FOTOVOLTAICO

Dazi pannelli cinesi, IFI risponde al WWF

Cremonesi: «Il dumping è contrario ai principi di sviluppo sostenibile, valore primario per qualsiasi organizzazione ambientalista come il WWF»

Il Comitato IFI, associazione che riunisce circa il 90% dei produttori nazionali di celle e moduli fotovoltaici, ha inviato una lettera al WWF in risposta a quanto affermato dall'associazione ambientalista in merito ai dazi imposti dalla Ue sui pannelli solari cinesi.
«Premesso che
, in condizioni di libero mercato, nessun operatore dovrebbe consentire l’innalzamento di barriere all’ingresso per proteggere un proprio vantaggio competitivo (principio cardine sostenuto e condiviso da tutte le industrie fotovoltaiche nazionali) - si legge nella lettera - tuttavia, l’evidenza provata dalla Commissione Ue dell’esistenza di un margine di dumping nella vendita dei pannelli cinesi in Europa dell’ordine medio dell’88%, fa sì che, anche nelle considerazioni della Commissione in apertura del suo documento di Regolamento esecutivo, non si possa non denunciare che evidenze di pratiche scorrette da parte di produttori/esportatori cinesi siano state poste in essere, provocando un grave danno a tutta la manifattura europea».
Secondo Alessandro Cremonesi, presidente IFI «È curioso come il WWF entri nel merito di una disputa commerciale tra Europa e Cina sul dumping fotovoltaico. Tra l’altro, il dumping è contrario ai principi di sviluppo sostenibile, valore primario per qualsiasi organizzazione ambientalista».
«In effetti - prosegue la lettera - il principio di sviluppo sostenibile legato a un settore economico dovrebbe assolvere ad almeno tre requisiti chiave, senza i quali non si può dichiarare tale: sostenibilità economica, sociale ed ambientale, tutti e tre disattesi, secondo il Comitato IFI, attraverso il susseguirsi di pratiche di dumping.
Per quanto concerne la sostenibilità economica, il susseguirsi di aggressive pratiche di dumping non hanno creato per il settore generazione di valore, ma semmai distruzione; la conseguenza è stata eloquente, con la chiusura di circa 60 industrie in tutta Europa, la perdita di migliaia di posti di lavoro e l’inizio di procedure di insolvenza con relativo fallimento delle stesse. Tuttavia, anche da parte cinese, il dumping ha portato la maggior parte dei produttori cinesi a riportare importanti perdite di bilancio e valori negativi di crescita. L’unica differenza tra le aziende europee e quelle cinesi è stata che le prime hanno dovuto intraprendere la strada della bancarotta poiché non sostenute da nessuno, mentre le seconde hanno ricevuto risorse a copertura delle perdite grazie all’intervento del loro Governo e di un sistema nazionalizzato di ricorso al credito. Il tutto ha fatto evitare loro un fallimento.
In relazione alla sostenibilità sociale, il dumping non ha generato una maggiore facilità di accesso al prodotto da parte dei consumatori, ma ha solo alimentato azioni speculative condotte da grandi gruppi finanziari e bancari, generando proventi al di sopra di qualunque investimento redditizio alternativo. Invece, l’Europa è riuscita nell’arco di due anni a più che dimezzare il prezzo di vendita dei propri prodotti, grazie all’innovazione tecnologica e all’ottimizzazione dei processi di scala, rendendo facilmente accessibile il prodotto al consumatore finale, che ha visto più che diminuire sostanzialmente il prezzo delle installazioni di impianti fotovoltaici in un arco di tempo molto breve.
In relazione poi alla sostenibilità ambientale, non sono condivisibili i dati provenienti da agenzie internazionali di rilievo mondiale, quale ad esempio l’IEA (International Energy Agency) che fornisce i parametri di quota di utilizzo di energia da fonti fossili e rinnovabili nel consumo di energia elettrica. Infatti produrre un kW di moduli fotovoltaici in Cina, piuttosto che in Europa, comporta un utilizzo di energia da fonte fossile significativa rispetto alla media di alcuni Paesi europei. Produrre quindi lo stesso kW di moduli fotovoltaici in Europa piuttosto che in Cina permette un risparmio di metà delle emissioni di CO2.
Contando poi che la produzione di moduli cinesi nel solo 2012 è stata di 20 GW, la stessa quantità prodotta in Europa avrebbe, per quel solo anno, evitato emissioni di CO2 per circa 25.000.000 di tonnellate».



La lettera al WWF si conclude con l’intento dichiarato da IFI di non voler proseguire una sterile polemica. Il Comitato IFI apre al WWF e invita lo stesso ad una collaborazione efficace per fornire suggerimenti concreti al fine di ristabilire la parità competitiva nel settore fotovoltaico e per riparare ai seri e gravi danni provocati all’Industria nazionale ed Europea, derivati dal protrarsi delle pratiche di dumping poste in essere dagli operatori cinesi.
Du.B.


Dazi pannelli cinesi, IFI risponde al WWF - Ultima modifica: 2013-06-14T14:54:10+02:00 da Redazione Terra e Vita

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