Negli ultimi mesi si è parlato molto di una politica agraria che torni a sostenere l’agricoltura per accrescere gli approvvigionamenti alimentari, come negli ’60-’90. A tal proposito si evocano i rischi per l’Unione europea e per l’Italia della carenza di cibo. Soprattutto in caso di eventi eccezionali come pandemie o guerre. I promotori di questa visione auspicano una politica agraria basata sugli aiuti accoppiati alla produzione, in contrapposizione agli attuali sostegni della Pac orientati alla sostenibilità e alla remunerazione dei beni pubblici ambientali (condizionalità, ecosistemi e impegni agro-climatico-ambientali).
Per giustificare questa politica, da più parti, si afferma che l’Ue e soprattutto l’Italia abbiano problemi di approvvigionamento e di sicurezza alimentare.
Ma non è vero. Chi evoca lo spauracchio della carenza di cibo dice una falsità. I dati dimostrano che l’Europa ha risolto il problema degli approvvigionamenti alimentari da oltre 40 anni. Con un valore di oltre 200 miliardi di euro, oggi l’Ue è il maggior esportatore netto di prodotti agroalimentari del mondo, ben superiore agli Stati Uniti.
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La situazione dell’Italia è diversa. Il grado di approvvigionamento di molti prodotti agricoli è basso: 36% grano tenero, 40% frutta a guscio, 41% mais, 43% carne bovina, 65% grano duro, ecc.
Ma anche nel nostro Paese il saldo import-export agroalimentare è positivo, con oltre 60 miliardi di euro di esportazioni, dal 2018 superiori alle importazioni. L’Italia importa molti prodotti agricoli di base, ma ha una forte vocazione trasformatrice ed esportatrice e la maggior parte di ciò che entra serve per realizzare prodotti trasformati da vendere all’estero più che al soddisfacimento dei consumi interni. Il caso del grano duro è emblematico. Il grado di approvvigionamento è del 65%, ma produciamo 3,7 milioni di tonnellate di pasta, di cui 1,5 per il consumo interno e 2,2 per l’export. Per sfamare gli italiani bastano 2,4 mln/t di grano duro: ne produciamo 3,7. Il grado di approvvigionamento della pasta è del 220%. Quindi l’Italia non è lontana dalla sovranità alimentare.
I problemi dell’agricoltura europea e italiana sono la protezione delle rese falcidiate dalle avversità climatiche, la stabilizzazione dei prezzi soggetti alla pazzesca volatilità dei mercati e la perdita di valore lungo la filiera.
Per affrontarli gli aiuti accoppiati non servono, anzi spesso sono dannosi. Eppure, molti stakeholder pensano il contrario. Ad esempio, nella Pac 2023-2027 sono stati aumentati fino al livello massimo del 15% dei pagamenti diretti. Invece, la teoria economica ritiene che i pagamenti accoppiati dovrebbero essere eliminati, o limitati nel tempo, poiché inefficaci. Basta vedere la scarsissima efficacia dei fondi “grano duro”, “filiere” e “sovranità alimentare”. Solo alcuni pagamenti accoppiati mirati possono avere senso per valorizzare risorse territoriali (vacche nutrici, ovicaprini, barbabietola), che potrebbero rischiare l’abbandono (questa è la loro motivazione anche nella Pac), non certo per sfamare gli italiani.
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Qualcuno sostiene che gli aiuti accoppiati e i prezzi garantiti servano per dare dignità all’agricoltore. Ma l’agricoltore acquisisce dignità se è orientato al mercato e all’innovazione, altrimenti è solo un assistito.
Altri ritengono che l’autorità pubblica debba garantire un prezzo superiore ai costi di produzione, per un reddito adeguato all’agricoltore. Giusto contrastare le pratiche sleali, ma quando i prezzi di un prodotto sono inferiori al costo di produzione, vuol dire che la domanda è scarsa e sostenere la produzione, deprime ancora di più il mercato. L’aumento della produzione agricola dell’Ue e dell’Italia è un obiettivo importante, ma non tornando alla vecchia politica di sostegno alle produzioni, inefficace e il più delle volte dannosa.
di Angelo Frascarelli
Docente di Economia e politica agraria all’Università di Perugia
Parzialmente vero, caro professore!
Perché noi agricoltori si viva di mercato necessita la soppressione dell’intera PAC o, meglio, che la PAC rimanga solo come sussidio alla burocrazia che si occupa della sua erogazione ed in modo tale che sia manifesta al cittadino la sua inutilità per chi vive di mercato.