In Campania un’annata positivamente ordinaria, cioè come era attesa; in Puglia e Basilicata un’annata decisa quasi ovunque dalla disponibilità di acqua irrigua. È andata così nelle principali aree di produzione del pomodoro da industria del Sud Italia. Con riflessi inevitabili su rese, qualità e prezzi.
Campania: pregi e limiti della produzione precoce
La Campania è un areale precoce per il pomodoro da industria e questo è a volte un aspetto positivo e altre volte negativo, afferma Luciano Simonetti, presidente dell’Op Associazione produttori ortofrutticoli partenopea (Apopa), che ha sede a Caivano (Na) e soci che coltivano 2800 ha a pomodoro da industria fra Campania, Puglia, Basilicata, Molise, Lazio, Umbria e Calabria.
«Precoce significa che già nei primi giorni di luglio, quest’anno il 7 luglio, cominciamo a collocare il prodotto presso le industrie di trasformazione ed entro la prima decade di agosto abbiamo raccolto oltre l’80% del pomodoro. Siamo figli della campagna precedente: se è terminata male la nostra nuova non comincia bene, se è finita bene anche la nostra nuova inizia con un umore positivo. Quest’anno è iniziata bene, perché l’anno scorso i prezzi al produttore sono stati favorevoli, ma, in fondo, è stata un’annata ordinaria: il fatto che si sia conclusa abbastanza presto non ci ha permesso di beneficiare dell’incremento di prezzi che si è registrato in altre regioni verso metà-fine campagna. Non avendo sofferto né la carenza di acqua, che almeno per adesso non ci manca, né particolari problemi fitosanitari né la presenza di orobanche, abbiamo ottenuto rese medie su circa 1000 q/ha e una qualità più che buona. I prezzi sono stati quelli contrattati in sede di accordo con l’Anicav per il Bacino centro meridionale, mentre altrove chi è riuscito a produrre ha spuntato prezzi parecchio più alti. Forse l’unico vero problema, visto che le produzioni sono tutte precoci e numerosi produttori raccolgono negli stessi giorni, è organizzare una logistica, in termini di disponibilità di camion, in grado di garantire un armonioso deflusso di pomodoro verso le industrie di trasformazione».
Puglia e Basilicata: poca acqua negli invasi consortili
In Puglia e Basilicata è stata la disponibilità costante di acqua irrigua il discrimine fra l’esito positivo e quello negativo della campagna di produzione e raccolta del pomodoro da industria. Che sarebbe andata così, afferma Mario Cardone, agronomo di campo operante nelle due regioni, era chiaro già prima dell’inizio dei trapianti, a causa della scarsa disponibilità di acqua negli invasi gestiti dai consorzi di bonifica.
«In Puglia il Consorzio per la bonifica della Capitanata aveva anticipato che non avrebbe potuto erogare acqua agli agricoltori. In Basilicata il Consorzio unico di bonifica della Basilicata aveva avvertito i produttori che avrebbe potuto garantire acqua solo per la metà della superficie aziendale servita nel 2024. Ne è conseguito che la superficie coltivata a pomodoro da industria nelle due regioni è calata nel 2025 del 20% rispetto al 2024. Molti produttori non hanno trapiantato. Altri hanno cercato di affrontare le difficoltà con l’ausilio di vasconi o pozzi aziendali, ma i pozzi non sempre hanno garantito una fornitura stabile di acqua: parecchi aperti in fretta all’inizio del 2025 hanno fornito poca acqua, poi, per abbassamento della falda, si sono prosciugati e, una volta secchi, sono stati chiusi. Si conseguenza molti terreni sono stati abbandonati, in altri il pomodoro ha sofferto di marciume apicale».
Chi ha irrigato ha ottenuto belle produzioni
Con queste premesse, aggiunge Cardone, chi è riuscito comunque a irrigare in maniera costante i propri campi ha ottenuto belle produzioni in quantità e in qualità.
«L’annata è decorsa senza eccessivi picchi termici e soprattutto non prolungati per troppi giorni. Le temperature medie sono state leggermente inferiori a quelle del 2024, tanto da favorire un’ottima allegagione. E in piena estate la raccolta non è stata ostacolata da improvvise e sgradevoli piogge, come è accaduto gli anni scorsi. Per chi ha fatto quantità, anche la qualità si è mantenuta su alti livelli».
Oltre la crisi idrica, orobanche e acari
Se si esclude la difficoltà per molte aziende di un approvvigionamento idrico costante, è stata per il resto un’annata normale, sottolinea Cardone.
«Infatti si sono presentati i problemi di ogni anno: l’orobanche e gli acari, il ragnetto rosso e l’eriofide rugginoso. L’orobanche è ormai diffusa in tutti gli areali delle due regioni, da Manfredonia (Fg) a Palazzo San Gervasio (Pz), è vulnerabile solo nel periodo che intercorre fra l’emergenza dei semi e la connessione parassitaria degli austori delle proprie radici alle radici delle piante ospiti per ricavare sostanze nutritive. In alcuni campi si è valutato un protocollo a base del diserbante rimsulfuron messo a punto dall’Università di Foggia. Per il controllo dei due acari è stato chiesto al Comitato tecnico di coordinamento delle Op centro-meridionali del pomodoro da industria, che ogni anno aggiorna il disciplinare di produzione, di poter effettuare un quarto trattamento, oltre ai tre già previsti, ma i produttori sono stati penalizzati dalla scarsità di principi attivi disponibili e dalla carenza, quest’anno di acaricidi presso le farmacie agricole».
Scarso prodotto, aumento dei prezzi al produttore
La scarsità di prodotto ha favorito l’aumento dei prezzi al produttore. «La raccolta delle varietà precoci a metà luglio è partita rispettando i prezzi stabiliti per contratto, cioè 15,50 centesimi di euro al chilo per il lungo e 14,75 per il tondo. Ma dalla prima decade di agosto i prezzi sono cresciuti quasi di un centesimo a settimana, stabilizzandosi per il lungo sui 21-22 centesimi e per il tondo sui 18 centesimi. L’incremento dei prezzi è stato tuttavia vanificato, nella formazione del reddito aziendale, dall’aumento dei costi energetici per tirare acqua dai pozzi. Questo, naturalmente, per chi, avendo l’acqua, ha ottenuto prodotto. Per chi è rimasto senza acqua o con poca acqua la situazione è stata semplicemente drammatica, fatta di campi abbandonati o di basse produzioni a fronte di costi alti».













