Ci avviciniamo a grandi passi al 150esimo anniversario dalla costituzione dell’Istituto agrario di San Michele, ora Fondazione Edmund Mach, in quello che era un convento di agostiniani per opera della Dieta tirolese. Su passato, presente e futuro della Fem abbiamo fatto il punto con il direttore generale Mario Del Grosso Destreri.
Oggi come 150 anni fa, La Fondazione Mach svolge un ruolo centrale per il futuro dell’agricoltura trentina. Ritiene che oggi la Fem sia attrezzata per dare risposte adeguate a un modello di agricoltura di montagna che per sopravvivere deve essere sostenibile non solo dal punto di vista ambientale ma anche economico e sociale?
«Per dare un futuro ai nostri giovani l'agricoltura trentina deve proseguire sulla strada della sostenibilità ambientale, economica e sociale. Qualità dei prodotti e attenzione all'ambiente, in altre parole un sistema agroalimentare sano, resiliente e rispettoso della natura che ci circonda, deve essere l'obiettivo di una strategia comune. Fin dalle sue origini, nel lontano 1874, la Fondazione Mach si è posta l’obiettivo di dare risposte alle problematiche dell’agricoltura del nostro territorio. Fem oggi prosegue su questo solco e sta facendo molto in termini di istruzione, formazione, servizi al territorio, sperimentazione e ricerca. E lo fa con un’attenzione locale ma uno sguardo globale, cercando di rispondere innanzitutto alle esigenze del nostro territorio e grazie a una rete di collaborazioni internazionali emergono risultati e soluzioni che possono giovare ai problemi dell'agricoltura mondiale».
Quali sono i principali progetti che state sviluppando per raggiungere questi obiettivi?
«Partono e si concludono regolarmente tantissimi progetti di formazione, ricerca e trasferimento tecnologico con una costante: la competenza dell’ente negli ambiti di riferimento, cioè agricoltura, alimenti e ambiente. Pensando alle novità, partirei dalla formazione con l'impegno che prosegue per formare i futuri esperti di agricoltura rispondendo alla diversificata richiesta di professionalità da parte del mondo del lavoro attraverso l'istruzione secondaria tecnica e professionale. Da quest’anno abbiamo attivato un percorso quadriennale sperimentale. Si tratta di una sezione aggiuntiva che porterà al raggiungimento in quattro anni del diploma di Istituto tecnico-tecnologico, indirizzo agraria, agroalimentare e agroindustria, nell'articolazione Gestione ambiente e territorio. E così da settembre abbiamo una nuova classe sperimentale composta da 22 alunni».
E per l’assistenza tecnica?
«L’impegno di Fem è essere ancora più vicini al territorio e dare risposte sempre più mirate e tempestive al mondo agricolo. Di ecente abbiamo rafforzato la nostra presenza su alcuni ambiti di nicchia come il florovivaismo, mentre sulle colture a più larga diffusione la collaborazione con le organizzazioni di settore e gli agricoltori prosegue in maniera produttiva e sinergica. Per l’anno prossimo vogliamo rinnovare alcune delle nostre piattaforme web di interazione ed erogazione servizi. In riferimento alla ricerca possiamo affermare che vediamo aumentare la qualità scientifica già eccellente. Più che fare un elenco di progetti, che potrebbe essere molto lungo, vorrei ricordare gli ambiti sui quali le attività di ricerca sono focalizzate ora e nei prossimi anni: fitopatie, specie aliene, gestione dell’acqua, miglioramento genetico, qualità alimentare, biodiversità degli ecosistemi ed economie circolari. In tutti questi ambiti l’applicazione delle nuove biotecnologie e delle tecnologie digitali ci sta consentendo importantissimi progressi nella ricerca».
Il mondo agricolo attende con ansia cultivar sempre più resistenti alle principali crittogame: ticchiolatura, peronospora e oidio per poter ridurre la difesa chimica a base di fitofarmaci.
