L’applicazione delle tecniche dell’agricoltura conservativa rappresenta un’opportunità per accrescere la sostenibilità, declinata principalmente in aspetti di carattere agronomico, ambientale ed economico. Infatti, tale approccio si pone l’obiettivo di incrementare la fertilità dei suoli, ridurre i consumi di combustibili, nonché l’impatto ambientale (diminuendo le emissioni), e contestualmente contenere i costi di produzione.
Articolo pubblicato sul numero 31/2021 di Terra e Vita
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Per assicurare il raggiungimento degli obiettivi preposti, l’agricoltura conservativa si fonda su tre principi fondamentali, dei quali il primo riguarda la riduzione ai minimi termini dell’impatto meccanico sul suolo, perseguibile ricorrendo alla semina diretta o alla minima lavorazione (superficiale) in sostituzione di lavorazioni profonde (come per esempio l’aratura) che comportano un’inversione degli strati del suolo. Le tematiche riguardanti le rotazioni colturali, che hanno l’obiettivo di razionalizzare la gestione della flora infestante e di migliorare le caratteristiche del suolo tramite avvicendamenti colturali, configurano il secondo principio.
Il terzo principio richiede la presenza continua di copertura vegetale del suolo, da ottenersi mediante colture di copertura (cover crop) e/o con residui colturali a cui consegue una migliore gestione della flora naturale. I vari contesti territoriali caratterizzati da eterogenee condizioni pedologiche, ambientali, produttive e differenti ambiti aziendali/imprenditoriali, evidenziano vari gradi di vocazione a tale approccio, da cui, pur con integrale applicazione/osservazione di metodiche e pratiche rispondenti ai principi enunciati, derivano effetti diversi. Inoltre, in alcuni contesti si concretizzano delle limitazioni oggettive che rendono impossibile l’applicazione integrale in sé, limitando solo ad alcune azioni l’applicazione dell’agricoltura conservativa.
Perché alcuni non la applicano
Con l’obiettivo di ricercare/stimolare nuove potenziali soluzioni tecniche diffusamente applicabili, proviamo ad analizzare con maggiore dettaglio le motivazioni per cui molte aziende agricole, pur convinte della virtuosità dell’agricoltura conservativa, non riescono ad applicarla con successo se non limitatamente ad alcune pratiche colturali. Per esempio, le caratteristiche pedologiche di molti areali della pianura padana emiliana, caratterizzati dalla presenza di terreni fortemente argillosi e poco “autostrutturanti”, determinano la necessità di ricorrere a pratiche convenzionali di lavorazione del terreno (aratura ecc.), in quanto il compattamento dovuto a passaggi di mezzi, in condizioni di terreno bagnato non permetterebbe un accrescimento adeguato delle colture fin dalla semina. Tali caratteristiche del suolo determinano difficoltà nell’applicazione delle pratiche dell’agricoltura conservativa ogni qualvolta le produzioni agricole richiedono attività colturali in fasi avanzate della stagione autunnale e/o primaverile, caratterizzate da alto contenuto di acqua nel terreno.
Problematica evidente anche in presenza di coltivazioni di solo primo raccolto, le cui operazioni di semina dovrebbero essere effettuate a fine inverno, ma vengono necessariamente ritardate, da cui ne consegue un ritardo di maturazione e, quindi, un posticipo della fase di raccolta.
Nel caso di coltivazioni di secondo raccolto, è inevitabile effettuare un maggior numero di passaggi sul suolo a seguito delle varie attività di preparazione del terreno, semina, diserbo, difesa e fertilizzazione, nonché irrigazione/fertirrigazione nelle varie modalità di distribuzione ecc., spesso da eseguirsi in finestre temporali ridottissime (e talvolta anche in condizioni di inopportuna praticabilità agronomica), determinando un peggioramento della struttura del suolo. Nel contesto aziendale della gestione degli schemi colturali, l’imprenditore si trova dunque obbligato a effettuare questi passaggi in vista della successiva coltura. Infatti, l’attesa di trovare lo stato ottimale del terreno per le lavorazioni rischierebbe di ritardare ulteriormente le successive attività da dedicare alla nuova coltura, compromettendone fin dall’inizio i risultati attesi.
