Rilanciare la maiscoltura italiana, con un occhio alla prossima riforma della Pac. Questi gli obiettivi dell’Associazione maiscoltori italiani, illustrati dal presidente Marco Aurelio Pasti nel corso di un’assemblea di produttori tenutasi a Mantova. «Solamente 10 anni fa – spiega – in Italia si contavano più di un milione di ettari investiti a mais. Oggi, non si arriva a 700mila, con il risultato che importiamo quasi la metà del nostro fabbisogno di cereale». Ma non è tutto. «Il mais importato, soprattutto da Paesi est europei e sudamericani – aggiunge Pasti – viene pagato più del prodotto nazionale, perché, secondo commercianti e mangimisti, fornirebbe migliori garanzie sanitarie. Ciò determina, quindi, anno dopo anno, un decremento di superfici investite a cereale, con un appesantimento sensibile della bilancia commerciale italiana».
Le cause? Al riguardo, Pasti ha le idee chiare. «Sicuramente più che i prezzi non sempre adeguati ha giocato un ruolo chiave la diminuzione costante dell’entità degli aiuti Pac. Basti pensare che nel 1992 con la Riforma Mc Sharry in Pianura padana si percepivano fino a 720 €/ha, oggi invece mediamente 440 euro, greening compreso. Inoltre – prosegue – il clima umido ha causato spesso l’insorgere di infezioni fungine, con varie tipologie di micotossine, inficiando il livello qualitativo e sanitario della granella».
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