«L’impegno per sviluppare cultivar resistenti è un altro obiettivo di Fem. Per il melo il programma di miglioramento genetico è iniziato nel 1999 ed è finalizzato alla ricerca di accessioni migliorative rispetto all’attuale assortimento varietale tramite incroci mirati. L'attenzione è rivolta ai caratteri di resistenza alle principali avversità del melo, principalmente ticchiolatura, oidio e colpo di fuoco batterico e alle caratteristiche di rilevo per la conservazione dei frutti e il periodo di raccolta. Tutte queste selezioni, non ancora registrate e quindi ancora in fase sperimentale, si potranno proporre come varietà innovative e idonee ai diversi ambienti di coltivazione».
E sul breeding, attività intrapresa 36 anni fa quali sono i progetti?
«Per quanto riguarda la vite abbiamo intrapreso un’intensa attività di breeding sin dal 1987. Oggi i piani di incrocio producono circa 35-40mila semi l’anno suddivisi in circa cento combinazioni di incrocio. Tale attività prevede l’uso di tecniche che permettono di selezionare genotipi portatori di molteplici caratteri di resistenza verso oidio, peronospora, marciume nero, ecc. Da questo lavoro sono nate varietà, disponibili anche a livello commerciale, tolleranti alla botrite, da cui viene prodotto il vino denominato “Pianta 9”, nome che ricorda il posizionamento della varietà sulla fila del campo sperimentale durante le prime fasi di selezione (Fila 1, Pianta 9). sempre da questo filone di ricerca nascono le quattro varietà Charvir, Valnosia, Termantis e Nermantis con importanti caratteristiche di resistenza a oidio e peronospora».
I vini Piwi stanno diventando importanti per la sostenibilità.
«Lo sviluppo di nuove cultivar è un impegno che richiede, oltre che competenza, costanza e tenacia lungo un importante arco di tempo, ma che ha già portato dei risultati di grande interesse e nel quale la Fondazione crede molto come dimostrato anche dalla terza Rassegna dedicata ai vini Piwi che si è appena conclusa. Su questo fronte posso anticipare che altre varietà sono in stato di sviluppo molto avanzato e prossime alla registrazione.
E poi ci sono le Tea.
Dalle tecniche di evoluzione assistita arriva un grande impulso all’innovazione in agricoltura. Queste nuove biotecnologie promettono di essere lo strumento chiave per aumentare la sostenibilità dei sistemi agricoli e anche per accelerare i tempi di sviluppo rispetto alle tecniche attuali. Una sfida quindi cruciale per la competitività del settore agroalimentare nazionale e per la ricerca scientifica del nostro Paese: creare varietà resistenti ai patogeni, coltivabili con meno input chimici, in grado di fronteggiare gli effetti del cambiamento climatico, e, al tempo stesso, soddisfare le richieste alimentari di una popolazione mondiale in crescita».
Quali sono i principali progetti dei quali la Fem è capofila a livello internazionale?
« Tra quelli partiti più di recente c’è Promedlife, finanziato dal programma europeo “Prima” finalizzato a valorizzare le conoscenze e le produzioni del settore agroalimentare dal punto di vista qualitativo, della sostenibilità e del valore. Un altro è Remotrees finanziato dal programma Horizon Europe per monitorare le foreste più remote del pianeta. In questa iniziativa la fusione dei dati ottenuti da sensori applicati agli alberi con quelli ottenuti dalle immagini satellitari permetterà di migliorare i modelli computazionali per mappare lo status delle foreste, favorendone una gestione più sostenibile e massimizzandone il sequestro di carbonio.
Siete coinvolti anche nel Pnrr?
