Le irroratrici a recupero di prodotto non hanno fino ad oggi ancora trovato in frutticoltura l’interesse che meritano.
Eppure è proprio questo il comparto che potrebbe trarre i maggiori benefici, sia in termini economici che ambientali, dall’utilizzo di questo innovativo tipo di attrezzature. Non dimentichiamo infatti l’elevato numero di trattamenti necessario ogni anno su colture come per esempio melo o pero, l’incidenza di costo dei prodotti utilizzati ed il numero di interventi che vengono realizzati al bruno o in presenza di una vegetazione molto limitata, che permetterebbe la massima efficienza del recupero stesso. I limiti applicativi di questo tipo di macchine non sono legati alle caratteristiche all’attrezzatura ma alla struttura del frutteto che nelle aziende più specializzate è dotata spesso di sistemi di protezione antigrandine con ingombri trasversali che rendono inapplicabile l’utilizzo di una macchina scavallante.
Oggi però, anche in prospettiva delle nuove norme che verranno imposte dal Piano d’Azione Nazionale (Pan) l’utilizzo delle macchine a recupero di prodotto, essendo attrezzature che adottano misure di contenimento della deriva, assume maggiore significato su diversi fronti. Il recupero di prodotto in frutticoltura, oltre agli indiscussi vantaggi ambientali può permettere notevoli risparmi economici sul costo dei prodotti fitosanitari che in frutticoltura possono essere elevati (tab. 1). Dal punto di vista applicativo non mancano soluzioni ed esperienze, già collaudate in passato, che oggi, alla luce di queste nuove opportunità, potrebbero ritrovare un interesse concreto.
I conti tornerebbero
Il costo dei fitofarmaci per la difesa del frutteto varia in funzione della coltura, dell’annata e delle strategie di difesa adottate. In linea di massima è possibile sostenere che si aggiri fra i 1.000 e i 2.500 €/ha/anno. Oltretutto in frutticoltura vengono realizzati anche diversi interventi al bruno e molti trattamenti ad inizio vegetazione proprio quando lo sviluppo fogliare ancora modesto, accentuando i fenomeni di deriva e di perdita di prodotto a terra.
L’entità del recupero di prodotto realizzabile da queste macchine di ultima generazione, che peraltro hanno raggiunto livelli di efficienza e precisione nella regolazione di tutto rispetto, è dovuta proprio allo spessore ed alla penetrabilità della parete fogliare tanto che al bruno è possibile stimare un recupero minimo di prodotto dell’80%, per scendere gradatamente fino ad arrivare al 20-30 % in fase vegetativa avanzata di fine periodo.
È quindi evidente che l’entità del recupero non è mai matematica pur essendo logico attendersi una riduzione media degli sprechi che non raggiungono il bersaglio pari ad almeno il 50%. Assumendo a titolo di esempio un costo medio in fitofarmaci per colture di melo o di pero pari a 2.050 €/ha/anno, il risparmio corrisponderebbe ad una riduzione di spesa di 1.025 €/ha/anno.
Valore che non può non essere immediatamente paragonato alla quota annua di ammortamento di una macchina a recupero monofila del valore di 40.000 € che calcolato ad un tasso del 4% per un periodo di 10 anni comporta un costo di 4.931.63 €/anno.
Valore che, per una azienda di 5 ettari, incidendo per 986.32 €/ettaro, diventa economicamente conveniente rispetto a soluzioni convenzionali. Su superfici maggiori i tempi di ammortamento risultano poi ancora più brevi ed interessanti così come su colture il cui costo in fitofarmaci sia superiore a quello ipotizzato nell’esempio.
Ripensare alle strutture
Ovviamente la rivoluzione sulla tecnologia nella difesa in frutticoltura avrà bisogno di tempi lunghi a causa della presenza di impianti esistenti con ingombri trasversali che impediscono l’impiego di attrezzature scavallanti.
La soluzione ideale sarebbe quella di raggiungere, nell’ambito della stessa azienda, sesti ed altezze standardizzate tali da permettere anche una semplificazione delle macchine che peraltro sono già presenti ed in assenza di ingombri già adottabili. Nel frattempo potrà essere interessante iniziare a ripensare le strutture antigrandine proprio in funzione di queste esigenze e magari facendo riferimento alle interessanti esperienze del passato condotte con impianti antigrandine modulari. La prima idea di impianto antigrandine modulare venne a Dario Musacchi, allora tecnico delle aziende Salvi, che condusse una prima sperimentazione nel 1992 che venne poi replicata negli anni successivi, sia nel ferrarese che nella zona di Cuneo, su superfici molto più ampie. L’impianto modulare fu ispirato da nuove opportunità derivanti dalle caratteristiche degli impianti superfitti a cui si stava lavorando e che presupponevano uno sviluppo molto più ridotto delle piante con un apparato radicale superficiale al punto da richiedere un elevato numero di pali per il sostegno delle stesse e del peso della produzione.
Realizzare un impianto antigrandine classico su di una struttura molto più bassa rispetto a quelle standard non avrebbe di certo semplificato la gestione del frutteto e tantomeno i costi. Il sistema modulare, nel quale ogni filare era perfettamente indipendente da quello contiguo, partiva dal presupposto che un elevato numero di pali interrati a profondità di 80/90 centimetri, sarebbero stati in grado di reggere tranquillamente tutto il peso della struttura e della eventuale grandine senza la necessità di ancoraggi laterali.
Oltre alla scomparsa di tutte le funi trasversali e degli ancoraggi laterali le reti antigrandine, grazie ad una particolare struttura, arrivano ad avvolgere completamente la pianta proteggendo i frutti anche nella porzione produttiva più vicina a terra. Anche la gestione dei teli a questo punto era estremamente semplificata e poteva essere realizzata da terra, senza la necessità di utilizzare carri raccolta, ed in forma indipendente filare per filare. L’aspetto della modularità di questa tipologia di struttura antigrandine assecondava al meglio anche le esigenze degli appezzamenti irregolari e l’assenza di ancoraggi laterali permetteva una minore perdita di superficie per tare.
Maglie anti-insetto
A livello di trattamenti di difesa la presenza della rete non ha mai creato problemi all’efficacia dell’irrorazione mentre a livello di costi della struttura il sistema modulare è del tutto paragonabile ai sistemi comunemente in uso se non leggermente più contenuto. Il costo d’impianto maggiore se vogliamo è dovuto al maggior numero di piante per ettaro. Oggi questa soluzione potrebbe acquisire una nuova importanza anche nella possibilità di essere equipaggiato con reti antigrandine con magliatura anti-insetto.
L’adozione del modello monofila delle irroratrici a recupero di prodotto permettono oltretutto di gestire al meglio la variabilità varietale all’interno dello stesso appezzamento.
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Foto di Claudio Corradi