Estate amara per il riso del raccolto 2024. Da alcune settimane, come testimoniano i listini delle principali piazze, le contrattazioni sono ai minimi, se non assenti. Non si scambia nulla o quasi e i prezzi pubblicati dai vari mercati sono, per così dire, nominali, dal momento che l’industria non sembra pronta a pagare quanto indicato nei bollettini ufficiali.
Le cause di questo stato di cose sono diverse e coinvolgono le importazioni internazionali. Le quali sono nuovamente aumentate anche nel 2025, come riassume bene il riepilogo sulla situazione di mercato pubblicato ieri dall’Ente Nazionale Risi. Vi sono però anche ragioni interne: per esempio le elevate quotazioni delle varietà cosiddette nobili, o da risotto. Prezzi importanti, ai quali gli industriali non erano disponibili a comperare. Sugli scaffali dei supermercati sono così finiti soprattutto sacchetti di riso tipo Arborio o tipo Roma contenenti però prodotti di dubbia qualità, se non altro per il prezzo di vendita (spesso inferiore ai 3 euro per chilogrammo). I risi cosiddetti nobili, ossia Arborio, Carnaroli e Vialone Nano, per citarne alcuni, sono invece rimasti nei sili degli agricoltori o degli stoccatori, come dimostra il documento di Ente Risi, che segnala un calo del 3,5% nei trasferimenti rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (fine giugno 2024 - fine giugno 2025). Un valore riassuntivo, che contiene tanto il forte incremento dei medi (+51,8%, pari a 19mila tonnellate) quanto il netto calo del Lungo B (-67.800 tonnellate, pari al 20,2%).
Situazione bloccata
Con il raccolto 2025 ormai vicino (due mesi al massimo), per molti agricoltori diventa imperativo vendere e dunque c’è chi si accontenta di prezzi tutt’altro che remunerativi: attorno ai 40 euro per quintale per le varietà del gruppo Ribe, mentre restano più alte le quotazioni di Arborio e Carnaroli. Alte ma, purtroppo, non accompagnate da scambi degni di questo nome e dunque esiste la concreta possibilità che i prezzi possano ulteriormente scendere con l’approssimarsi del raccolto.
Netta, e comprensibilmente, la delusione dei risicoltori, inizialmente abbagliati da quotazioni sopra i 100 euro per quintale per i prodotti di maggior pregio e oggi costretti a veder scendere il valore sotto i 70 euro. D’altra parte è probabile che siano stati proprio questi prezzi fin da subito elevati, accompagnati da previsioni di scarsa disponibilità delle varietà da interno a partire dalla primavera, a scombussolare il mercato, invogliando molti produttori a rimandare le vendite e le riserie a ritardare gli acquisti, nella speranza che la presunta carenza di prodotto non si manifestasse. Cosa che, in effetti, è poi avvenuta, tanto che oggi si assiste a una situazione di elevata offerta per quasi tutti i gruppi e le varietà, a fronte di una domanda assente o molto scarsa.
Vola l’import di riso
L’abbondanza di prodotto sul mercato è parzialmente da imputare anche all’aumento delle importazioni. Secondo il documento di Ente Risi le esportazioni italiane verso altri paesi sono scese del 10%, mentre sono aumentate del 17% le importazioni, pari a 152.342 tonnellate di semigreggio e lavorato, con ingressi principalmente da India, Thailandia e Myanmar. L’Italia ha poi importato quasi 31mila tonnellate di riso da altri paesi europei. Tralasciando il gruppo dei Medi, carente nell’ultima stagione, spiccano i forti aumenti di Lungo A e Lungo B (+125 e +118%). In crescita, per finire, anche l’importazione di riso confezionato, con un +20% per la taglia 0-5 kg e +10% per le confezioni da 5 a 20 kg, rispetto allo stesso periodo della campagna di commercializzazione 2023-2024.