«Giochiamo un ruolo rilevante a livello nazionale. Il nostro essere concentrati sulle necessità del mondo agricolo trentino ci consente di ottenere risultati che diventano di interesse anche per altri enti e territori a livello nazionale e internazionale. Questo ci è stato dimostrato anche dall’interesse che abbiamo riscosso con il coinvolgimento della Fondazione da parte di iuniversità che ci hanno voluto presenti in progetti e consessi decisionali che vedono la presenza di enti più importanti di noi, non solo per dimensione ma anche per maggiore rilevanza riconosciuta. In ambito Pnrr, Fem è tra i fondatori del “Centro Nazionale per le Tecnologie dell’Agricoltura” (Cn Agritech), per la ricerca e lo sviluppo di tecnologie innovative nel settore agricolo, garantendo l’adattamento sostenibile ai cambiamenti climatici. Siamo nel “National Biodiversity Future Center” (Nbfc), dove Fem sarà attiva nello studio a favore della biodiversità degli ecosistemi alpini. Infine siamo presenti nel “Research and Innovation Network on food and nutrition sustainability, safety and security” (Onfoods), per lo sviluppo di strategie per un’alimentazione sostenibile e di qualità ed è parte dell’’Interconnected Nord-Est Innovation Ecosystem (I-Nest), volto a potenziare ed estendere rapidamente i benefici delle tecnologie digitali alle aree di specializzazione chiave del territorio del Nord-Est italiano».
Portate avanti anche progetti finanziati dal Masaf? Su quali settori?
«Si, riguardano alcune delle principali filiere del nostro territorio: vitienologica, lattiero-casearia, frutta a guscio, olio, foreste-legno e acquacoltura. A parte il progetto relativo alla filiera dell’acquacoltura che è già stato approvato, per gli altri siamo in attesa della valutazione finale da parte del ministero, ma siamo fiduciosi: questi sono progetti di particolare rilievo per noi, perché ci vedono coinvolti insieme alle organizzazioni di settore e alle aziende per attività che comportano una diretta ricaduta della ricerca sulle filiere agroalimentari».
La scuola è sempre stata il fiore all’occhiello della Fem che ha sfornato migliaia di periti agrari ed enotecnici che hanno diretto le aziende e le cantine di mezzo mondo. Ora ha dei programmi adeguati alle nuove aspettative del mondo agricolo e dei consumatori?
«I programmi della scuola continuano ad essere aggiornati e strutturati proprio sulla base delle esigenze che arrivano dal mondo produttivo. I diversi livelli formativi erogati vanno proprio in questa direzione. Il tutto attestato da una qualità dell’offerta come testimoniato anche dalla recente indagine Eduscopio della Fondazione Agnelli che valuta le scuole superiori in Italia. Siamo ai primi posti, promuovendo una filiera formativa completa e articolata su più livelli dall'istruzione tecnica e professionale al corso post diploma per arrivare al programma di dottorato in collaborazione con una cinquantina di enti e università».
Sul fronte della consulenza tecnica, anello fondamentale per accelerare il passaggio dei risultati della ricerca alle aziende come intendete adeguare il servizio alle nuove esigenze del mondo agricolo?
«L’agricoltura sta cambiando e anche le sue esigenze. Globalizzazione, nuove normative, vantaggi competitivi, attenzione per il benessere animale, tutela dell’ambiente, sviluppo rurale, diritti dei consumatori, sono tra i tanti temi che coinvolgono i nostri agricoltori e le nostre aree rurali. Di recente il Centro di trasferimento tecnologico è stato riorganizzato per essere ancora più efficiente e vicino al territorio; la creazione di uno specifico dipartimento “Innovazione nelle produzioni agrarie e zootecniche”, che accorpa tutte le attività di assistenza tecnica sul territorio ne è una testimonianza. Fornire più attenzione al territorio e ai bisogni degli agricoltori implica l’esigenza di comunicare in modo sempre più efficace: ecco dunque che nel Centro è stata creata un’unità di comunicazione a supporto dei tecnici per essere ancora più tempestivi nel fornire le informazioni utili al mondo agricolo. Ad aiutarci in questa attività arrivano anche le nuove tecnologie per essere più precisi nell’acquisizione dei dati che servono sia ai tecnici sia agli agricoltori».