% negli ultimi 50 anni e solo di recente ha mostrato segni di ripresa, soprattutto per il favino e il cece.
«Le strade da seguire per dare alle leguminose piena dignità di “colture del futuro” sono diverse: da un lato finanziare la ricerca nel settore, dall’altro proporle in maniera convincente agli agricoltori nei territori vocati alla loro coltivazione, come l’areale collinare compreso fra l’Alta Murgia barese e il Materano».
Innovazione in campo e innovazione di prodotto
La ricerca, ad avviso di De Mastro, deve riguardare sia l’innovazione in campo sia l’innovazione di prodotto. «Le leguminose scontano ancora oggi una tecnica colturale sostanzialmente tradizionale e povera. Ad esempio poggiano su un modesto parco varietale e lamentano la scarsa disponibilità di diserbanti e agrofarmaci.
Perciò innovazione in campo significa: maggiore disponibilità varietale con un’attenta opera di miglioramento genetico; registrazione di erbicidi e di agrofarmaci; semina su sodo; introduzione di supporti decisionali relativi a condizioni meteorologiche, fenologia, densità di semina, sviluppo della coltura, nutrizione, diserbo, data base diserbanti e agrofarmaci, rischio relativo alle principali malattie fungine (antracnosi, ruggine, mal bianco, ecc.); raccolta meccanica.
Innovazione di prodotto significa andare oltre il consumo dei legumi tal quali, con la costituzione di nuovi prodotti, come pasta, patatine, chips, ecc. Il Canada ha finanziato un progetto per capire come mai a livello mondiale ci sia un incremento del consumo di legumi, scoprendo che la causa sta proprio nella costituzione di nuovi prodotti. L’innovazione di prodotto può sicuramente aiutare a trovare spazio sul mercato, come hanno intuito alcuni moderni progetti di filiera. È basandosi su queste innovazioni che gli agricoltori possono trovare nuovi stimoli nel coltivare leguminose».
Le varietà locali, patrimonio da tutelare
Per il rilancio della coltivazione delle leguminose un ruolo rilevante possono svolgere le loro varietà locali, che sono il risultato della selezione operata nel tempo da generazioni di agricoltori, perciò sono un patrimonio storico e genetico da tutelare, ha affermato Angela R. Piergiovanni, ricercatrice dell’Istituto di bioscienze e biorisorse (Ibbr) del Cnr di Bari.
«Le caratteristiche specifiche delle varietà locali di leguminose sono: localizzazione temporale (continuità di coltivazione), localizzazione geografica (areale di coltivazione), associazione con sistemi agricoli tradizionali, assenza di miglioramento genetico formale, diversità genetica fra gli individui, propria identità.
Tali varietà sono una preziosa fonte di: resistenza a stress biotici e abiotici, resilienza ai cambiamenti climatici, adattamento ad ambienti marginali, buone caratteristiche nutrizionali. Purtroppo la diffusione delle varietà commerciali ha ridotto l’agrobiodiversità e portato all’abbandono delle varietà locali.
Tuttavia oggi si assiste in Italia a una certa inversione di tendenza: ogni regione vanta un proprio gruppo di varietà locali, Slow Food annovera ben 41 presidi e alcune varietà locali godono di importanti marchi europei di origine: della Dop i Fagioli bianchi di Rotonda e il Fagiolo cannellino di Atina, della Igp la Lenticchia di Altamura, la Lenticchia di Castelluccio di Norcia, il Fagiolo di Cuneo, il Fagiolo di Lamon, il Fagiolo di Sarconi e il Fagiolo di Sorana. Tutti segnali di una nuova attenzione verso il recupero delle varietà locali, che si sostanzia in numerosi progetti volti alla loro conservazione sia on farm sia ex situ».