Molto si è scritto in questi giorni sul futuro del TTIP, il negoziato di libero scambio tra Usa e Ue. Le dichiarazioni di alcuni importanti esponenti dei governi di Berlino e Parigi, che danno la trattativa per fallita di fatto, vanno tenute nel giusto conto, ma non esagerate. É importante ricordare che a giugno scorso, all’unanimità, i Capi di Stato europei hanno confermato il mandato e autorizzato la Commissione a proseguire nelle trattative. Che, tuttavia, non si fermano per dichiarazioni a mezzo stampa. Ciò che è cambiato da giugno a oggi è il surriscaldarsi del clima elettorale, di qua e di là dell’Atlantico.
Il TTIP avanza a piccoli passi, troppo piccoli per sperare in un accordo entro la fine dell’anno. Barriere sanitarie e fitosanitarie e cooperazione normativa sono i capitoli più avanzati, ma restano da definire, anzi da affrontare, questioni cruciali come l’accesso al mercato e i prodotti a indicazione geografica. Intanto il clima in Europa e la corsa alla Casa Bianca negli Usa non semplificano il compito dei negoziatori. Il TPP, il trattato di libero scambio con i paesi del Pacifico che gli americani hanno cominciato e chiuso prima del TTIP, non riesce a essere ratificato dal Congresso. E dovremo attendere le elezioni americane in novembre per capire quale sarà l’atteggiamento della nuova amministrazione sulle relazioni commerciali con l’Unione europea.
Tornando nel Vecchio Continente, le recenti dichiarazioni critiche sul TTIP vengono dai rappresentanti di due Stati europei che nel breve periodo andranno alle elezioni, la Francia in primavera e la Germania in autunno. Soprattutto a Berlino, è piuttosto evidente il tentativo da parte dei socialisti – che governano con la Merkel – di distinguersi in funzione elettorale dalla posizione della cancelliera, che in molte occasioni ha espresso il suo pieno appoggio ai colloqui. Intanto, la commissione continua i contatti a livello tecnico e politico con la controparte americana e un chiarimento è in programma per il prossimo 22 settembre a Bratislava, dove si terrà un consiglio informale dei ministri del commercio estero.
Le incognite sul destino del trattato “trans-Atlantico” non sono poche, ma più che da fatti nuovi scaturiscono da calcoli elettorali. Calcoli che, purtroppo, non guardano al valore economico e al significato geo-politico di un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti. Non considerano i vantaggi che si potrebbero avere con questo accordo in tema di convergenza su norme tecniche che eliminerebbero barriere all’esportazione delle nostre imprese. O, per venire all’Italia di “Italian sounding”.
Al momento infatti negli Stati Uniti, vengono venduti come “italiani” prodotti che nove volte su dieci non lo sono. Come abbiamo insistito più volte, sarebbe forse possibile mettere in evidenza che queste sono frodi a danno dei consumatori americani. Invece di tentare di influenzare e orientare il negoziato su questi temi, si preferisce attaccare un accordo che ancora non c’è.
Così si finisce anche per svilire le istituzioni europee, considerate implicitamente incapaci di portare a termine (il ruolo della Commissione) o di valutare, appoggiandolo o respingendolo (ruolo di Parlamento e Consiglio) un testo di accordo una volta che abbia preso una forma compiuta.
E non, come è adesso, una serie infinita di parentesi quadre.
di Paolo De Castro
Coordinatore S&D Commissione Agricoltura e sviluppo rurale Parlamento europeo