«Abbiamo dimostrato che il biogas e il biometano in Italia sono filiere mature, in grado di portare un significativo contributo alla decarbonizzazione. Ora, però, serve un sostegno che vada oltre l’immediatezza di un biennio o di un triennio, per dare alle imprese la possibilità di programmare gli investimenti a medio termine». Così Piero Gattoni, presidente del Consorzio Italiano Biogas, riassume questi ultimi anni di corsa forsennata ai bandi Pnrr. Ma ha anche tanto altro da aggiungere.
Gattoni, può commentare innanzitutto la sua recente nomina alla presidenza di Eba, l’ente europeo che raggruppa le associazioni dei produttori di biogas di quaranta Paesi?
«Lo considero un segnale di apprezzamento per i risultati che il nostro sistema produttivo ha saputo collezionare, in questo ambito, negli ultimi 20 anni».
Sono d’obbligo, visto il periodo, alcune considerazioni su biometano e Pnrr.
«La notizia di questi giorni è la rimodulazione del Piano, che andrà ad aggiungere 640 milioni di euro ai fondi per il biometano. Questo permetterà a tutti i 298 progetti approvati con il quinto e ultimo bando di accedere alle misure in conto capitale. Attualmente, 148 sono in bilico, in quanto i vari adeguamenti all’inflazione hanno reso i fondi attuali insufficienti. Con l’ufficialità della rimodulazione, tutte le imprese avranno certezza di accesso agli aiuti e potranno aprire i cantieri».
Cantieri che, ricordiamolo, si dovranno chiudere entro un anno con l’immissione in rete del metano. Non è un po’ ottimistico?
«Pensare che i progetti attualmente in asta possano essere conclusi e funzionanti entro il 30 giugno 2026 è azzardato. Fortunatamente, abbiamo avuto rassicurazioni circa la volontà di modificare i criteri per ritenere concluso il cantiere. Superare il vincolo che lega la fine dei lavori alla chiusura della pratica di immissione del biometano nella rete Snam evita di subordinare le imprese a fattori indipendenti dalla loro volontà. I tempi di Snam, al momento, rappresentano la maggiore incognita per la conclusione dei cantieri. Sostituire questo passaggio formale con la dichiarazione fine lavori rimette le aziende agricole al centro del loro destino. Questa importante variazione dovrebbe essere contenuta nel decreto di riallocazione delle risorse Pnrr e potrebbe fissare come data ultima per l’immissione in rete del biometano il 31 dicembre 2027, ossia la scadenza della proroga concessa alle Comunità Energetiche Rinnovabili».
Manca un anno, ma ormai i pilastri del Pnrr sono stati piantati. Per quanto riguarda la vostra filiera, qual è il giudizio che possiamo dare? La considera un’esperienza positiva?
«A conti fatti, direi di sì senza esitazioni. Per tre motivi».
Può esplicitare questi motivi?
«Il primo è che l’Italia ha fatto, in questi anni, una precisa scelta di campo: siamo stati il Paese che ha investito la maggior quota di fondi Ue nella filiera agroindustriale e nella transizione energetica legata all’agricoltura. Secondo motivo di soddisfazione è che, grazie a un dialogo costante con i vari ministeri, è stato possibile correggere in corsa i problemi causati dagli sconvolgimenti geopolitici recenti».
Non restano punti critici?
«Qualcuno c’è ancora. Per esempio, il sistema di bandi e rendicontazioni europeo, talvolta inspiegabilmente rigido e tale da mettere in difficoltà le aziende».

Si parlava di tre motivi di soddisfazione, però.
«Il terzo è che quest’avventura ha mostrato in modo chiaro e oggettivo quali filiere e tecnologie sono pronte a dare una risposta di breve periodo alle necessità della transizione energetica. Si è visto che, se si vogliono centrare gli obiettivi del 2030, si deve investire su sistemi come quello del biogas e biometano. Se adeguatamente sostenuto, il settore delle agroenergie è pronto a fornire, nei prossimi quattro anni, un contributo decisivo agli obiettivi del Piano di Resilienza».
Tutto ciò avviene grazie all’intraprendenza degli agricoltori italiani?
«Non soltanto. Dietro al biometano c’è una filiera matura, con anni di esperienza dovuti al biogas. Non è un caso, del resto, se anche all’estero usano componentistica italiana per i loro impianti».
Quali prospettive dobbiamo attenderci per il futuro?
«Il DL Agricoltura, con il decreto 5 Bis, ha reso possibile una filiera corta per la sostenibilità del biometano. Significa che gli agricoltori possono stringere contratti di compravendita di biometano con le industrie energivore in settori come acciaio, ceramica, carta o chimica. Grazie al biometano, queste aziende potranno più facilmente decarbonizzarsi restando competitive sul mercato, mentre il settore agricolo intravede una prospettiva che va al di là della contingenza attuale. Un progetto per gli anni a venire».
Un anno fa il settore era in apprensione per il destino degli impianti che non possono essere convertiti al biometano. Le cose oggi vanno meglio?
«Certamente. Il varo del Prezzo Minimo Garantito ha dato garanzia di prosecuzione a queste installazioni, che sarebbe stato delittuoso perdere. Potranno continuare a produrre energia elettrica valorizzando il loro investimento iniziale».
Cosa si può dire sul regime delle nuove installazioni Fer2?
«Attualmente i bandi del Gse (gestore dei servizi energetici, ndr) viaggiano su incentivi rimasti immutati da almeno quattro anni e sicuramente inadeguati alla situazione attuale. Penso che il prossimo bando avrà poche adesioni, ma auspichiamo che il Gse decida di rivedere presto le tariffe. Il biogas, con opportuni incentivi, potrebbe diventare una sorta di batteria di accumulo biologica per il fotovoltaico e l’eolico. Fatta 100 la sua potenzialità, per esempio, esso potrebbe dimezzare la produzione durante il giorno e raddoppiarla nelle ore notturne, quando il fotovoltaico si ferma. È un tema delicato, da considerare in ottica di sviluppo prospettico per le installazioni che proseguiranno la produzione elettrica da biogas».