L’eccessivo divario di prezzi dell’olio di oliva fra Italia e Spagna, che può contare su prezzi più bassi grazie ai minori costi di produzione; la massiccia campagna promozionale portata avanti in maniera coesa fra agricoltori e industriali spagnoli; la scelta italiana di puntare pressoché esclusivamente sul segmento dell’olio extravergine di oliva, mentre la Spagna riesce a conquistare significative quote di mercato nei segmenti meno “nobili”, come l’olio di oliva e l’olio di sansa e di oliva. Per Massimo Occhinegro, export manager della Nicola Pantaleo di Fasano (Br) ed esperto di marketing del comparto oleario, sono queste le ragioni che stanno determinando il progressivo arretramento dell’Italia rispetto alla Spagna sul mercato oleario mondiale.
«L’Italia da tempo ha perso la leadership nella produzione di olio di oliva a favore della Spagna. La regressione è dovuta principalmente alla mancanza di investimenti nella produzione olivicola, a differenza di quanto ha fatto la Spagna, come pure la Grecia. Peraltro anche Paesi olivicoli non europei, Tunisia, Marocco, Siria, Libano, Cile, Argentina, Australia ecc., hanno impiantato nuovi oliveti e aumentato notevolmente la produzione e l’offerta sul mercato mondiale. L’Italia invece è rimasta al palo.
In particolare nel triennio 1995-98 la Spagna ha impiantato 45 milioni di olivi, l’Italia appena 1,5 milioni. È nella seconda metà degli anni '90 che è partita la rincorsa della Spagna all’Italia, fino al sorpasso avvenuto nei primi anni 2000, segnando un divario che cresce inesorabilmente sia nella produzione sia nelle esportazioni in tutto il mondo. Nella formazione di tale divario ha fortemente inciso l’acquisizione da parte del gruppo oleario spagnolo Sos di noti marchi italiani, come Bertolli, Carapelli, Sasso e altri, che vantano una rilevante presenza sui più importanti mercati oleari».
Va sottolineato, aggiunge Occhinegro, che la Spagna ha effettuato gli investimenti seguendo il criterio della riduzione dei costi. Ha infatti adottato forme di allevamento molto intensivo o superintensivo con raccolta in continuo, riuscendo così a ridurre tantissimo i costi di raccolta e, in generale, di produzione, mentre l’Italia si è attardata insistendo su forme desuete e costose sia nella gestione della chioma, ancora con potatura manuale, sia nella raccolta.
«L’Italia annovera tuttora moltissimi oliveti tradizionali e con modeste superfici, che richiedono una conduzione costosa e soprattutto non consentono la raccolta meccanica; inoltre ha un’offerta di olio di oliva notevolmente minore rispetto alla Spagna».
«Di conseguenza fra Italia e Spagna il livello dei prezzi si è sostanzialmente modificato fino a determinare un differenziale troppo ampio per essere colmato dalla pur positiva immagine che l’olio di oliva italiano si è costruito nel tempo. Mentre prima i circa 0,20 €/kg in più del prezzo dell’olio italiano venivano compensati dal suo nome, questo non basta più per superare l’attuale scarto di 0,60-0,70 €/kg».
L’attacco della Spagna all’Italia nel comparto oleario continua e si rafforza grazie alla più forte coesione fra agricoltura e industria, alla maggiore forza della sua offerta e alle campagne di promozione sia nei mercati tradizionalmente consumatori di olio di oliva, come Usa o Giappone, sia nei nuovi mercati che in futuro potranno rappresentare i principali mercati di sbocco dell’olio di oliva, come India e Cina.
«La Spagna promuove la sua immagine nel mondo, togliendo sempre più spazio all’Italia, che per decenni ha consentito al proprio olio di oliva di rimanere punto di riferimento a livello mondiale grazie a un’immagine consolidata. Analizzando l’andamento delle esportazioni totali di olio di oliva (confezionato e sfuso) nel mondo si nota che la quota di mercato dell’Italia sta scendendo in maniera inarrestabile nei confronti della Spagna. Confrontando il periodo gennaio-ottobre 2009 rispetto allo stesso del 2008 emerge, secondo un’elaborazione di Federolio su dati forniti dagli Istituti nazionali di statistica di Italia (Istat) e Spagna (Ine), che la quota di mercato dell’Italia è scesa dal 46,21 al 43,88%, mentre quella spagnola è salita dal 53,79 al 56,12%. Fra il 2008 e il 2009 l’Italia ha perso il 3,90% del mercato, mentre la Spagna ha guadagnato il 5,59%».
Gli sbocchi
Osservando poi per lo stesso periodo alcuni dei principali mercati di sbocco, l’andamento negativo per l’Italia non cambia, sottolinea Occhinegro. «Negli Usa, da sempre un mercato di riferimento per il nostro olio, l’Italia ha perso il 15,06%, mentre la Spagna ha registrato un incremento dell’1,64%; analizzando il segmento dell’extravergine l’Italia ha perso il 9,72%, la Spagna ha guadagnato il 14,07%: sommando 9,72 e 14,07% viene fuori che l’Italia ha perso il 23,27% del mercato. In Giappone, altro mercato di riferimento, l’Italia, pur crescendo, mostra incrementi inferiori rispetto alla Spagna: è complessivamente cresciuta del 7,66, ma la Spagna del 21,24%; inoltre, nel segmento dell’extravergine, l’Italia è salita del 13,44, invece la Spagna addirittura del 26,47%. In Canada l’Italia ha perso il 3,6, mentre la Spagna è cresciuta del 38,55%: fa perciò poco testo che per l’extravergine l’Italia è aumentata del 9,88, mentre la Spagna ha perso il 5,33%; l’Italia ha poi visto una perdita secca nel segmento dell’olio di oliva, dove ha palesato un calo del 38,40 contro un +8,77% della Spagna.
Nei mercati emergenti, dove l’olio di oliva si colloca nella fase di introduzione e sviluppo del suo ciclo di vita, le cose non cambiano: in Cina l’Italia è complessivamente cresciuta del 12,28, mentre la Spagna ha registrato un +31,41%; nel segmento dell’extravergine l’Italia è cresciuta del 10,47, la Spagna del 31,50%; nell’olio di oliva la crescita dell’Italia è del 5,80, quella della Spagna del 25%. In India l’Italia complessivamente ha perso il 70,34, invece la Spagna è cresciuta del 29,30%; per l’extravergine l’Italia ha perso il 44,39, la Spagna è calata del 2,35%; per l’olio di oliva l’Italia ha perso il 281,65, la Spagna ha guadagnato il 6,10%».
È un dato di fatto incontrovertibile che l’Italia, anche se cresce, perde terreno rispetto alla Spagna. Sicché oggi gli olivicoltori italiani non vedono un futuro certo e non hanno neanche più interesse a raccogliere. Ma come operare per invertire la tendenza? Poiché l’inefficienza è a monte e non a valle, cioè nella produzione di olive e non nelle fasi di trasformazione e confezionamento, per Occhinegro è indispensabile e urgente compiere interventi di natura strutturale a livello produttivo, presi in accordo fra agricoltori, industriali e ministeri dell’Agricoltura e delle Attività produttive.
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