Il fenomeno del recovery nella difesa delle piante

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Risultati molto incoraggianti per il giallume europeo delle drupacee, la flavescenza dorata della vite e gli scopazzi del melo

In natura, nonostante l’apparente immobilità e passività delle piante di fronte agli aggressori, la malattia è l’eccezione piuttosto che la regola. Le piante, infatti, hanno un sistema immunitario evoluto ed efficiente. Sebbene manchino di cellule immunitarie specializzate di difesa, le piante non sono soggetti inattivi ma possono rispondere agli attacchi di patogeni.

Resistenze delle piante

In estrema sintesi, le resistenze che i vegetali possono mettere in atto per difendersi dai loro “nemici” sono di due tipi: quelle costitutive (dette anche passive) e quelle inducibili (dette anche attive).

Sia le resistenze costitutive che quelle inducibili possono essere, a loro volta, di tipo morfologico-anatomico (basate su strutture fisiche che impediscono l’accesso del patogeno), oppure costituite da barriere chimiche-fisiologiche, ossia legate all’attività di molecole antimicrobiche che contrastano i patogeni. Entrambi i tipi di difesa hanno costi energetici per la pianta, ma quelli per le difese passive sono impliciti nel piano di sviluppo della pianta e non pregiudicano la disponibilità di risorse per la crescita, mentre quelle per le difese elicitate possono sottrarre risorse al normale sviluppo della pianta.

Articolo pubblicato sulla rubrica L'occhio del fitopatologo di Terra e Vita

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Risanamento o guarigione?

Il fenomeno del recovery (remissione spontanea dai sintomi) è stato descritto per la prima volta da Wingard nel 1928 dopo un’estesa analisi dei sintomi indotti dal nepovirus Tobacco Ringspot Virus (TRSV) in piante appartenenti a 38 generi diversi. Wingard notò che un gruppo di piante del genere Nicotiana mostrava remissione dei sintomi da TRSV nelle nuove foglie, e queste, una volta re-inoculate con lo stesso virus, rimanevano asintomatiche, suggerendo l’instaurarsi di un meccanismo di difesa. Circa settanta anni dopo il gruppo di David Baulcombe dimostrò che il recovery nelle piante di N. clevelandii infette da Tomato Black Ring Virus (TBRV) era dovuto al silenziamento dell’RNA virale.

Il recovery può interessare malattie da virus, fitoplasmi, funghi, batteri ecc. Lo si può individuare sia su piante arboree che erbacee, anche se risulta maggiormente manifesto sulle prime. Per alcune importanti fitoplasmosi (es. flavescenza dorata, apple proliferation) è stato confermato che il risanamento è un processo di induzione di resistenza SAR e/o IR. Studi condotti su diverse specie vegetali hanno dimostrato che il recovery può essere stimolato da stress abiotici, trattamenti con induttori di resistenza, molecole antimicrobiche e applicazione di micorrize; inoltre, è riportato anche il coinvolgimento degli endofiti nel fenomeno del recupero.

In genere, partendo da piante recovered a una malattia, è possibile ottenere cloni di piante con tolleranza totale.

Dal punto di vista pratico il recovery può essere utilizzato sia direttamente, quando il tasso di risanamento annuo è elevato, quindi capace di riportare in tempi brevi le piante alla normalità, sia indirettamente, quando il risanamento è lento e vengono utilizzate piantine figlie di madri recovered e che hanno dimostrato di possedere resistenze indotte permanenti e trasmissibili.

Qualche esempio di successo

Fra le tante manifestazioni di recovery, che sicuramente non rappresentano la totalità dei casi conosciuti, sono da citare le fitoplasmosi del “giallume europeo delle drupacee” (Esfy), la flavescenza dorata della vite (Fd) e gli scopazzi del melo (Ap).

In futuro sarà sempre più importante individuare gli aspetti fisiologici e biochimici del recovery per poter utilizzare tale “fenomeno biologico” nel settore fitoiatrico contro avversità difficili da contenere con i mezzi convenzionali di difesa.

Tutto ciò impone anche studi approfonditi su una biodiversità vegetale non solo legata ad aspetti quali-quantitativi, ma anche incentrata su cultivar, cloni e individui “sopravvissuti” in aree infette o in ambienti ostili dal punto di vista delle avversità abiotiche.

La conoscenza di questo patrimonio genetico e delle relative risposte biologiche di recovery serviranno per affrontare meglio problematiche fitosanitarie epidemiche preoccupanti e attuali.

Il fenomeno del recovery nella difesa delle piante - Ultima modifica: 2024-10-30T12:16:34+01:00 da Roberta Ponci

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