«Un anno da dimenticare, sia per la stretta creditizia che per l’andamento stagionale e senza l’impianto a biogas non so come avremmo fatto a tenere i conti a posto». Stigmatizza così l’annata appena conclusa Paolo Bizzoni, suinicoltore di Caravaggio (Bg), con un impianto a biogas da 1 MW. «Nel 2013 i livelli produttivi del biogas sono stati buoni grazie alla nostra scelta imprenditoriale, fatta nel 2009, di alimentare il biodigestore anche con sottoprodotti agricoli e agroindustriali e non solo con trinciato di mais, coltura estremamente penalizzata lo scorso anno a seguito delle semine tardive e della riduzione produttiva superiore al 20%».
E solo chi ha costruito un impianto tarato perfettamente sulla realtà aziendale, autosufficiente dal punto di vista dell’approvvigionamento della materia prima, è riuscito a superare indenne il 2013.
Tant’è che «il semplice maiscoltore senza impianto a biogas – rincara la dose un altro suinicoltore del mantovano Umberto Castagna – ha avuto gravissimi problemi: il trinciato infatti ha un mercato molto limitato e ad inizio stagione si sono creati sbilanciamenti di prezzo, rientrati verso la fine dell’anno a seguito dell’immissione sul mercato di grandi quantità di trinciato di mais che non era stato possibile mandare a granella per via della stagione avanzata».
E proprio sull’attenzione particolare posta all’anomalo andamento stagionale si è giocata la partita della qualità della materia prima per il biogas nel 2013.
«Se in periodi normali la trinciatura del mais per un impianto da 1 MW avveniva in 4-5 giorni, quest’anno abbiamo raccolto per 45 giorni, andando appezzamento per appezzamento a vedere il livello di maturazione – sottolinea Giuseppe Kron Morelli socio di un impianto da 1 MW nel bresciano –; questo ci ha consentito di avere riscontri nella qualità tendenzialmente buoni. Dal punto di vista economico, cioè costo della materia prima, purtroppo, i prezzi di mercato sono stati più bassi perché se in Italia è stata un’annata povera, in tutto il resto d’Europa è stata un’annata record, quindi i prezzi sono stati molto più bassi».
Premiare l’agricoltore
Per compensare la scarsa qualità del trinciato, dovuta anche a problemi di diabrotica e piralide, si è dovuto agire sulla quantità immettendo fino a 2-3 t al giorno in più di biomassa nel digestore, secondo Piercarlo Cantarella consulente tecnico agronomo di numerose aziende dell’area Nord-Ovest, che aggiunge: «stiamo cercando di impostare dei parametri di qualità su cui tarare il prezzo e premiare l’agricoltore che lavora bene e ha un prodotto di qualità: chi compra dovrebbe inserire nei contratti di acquisto un paio di parametri (s.s., amido ecc.) che diano dei valori di riferimento. Quest’anno i prezzi del mais da biomassa in media sono stati da 38 a 40 €/t in piedi, e con trinciatura e pressatura si arriva a 45-50 €/t in fossa; l’anno scorso erano leggermente più alti (2 € in più); per quanto riguarda il sorgo invece circa il 30-40% in meno. Per quest’anno si stanno già facendo contratti per l’insilato di trinciato di mais in piedi a 35-36 €/t quindi un po’ più bassi rispetto all’anno scorso».
Punta sulla qualità della biomassa anche Giuditta Flachi che gestisce un impianto da 1 MW nel ferrarese entrato a regime solo nella primavera scorsa e tarato per utilizzare in totale 55-60 t/giorno di biomassa rappresentata da trinciato di mais prodotto in azienda e da sottoprodotti agricoli.
Contratti non rispettati
«La bassa qualità costa meno, ma poi ha tempi lunghi di ritenzione nel digestore e quindi non rende in termini di produzione di biogas. Il bilancio 2013 è stato positivo anche se il costo della razione alimentare è stato abbastanza alto. Nella nostra zona quest’anno c’è stata grande richiesta di mais, ma ormai il mercato è mondiale e quindi la realtà locale non può certo avere influito sui prezzi».
Una tendenza abbastanza generalizzata preoccupa Cantarella: «è quella a non rispettare i contratti di acquisto di biomassa e quindi i tempi di pagamento fissati a 60 giorni slittano anche a 120, da parte di gestori di impianti già consolidati e in funzione da anni e che ricevono quindi regolarmente gli incentivi dal Gse (Gestore dei servizi energetici); questo sta generando un clima di sfiducia negli agricoltori che cominciano ad avere qualche remora nei confronti del biogas».
«Il protrarsi della crisi nel 2013 e il crollo dei prezzi – continua Bizzoni – hanno portato alla quasi totale perdita di liquidità e quindi all’impossibilità sia di rispettare gli impegni che di fare nuovi investimenti, anche quelli che consentirebbero di rendere i nostri impianti più sostenibili proprio dal punto di vista ambientale».
Investimenti frenati
Bizzoni produce oggi solfato ammonico dal digestato liquido che riesce a vendere, nonostante qualche incertezza normativa, ma ha un obiettivo che per ora non può realizzare per via delle solite lungaggini normative: ottenere concime rinnovabile dal digestato, sia la frazione liquida che quella solida. «Manca infatti ancora la classificazione del digestato che ne consentirebbe l’equiparazione ai concimi chimici, con indubbi vantaggi economici per l’agricoltore in termini di riduzione dei costi di acquisto dei concimi e per l’ambiente» conclude Bizzoni.
Frenato nella voglia di fare investimenti è anche Umberto Castagna che gestisce un impianto da 526 kW tarato sull’azienda suinicola a Bagnolo San Vito (Mn) e che non riesce a costruire quattro nuove porcilaie perché accusato, dagli Enti preposti alla concessione dei permessi, di voler “produrre rifiuti”. «La nostra è un’azienda pienamente sostenibile, con un impianto di abbattimento dell’N, autosufficiente per quanto riguarda l’alimentazione del biodigestore, e questo che fino ad oggi ci ha permesso di tenere in piedi l’allevamento, ci consentirebbe anche di ampliare l’attività, se non ci fossero troppe norme, troppe regole diverse da provincia a provincia, da funzionario a funzionario, che ci rendono la vita impossibile».