Residuo zero? Zero in fitoiatria

Maria Lodovica Gullino
Un fenomeno di moda, una trovata commerciale priva di basi scientifiche. I dati Efsa confermano infatti l’affidabilità di una produzione ortofrutticola già in larghissima parte priva di residualità. A chi conviene stressare questo tema?

Ricordate il film Zero in condotta?

Oggi non so nemmeno più se il voto in condotta sia sopravvissuto alle tante riforme scolastiche. In compenso è diventato famoso il Km zero, mito di molti consumatori e commercianti.

E, buon ultimo, arriva il residuo zero. Concetto comprensibile sul lato marketing, perché anche il settore agroalimentare aspira ad attrare e sedurre il consumatore. E cosa più dell’illusione di prodotti ortofrutticoli senza residui, immacolati, può attrarre un consumatore poco preparato o, peggio ancora, male informato?


Per tecnici e ricercatori, invece che inseguire l’onda del marketing, non sarebbe meglio aiutare gli agricoltori in una gestione sempre più sostenibile dei mezzi tecnici, sempre più limitati nel numero, che hanno a disposizione?


Stringenti protocolli registrativi

Il tema contaminazione da residui di agrofarmaci è stato cavalcato per anni dai detrattori della difesa chimica, utilizzato e sfruttato in modo diverso a seconda degli interessi di chi lo affrontava. In realtà si sa da anni che la registrazione degli agrofarmaci segue regole e protocolli molto stringenti, costantemente migliorati sulla base delle accresciute conoscenze biologiche, della disponibilità di strumenti e di metodiche di analisi più precise e sofisticate e della spinta di un’accresciuta attenzione e sensibilità al tema da parte dei consumatori e dei legislatori.

Articolo tratto da Terra e Vita 22

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Controlli a tappeto

La quantità di residui di agrofarmaci massimi ammessa viene attentamente definita, prodotto per prodotto, coltura per coltura, sulla base di studi tossicologici e igienico-sanitari molto precisi, che seguono protocolli standardizzati, regolarmente migliorati. Controlli ben precisi della quantità di residui presenti sulle derrate vengono regolarmente effettuati da Enti diversi (ministero della Salute, ministero delle Politiche agricole, Organizzazioni di produttori e di consumatori, Agrofarma, …). Tutti questi controlli, effettuati con finalità diverse (valutare la situazione dei residui sui prodotti italiani, controllare la situazione al dettaglio, evidenziare, per correggerle, eventuali criticità), evidenziano, per nostra fortuna, una situazione tranquilla.

Le irregolarità, cioè i casi di prodotti con residui superiori a quelli ammessi, sono molto basse, dell’ordine dell’1% a livello nazionale.

Produttori virtuosi

Per fortuna, viene da dire. Ma non c’è da stupirsi se semplicemente si ragiona sul fatto che la grandissima maggioranza dei nostri agricoltori, grazie a una buona assistenza tecnica, a una lunga tradizione di difesa integrata, ai costi elevati, usa gli agrofarmaci con grande parsimonia.

I valori italiani relativi ai campioni irregolari sono generalmente più bassi della media europea e ancora di più di quella dei prodotti extra-comunitari. Ma, ancora più interessante è andare a vedere, anno per anno, l’elevata percentuale di prodotti ortofrutticoli che non presentano residui rilevabili. Questi sono mediamente dell’ordine del 55-65%.

Rischio green washing

Il Report Efsa 2022 (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare), che fa riferimento ai valori del 2020, riporta che il 68,5% dei campioni non presenta residui rilevabili, il 29,7% residui di uno o più agrofarmaci a valori uguali o inferiori a quelli ammessi mentre l’1,7 dei campioni sono irregolari. I dati italiani sono perfettamente in linea, con il 67,3% di campioni con residui non rilevabili, 31,7% di campioni con residui inferiori o uguali a quelli ammessi e l’1% di campioni irregolari. I dati del Report Efsa 2022, riferiti al 2020, non fanno che confermare quelli degli anni precedenti. E allora che senso ha promuovere il residuo zero, considerato che in una percentuale altissima di situazioni esso è già una realtà? Non sarebbe meglio, anche per non ricadere in una forma di green washing, raccontare BENE ai consumatori la necessità di usare, in presenza di attacchi parassitari, specifici farmaci anche per le piante così come si fa per l’uomo e gli animali e, al tempo stesso, l’evoluzione fatta nella loro sintesi e impiego?

I costi del marketing

Una trentina di anni fa andavano di moda i “prodotti con amore” di una famosa catena commerciale che, con una astuta trovata, si era inventata la certificazione della presenza massima del 50% dei residui ammessi nei prodotti ortofrutticoli in vendita nei suoi supermercati. Questa operazione, commercialmente intelligente (smart, si direbbe oggi) in realtà non migliorava di fatto la situazione. Ma aumentava i costi a carico della filiera.

La stessa cosa vale, a mio modesto parere, oggi per la certificazione del residuo zero. Che di fatto non esiste e viene, al momento, considerato eguale a 0,01 ppm (mg/l) ovvero il limite attuale di rilevabilità. La certificazione di questo cosiddetto residuo zero ha un costo che va a ricadere soprattutto su agricoltore e consumatore. Ma serve a qualcosa, nel senso di tutelare maggiormente la sicurezza del consumatore o è soltanto un’abile manovra di marketing? Utile sì, ma soprattutto al settore commerciale.

Nessuna base scientifica

Io, vi dico la verità, da oramai “vecchia” fitoiatra, con una certa conoscenza nonché esperienza pratica, della lotta chimica e non, propendo per la seconda interpretazione.

E, mentre non ho nulla in contrario a strategie commerciali di aziende in competizione tra di loro, purché adeguatamente e scientificamente spiegata, ho, vi confesso, qualche perplessità nei confronti di quei ricercatori che si fanno paladini di una moda che però non si fonda su validi supporti scientifici e che, spesso, neppure sostiene gli agricoltori nel percorso verso una gestione sostenibile delle colture. I dati elaborati dalla European Food Safety Agency, resi con cadenza annuale disponibili a tutti, dicono chiaramente, come già ricordato, che la maggioranza dei prodotti ortofrutticoli non ha residui rilevabili. Forse, piuttosto che seguire pedestremente l’onda della pubblicità, non sarebbe meglio, almeno da parte dei ricercatori, aiutare, con della vera ricerca, i produttori ad un’adozione sempre più limitata di mezzi chimici, nonchè i tecnici nell’uso efficace di mezzi di difesa diversi dai tradizionali agrofarmaci, per i quali sono ancora necessarie delle messe a punto?

Siate veri tecnici

In altre parole, credo sia più utile ed efficace, oltre che serio, invece che abbracciare con un po’ di faciloneria ondate pubblicitarie, che lasciano il tempo che trovano, fare della vera fitoiatria. Che richiede conoscenza dei problemi, serie e ripetute prove di campo, impegno, insomma. Per tornare a quanto detto all’inizio, verrebbe, purtroppo, da dire: il voto in condotta forse non esiste più. Ma un bel zero in fitoiatria qualcuno proprio se lo meriterebbe!


L’autrice è dell’Università di Torino e del Comitato tecnico scientifico di Edagricole

Residuo zero? Zero in fitoiatria - Ultima modifica: 2022-07-14T15:00:49+02:00 da K4