La problematica risulta amplificata se contestualizzata nell’ambito degli effetti dei cambiamenti climatici sulle operazioni agricole: la maggior presenza di eventi estremi riduce in modo sensibile le opportunità per l’agricoltore di programmare le attività e gli interventi colturali. In questo contesto articolato, la possibilità di ridurre i passaggi dei mezzi è comunque da ricercarsi e ampiamente osservata, in quanto si ottengono evidenti benefici di carattere sia agronomico sia operativo/organizzativo e con ricadute economiche positive rilevanti, pur limitando consapevolmente il concetto esaustivo dell’agricoltura conservativa.
L’esempio della semina su sodo
Un esempio è rappresentato dalla diffusa pratica della semina su sodo, che ogni qualvolta applicata nelle condizioni idonee strutturali del terreno, viene adottata con soddisfazione. Infatti, le tecnologie e i loro impatti economici sulla gestione della semina derivano da un limitato investimento (seminatrice da sodo) che, combinato a trattrice di sovente già presente in azienda, forma un cantiere di semina pienamente rispondente ai criteri descritti dell’agricoltura conservativa, accresce il dominio delle superfici nell’unità di tempo rispetto alle tecniche convenzionali, elimina la lavorazione del terreno e il successivo affinamento, evita la rullatura e soprattutto lascia inalterata la presenza della flora naturale e o i residui colturali in essere.
Nell’areale Padano tale pratica in cerealicoltura è diffusa da ormai 30 anni e ha permesso di riscontrare un differenziale significativamente positivo di margini economici, mediamente nell’ordine di oltre 200 euro/ha, derivati dai minori costi in assenza di lavorazione del terreno che compensano ampiamente i minori ricavi conseguenti alla modesta riduzione delle rese ettariali, rispetto alla coltivazione convenzionale. Tali dati economici e produttivi sono stati confermati e verificati costantemente negli ultimi 20 anni di applicazione (fig. 1-2).
… e dello strip tillage
I risultati positivi descritti in cerealicoltura si ottengono solo nelle idonee condizioni strutturali del suolo ante-semina, le quali vengono accuratamente verificate prima dell’operazione e, nel caso di non congruità, escludono la possibilità di esecuzione della semina su sodo optando per la semina convenzionale, previa lavorazione primaria e secondaria del terreno. A onore del vero per le colture la cui semina non avviene a spaglio (grano), ma a file (mais, soia, ecc.), esiste la possibilità di valutare soluzioni coerenti ai dettami dell’agricoltura conservativa, lavorando il terreno a strisce limitatamente all’area da seminare, lasciando inalterata l’interfila (strip till).
Questa tecnica consente di preservare lo strato di residui colturali e/o di flora spontanea sulla maggioranza della superficie, limitando le lavorazioni meccaniche alle sole fasce pertinenziali alla zona di semina. Evidentemente lo strip tillage non è paragonabile all’attività svolta degli organi di semina di una macchina da sodo (fessurazione del suolo e residui/cotico), ma comunque lavora solo superficialmente una fascia di 10-15 cm, quindi in relazione a una tecnica di minima lavorazione, eseguibile su tutta la superficie di semina, lo strip-till riduce l’invasività dell’attività. Nel caso di potenziale disponibilità di tutte le tecnologie di cui sopra, la valutazione circa quale tecnica utilizzare è da effettuarsi in ogni occasione di bisogno previo scouting e pertanto non pianificabile a priori.
