Torniamo ancora una volta sul tema della prevalenza delle attività agricole ai fini della determinazione del reddito agrario già più volte trattato in questa rivista e oggetto di numerosissimi quesiti che i lettori fanno pervenire in redazione (vedi anche TV 31/2017). Nei giorni scorsi infatti è stata pubblicata la sentenza n. 18071 del 3.5.2017 (dep. 21.7.2017 Cass. Trib.) nella quale si consolida il principio sulla verifica della prevalenza nel rispetto dei limiti per la determinazione del reddito agrario basata sull’effettiva prevalenza in termini quantitativi del prodotto ottenuto dal terreno, dal bosco o dagli animali su di esso allevati rispetto al prodotto acquistato.
La questione è tutt’altro che banale; si tratta di individuare la misura con la quale valutare se una determinata attività rientra nell’esercizio dell’attività agricola e quindi nella tassazione catastale o se questa attività esuli e quindi sia un’attività soggetta al reddito di impresa. La Corte di Cassazione aveva a nostro avviso già ben indirizzato l’interpretazione della norma che oggi esplicita.
Attività agricola
Vediamo di capire bene la questione: l’attività agricola viene definita in via civile dall’art.2135 c.c. che stabilisce l’attività dell’imprenditore agricole. A livello fiscale il reddito agrario viene definito dall’art.29 del Tuir nel primo comma lo si definisce come “costituito dalla parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d’esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti della potenzialità del terreno, nell’esercizio di attività agricole su di esso.
Sono considerate attività agricole: a) le attività dirette alla coltivazione del terreno e alla silvicoltura….omissis…le attività di cui al terzo comma dell’articolo 2135 del codice civile, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, ancorché non svolte sul terreno, di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali…”.
Orbene la Corte di Cassazione nella Sentenza ci dice: “l’applicabilità della norma richiede la ricorrenza di due presupposti: a) che i prodotti oggetto di lavorazione abbiano avuto origine dal proprio terreno, rispetto al quale viene determinato il reddito (presupposto qualitativo) b) che i prodotti così individuati costituiscano almeno la metà di quello lavorati (presupposto quantitativo).” Quindi continua la Corte “il profilo quantitativo è definito esclusivamente con riferimento alla provenienza dei prodotti, senza che assuma alcun rilievo la qualità e quindi il valore economico degli stessi, elementi completamente ignorati dal legislatore; quindi, per quanto riguarda il profilo quantitativo, il riferimento alla “metà” dei prodotti non consente una interpretazione diversa da quella riferibile al calcolo quantitativo, secondo l’unità di misura utilizzata per il prodotto in discussione, stante l’assenza di criteri ulteriori e diversi che ricollegherebbero il concetto di metà, non già alla quantità ma al valore.”
Uva con uva, vino con vino
Quindi, se un agricoltore acquista uva per il calcolo della prevalenza si dovrà fare riferimento alla quantità di uva (quintali) parimenti prodotta, a nulla rilevando il valore della stessa o altri elementi economico o teorici esterni. La sentenza infatti ci ricorda che due sono le condizioni che debbono essere rispettate: il presupposto qualitativo (il prodotto che acquisto deve essere lo stesso che produco effettivamente), il rapporto di prevalenza in termini quantitativi legati alla quantità di prodotto acquistato (se acquisto vino feccioso misurerò in ettolitri di vino rispetto a quelli derivanti dalla produzione dei propri vigneti e così via).
Reputiamo importante che gli agricoltori prima di porre in essere operazioni di acquisto valutino, se vogliono rimanere nel reddito agrario, le due condizioni sopra riportate.