Oltre al meccanismo domanda-offerta, altre variabili contribuiscono alla formazione del prezzo delle sementi. Sono fattori molteplici che incidono sul prezzo finale in varia misura.
Valerio Cazzola, responsabile del Crea-Scs di Verona, spiega quali sono queste variabili e qual è il loro peso nella formazione del prezzo.
Frumento duro e tenero
Prendiamo ad esempio il frumento duro R2, seconda riproduzione non trattato, cioè la categoria minima, per varietà di grande diffusione. Il costo della materia prima, cioè il prezzo pagato dall’azienda sementiera all’agricoltore-moltiplicatore, incide circa per il 60% del prezzo finale alla distribuzione. A questo si aggiunge il premio di produzione all’agricoltore, che ha scelto di produrre sementi e non granella, e che si basa sulla media dei prezzi della semente degli ultimi mesi delle borse merci dedicate. Si aggiunge poi il costo del trasporto dal centro di stoccaggio e selezione, che può incidere anche molto sul valore finale della semente. Se ad esempio un anno si verifica richiesta di semente di tenero nel sud Italia, questo fa aumentare il prezzo di quella semente che normalmente viene utilizzata vicino alla zona di produzione.
Dovremo poi considerare se siamo in presenza di una varietà con royalty oppure no. Quello delle esclusive varietali, cioè il costo delle royalty dovute ai costitutori di sementi, è anche questo variabile. In più c’è il costo della certificazione, degli ammortamenti, degli scarti di lavorazione. Per il tenero la situazione è analoga. E se anche il prezzo della semente è nel momento in cui scriviamo più basso rispetto al duro (45€/q contro i 54 del duro circa), la composizione del prezzo non cambia. Anche qui il costo della materia prima pagata all’agricoltore/moltiplicatore è del 50-60% del prezzo finale al rivenditore. Alla fine il margine per l’azienda sementiera non è molto elevato per questa categoria di sementi.
Cresce la concia
Ma c’è un altro parametro che influenza in modo molto variabile il prezzo finale. Ed è la concia, che ha un’incidenza che fluttua dal 5 al 15% a seconda del tipo di prodotto utilizzato e della tipologia di concia. Quindi capita che la stessa varietà abbia prezzi anche molto diversi a seconda del tipo di conciante utilizzato.
Attualmente il seme conciato è sempre più richiesto e arriva a sfiorare l’80% della semente commercializzata nel centro-nord Italia, dice Cazzola. Questo perché la concia protegge il seme dalle malattie fungine, che si sviluppano maggiormente nella Pianura padana.
Tutto questo si riferisce alla semente per produrre granella. Diversa è invece la situazione del seme di I riproduzione (R1) e di base che serve per la moltiplicazione, e che ha prezzi più alti. Questo perché maggiore è il costo delle royalties, dato che si paga la scelta di certe varietà con caratteristiche specifiche, e maggiore è la remunerazione all’azienda agricola specializzata, che viene compensata in maniera diversa.
Accordi di filiera
Parte della produzione poi è regolata dagli accordi di filiera, nei quali il prezzo è concordato tra le parti. In alcune zone ci sono accordi di filiera con esclusivisti nella varie aree, ancora però, dice Cazzola, l’incidenza di questa parte è bassa rispetto al volume generale delle sementi commercializzate. Il resto è lasciato alla variabile organizzazione dell’industria sementiera. Anche nei rapporti con i rivenditori, le aziende hanno comportamenti diversi. Le aziende più grandi e strutturate organizzano giornate per i rivenditori e agricoltori per dare informazioni sui loro materiali. Altre aziende invece vendono seme con scarse informazioni di carattere tecnico. «Fa parte dei rapporti tra rivenditori e azienda sementiera. Ma spesso c’è carenza di conoscenze, anche sulle varietà, che deve essere colmata nell’interesse delle aziende e dei distributori di sementi».