L’uso degli induttori di resistenza al servizio della protezione delle colture è una strategia innovativa che attiva (o elicita) il naturale sistema di difesa delle piante e protegge le colture dalle malattie. Perciò lo studio dei meccanismi indotti dagli elicitori su colture di interesse agrario, come l’uva da tavola, può consentire applicazioni concrete dell’induzione di resistenza nelle piante in programmi di protezione integrata sempre più sostenibili.
Sono le conclusioni alle quali sono pervenuti ricercatori del Dipartimento di scienze del suolo, della pianta e degli alimenti (Disspa), Sezione di Patologia vegetale, dell’Università di Bari. Conclusioni presentate nel webinar “Induttori di resistenza, come funzionano e come integrarli nella strategia di difesa” organizzato da Associazione regionale pugliese tecnici e ricercatori in agricoltura (Arptra) e Fruit Communication.
Induttori di resistenza, contributo alla difesa fitosanitaria
«Gli induttori di resistenza sono elicitori o attivatori delle difese naturali delle piante, che infatti sono capaci di proteggersi dall’azione di agenti fitopatogeni: tale capacità può essere di tipo passivo (resistenza passiva) o attivo (resistenza indotta o acquisita). Gli induttori di resistenza riescono quindi a conferire alle piante un più alto livello di resistenza, e quindi protezione, nei confronti di attacchi di patogeni o di altri fattori di stress biotico e abiotico – ha spiegato Milvia De Miccolis, ricercatrice presso il Disspa –. Perciò, nell’attuale ricerca di una protezione fitosanitaria integrata sempre più sostenibile, gli induttori di resistenza possono fornire un valido contributo come alternativa ai mezzi tecnici tradizionali. Con questi essi sono pienamente compatibili e si possono ben integrare nei programmi di protezione fitosanitaria, permettendo di ridurre il numero dei trattamenti necessari con i mezzi chimici».
Di natura diversa ma con caratteristiche comuni
Gli induttori di resistenza possono essere di varia natura: microrganismi non patogeni che colonizzano la superficie delle radici e delle piante, microrganismi usati come antagonisti microbici, cioè agenti di biocontrollo, diverse sostanze chimiche, sia di sintesi sia naturali come estratti di piante, derivati di alghe, derivati microbici, ecc.
«Hanno però alcune caratteristiche comuni. Ad esempio è comune il meccanismo d’azione che li distingue dai mezzi chimici tradizionali: non inducono un’azione diretta nei confronti degli agenti patogeni di una malattia, ma assicurano una protezione dovuta all’attivazione nelle piante di risposte naturali di difesa. Inoltre sono in grado di agire anche in assenza dell’agente patogeno. Poi hanno un impatto su salute e ambiente sicuramente inferiore a quello dei mezzi tradizionali, e questo è un vantaggio notevole. Infine tutti gli induttori di resistenza o gran parte di essi possono indurre una resistenza di ampio spettro, cioè non specifica verso un solo patogeno, ma efficace verso batteri, virus, funghi, ecc., estesa su colture anche molto diverse fra loro e prolungata nel tempo».
Livelli di protezione non molto elevati
Tutti questi sono punti a favore degli induttori di resistenza, tali da renderne interessante l’utilizzo. Ma la loro applicazione non è ancora molto estesa, ha rilevato De Miccolis, perché i livelli di protezione che essi assicurano non sono molto elevati, soprattutto quando vengono impiegati come esclusivo mezzo di difesa.
«Raramente, quindi, gli induttori di resistenza assicurano un pieno controllo dei patogeni. In condizioni controllate si ha una spiccata variabilità di risultati, che però in pieno campo diventa ancora più evidente. Ciò accade perché diversi fattori contribuiscono a determinare tale variabilità e a ridurre gli effetti dell’induzione di resistenza. Fra questi c’è sicuramente la diversa risposta varietale: varietà di una stessa specie possono rispondere in maniera differente, per una diversa capacità di attivare le difese naturali delle piante legata allo specifico genotipo.
E poi altri fattori, come lo stadio di sviluppo, la fase fenologica e lo stato nutrizionale delle piante, possono condizionare la loro capacità di rispondere a questi trattamenti. Così come le modalità applicative, la ripetizione dei trattamenti e così via. Anche l’effetto combinato con altri mezzi utilizzati, quali antagonisti, mezzi naturali, mezzi chimici, ecc., può influenzare l’esito del loro impiego, in maniera talora sinergica, talaltra antagonistica, quindi esaltandone o riducendone gli effetti. Infine in alcuni casi l’attivazione dei sistemi di difesa delle piante può essere associato a un costo metabolico: la pianta che distrae risorse energetiche per attivare meccanismi di difesa può avere come effetto una riduzione dei livelli di produzione, in funzione del tipo di induttore e dell’ambiente di crescita».
La sperimentazione su vigneti a uva da tavola
L’impiego di induttori di resistenza è stato testato in vigneti a uva da tavola da parte di un gruppo di ricerca coordinato da Enza Dongiovanni, direttrice del Centro di ricerca, sperimentazione e formazione in agricoltura “Basile Caramia” (Crsfa) di Locorotondo (Ba).
«Gli induttori di resistenza testati hanno evidenziato un’efficacia paragonabile alle strategie con impiego dei prodotti di sintesi. Inoltre richiedono l’impiego in pacchetti per più volte consecutive, per attivare i meccanismi di difesa delle piante. Dimostrano altresì l’importanza dei trattamenti preventivi, eseguiti prima che la malattia si insedi, così che la pianta sia pronta a fronteggiare il patogeno. Grazi ai limitati o assenti periodi di carenza, possono essere impiegati anche nelle fasi finali del ciclo vegetativo in strategie antiresistenza, contribuendo alla riduzione dei residui. Hanno palesato però lo svantaggio di una scarsa persistenza».
Come massimizzarne l’efficacia
Prima di utilizzare gli induttori di resistenza, ha consigliato Tonino Melillo, agronomo tecnico di campo dello studio Agrimeca Grape and Fruit Consulting, «bisogna ricordare che i trattamenti sono preventivi, l’induzione di resistenza è ad ampio spettro e ha una durata variabile, l’efficacia non sempre è completa.
Pertanto per massimizzare la loro efficacia è necessario: utilizzare corrette pratiche agronomiche, “caricare” la pianta per attivare i meccanismi naturali di autodifesa, bagnare bene, eseguendo l’intervento su tutte le file, associarli a un prodotto chimico nelle fasi più critiche della stagione, per interventi di chiusura eseguire almeno un paio di trattamenti in associazione a un prodotto chimico».
specificare quali sono, altrimenti le descrizioni delle caratteristiche e funzioni sono inutili