L’aiuto della precision farming
A monte della soluzione adottata, l’ottenimento del miglior stato strutturale del suolo agrario deriva comunque dal rispetto che l’agricoltore pone nello svolgimento di tutte le operazioni colturali, utilizzando per ogni attività i mezzi più adeguati e settati in termini di dimensionamento e masse, nonché di coefficiente di compattamento, e riducendo al minimo le corsie di traffico per i mezzi in campo atti allo svolgimento dei vari interventi. A oggi le tecnologie di agricoltura di precisione e di guida assistita e controllata, combinate con l’individuazione di schemi di “traffico controllato”, consentono di identificare e tracciare specifiche corsie di lavoro, sulle quali i vari cantieri agro-meccanici svolgono dalla semina alla raccolta tutte le operazioni necessarie.
Infatti, le corsie di transito sono percorse da mezzi con fronti di lavoro dissimili, ma i cui organi motori (ruote/cingoli) mantengono carreggiata analoga, di modo che possano ripercorrere le corsie utilizzate dagli altri cantieri di lavoro (vedi immagine). È comunque da puntualizzare che, per sfruttare pienamente i vantaggi di tale metodica, è indispensabile una verifica a priori della congruità dimensionale operativa dei cantieri di lavoro.
Inoltre, a tale scopo è opportuno richiamare l’effetto positivo di alcuni investimenti strutturali fondiari, quali ad esempio la regimazione delle acque superficiali tramite l’eliminazione dei fossi di prima raccolta, che sono sostituiti da drenaggi permanenti e interrati. Questo sistema, tra le altre utilità, riduce significativamente il numero di passaggi in campo per manutenzione, nonché la disomogeneità dello strato strutturale del suolo che influisce sull’efficienza degli input agronomici (e sulla distribuzione del contenuto idrico nel suolo tra parti centrali e distali), con particolare riferimento all’eliminazione dell’effetto “bordo fossi e baulatura”.
Infine, non sono poche oggi le soluzioni tecniche e commerciali che mirano a ridurre gli effetti di compattamento del suolo derivato dal passaggio dei vari mezzi, con innovazioni a livello di dimensionamento e pressione degli pneumatici e dei cingoli in gomma, oggi disponibili non solo su macchine cingolate, ma anche in soluzioni ibride su trattrici ruotate e per ogni classe di potenza e dimensione.
Le aree a vocazione zootecnica
Ci sono poi da considerare le aziende che operano in aree a vocazione zootecnica/agro-energetica, dove si aggiungono ulteriori aspetti da gestire, afferenti al riutilizzo agronomico degli effluenti palabili e liquidi derivati dall’allevamento e/o dagli impianti di biogas. Letame, liquami e digestati, qualora ben gestiti rappresentano, oltre a un apporto di sostanza organica molto utile al mantenimento della fertilità, anche una fonte di nutrienti preziosissima allo sviluppo delle produzioni agricole, in un contesto di circolarità, riducendo l’uso di input di sintesi.
Trattandosi di deiezioni e/o digestati eterogenei (sia solidi che liquidi), occorrono tecnologie distinte per il loro migliore utilizzo nelle varie modalità. È indubbio che l’interramento riduca al minimo le inefficienze nel riuso, e a tal proposito occorre adottare specifiche tecniche (e quindi specifiche tecnologie) che permettano il posizionamento sotto-superficiale nel terreno e nelle varie fasi fenologiche, quando è presente la coltura. Anche in questi contesti aziendali articolati, l’utilizzo di innovazione tecnologica per l’agricoltura di precisione permette di attenuare i limiti derivanti dalla mancata applicazione integrale dell’agricoltura conservativa.
Infatti, nei contesti aziendali come quelli descritti, la possibilità di combinare tutti questi elementi quali apporto di sostanza organica, innovazione tecnologica e alcune pratiche di agricoltura conservativa, mette l’agricoltore in condizioni di poter perseguire gli stessi obiettivi proposti nella definizione stessa di agricoltura conservativa, riducendo gli impatti degli elementi che ne ostacolano la piena applicazione. In piena condivisione con gli obiettivi dell’agricoltura conservativa, occorre quindi ponderare le scelte applicative e il tasso di intensità, in funzione delle puntuali reali situazioni e di corrispondenza alle specifiche esigenze di indirizzo economico/reddituale e produttivo.