I Paesi Bassi hanno un problema con l’azoto. Non si tratta di una novità: l’inquinamento causato dagli eccessi di azoto in Olanda è noto agli esperti da 40 anni e le manifestazioni degli agricoltori contro le proposte per ridurlo vanno avanti dal 2019. Ma la questione è tornata al centro della discussione a giugno 2022, quando il governo guidato dal primo ministro Mark Rutte ha annunciato un piano molto ambizioso per ridurre le emissioni di ammoniaca e ossidi di azoto del 50% entro il 2030, alzando ulteriormente l’asticella fino al 95% nelle aree vicine alle zone protette della rete Natura 2000.
Questi obiettivi si scontrano con lo svolgimento dell’attività zootecnica, che – secondo l’Istituto olandese per la Sanità Pubblica e l’Ambiente – causa circa la metà delle emissioni nazionali del gas. A oggi, il governo non ha ancora fornito indicazioni chiare agli allevatori su come procedere, causando forte instabilità e grandi malumori. Manifestazioni di protesta da parte degli agricoltori sono in corso da settimane in tutto il Paese.
Il contesto agricolo olandese
L’Olanda è uno dei pochi Paesi al mondo il cui l’azoto, anziché essere un fattore limitante per la produzione agricola, è in eccesso. Visti i prezzi relativamente bassi dei fertilizzanti, contrapposti a quelli elevati dei terreni agricoli, negli anni passati sono state effettuate generose concimazioni per evitare carenze nutrizionali che potessero ridurre le rese delle colture. Inoltre, i costi contenuti dei mangimi importati dall’estero hanno permesso una rapida crescita degli allevamenti, con un conseguente eccesso di reflui zootecnici (ricchi di azoto).
Secondo i dati Eurostat, l’Olanda è il primo Paese in Europa per input di azoto (N) per ettaro di terreno agricolo. Nel decennio 2010-2019, sui terreni olandesi sono stati somministrati tra i 350 e i 400 kg N/ha all’anno, mentre in Italia lo stesso valore si è attestato intorno ai 150 kg N/ha. Inoltre, i Paesi Bassi sono lo stato europeo con la più elevata densità di allevamenti: 3,8 animali per ettaro di terreno agricolo, contro una media europea e italiana di 0,8 animali per ettaro (pur con forti differenze a livello regionale).
I danni ambientali dell’azoto
L’azoto è un elemento fondamentale per la crescita delle colture e il nutrimento degli animali, ma emissioni eccessive dei composti azotati (N2O, NOx, NH3) possono provocare gravi danni. Il protossido di azoto (N2O), la cui fonte principale sia a livello olandese che mondiale è di gran lunga l’agricoltura, è un gas serra molto potente: 1 kg di N2O riscalda l’atmosfera quanto 300 kg di CO2. Gli ossidi di azoto (NOx) inquinano l’aria e, in combinazione con le emissioni di ammoniaca (NH3), contribuiscono alla formazione di piogge acide.
Inoltre, il biossido di azoto (NO2) è dannoso per la salute umana. L’azoto in eccesso peggiora anche la qualità delle acque, danneggia gli ecosistemi e riduce la biodiversità promuovendo la crescita di alcune piante e alghe che, diventando troppo competitive, inibiscono lo sviluppo di determinate specie di piante, pesci e insetti. Per queste ragioni, l’Unione europea ha fissato dei limiti di sicurezza – più alti in Olanda rispetto ad altri Stati membri grazie ad apposite deroghe – per ridurre l’impatto delle attività antropiche sull’ambiente e sulla salute umana. Ma nonostante le emissioni di NOx siano già dimezzate in Europa e in Olanda negli ultimi 30 anni, quelle di NH3 sono rimaste stabili e, in generale, tutte le emissioni azotate restano ancora troppo elevate (circa 2,5 volte più alte del limite per evitare danni agli ecosistemi).
L’inizio della storia
Negli ultimi anni, varie associazioni ambientaliste olandesi hanno promosso centinaia di azioni legali per spingere il governo a impegnarsi maggiormente contro il cambiamento climatico. I tribunali si sono pronunciati in loro favore e, nel settembre 2019, il Consiglio di Stato ha bloccato il rilascio di nuove autorizzazioni per lo svolgimento di attività economiche che comportino emissioni di azoto. Così è iniziata la “crisi dell’azoto”, che ha avuto e sta ancora avendo forti ripercussioni su vari comparti economici, tra cui il settore zootecnico.
Gli ultimi sviluppi della questione si snodano intorno al piano ideato dalla ministra per la Natura e per l’Azoto Christianne van der Wal, presentato a giugno 2022, che prevede una riduzione delle emissioni dal -50% al 95% entro il 2030 rispetto al 2018. Secondo le stime del Ministero delle Finanze, ciò comporterebbe la chiusura di 11.200 aziende zootecniche (su 45mila totali) e la riduzione di almeno un terzo dei capi allevati in 17.600 imprese.
I fondi stanziati per affrontare il problema ammontano a 24,5 miliardi di euro, che dovrebbero essere impiegati in parte per rimborsare gli allevatori che dovranno chiudere la propria attività e in parte per implementare misure che riducano le emissioni nelle imprese che resteranno aperte. Tuttavia, le azioni da intraprendere per raggiungere questo risultato non sono ancora chiare. Ci sono delle spaccature interne al governo riguardanti il numero di imprese da coinvolgere, l’eventuale esclusione delle aziende biologiche e il termine ultimo per il raggiungimento di questo obiettivo (2030 o oltre).
Le proteste degli agricoltori
Migliaia di agricoltori hanno espresso il loro dissenso verso il piano del governo con varie forme di protesta in diverse aree del Paese. Dalle più pacifiche manifestazioni davanti alle sedi del potere, ad Amsterdam e a L’Aia, all’affissione di bandiere nazionali capovolte lungo le strade adiacenti ai campi, fino all’impiego di mezzi agricoli per il rallentamento del traffico sulle autostrade. Un gruppo ristretto di manifestanti più radicali ha perfino scaricato letame e rifiuti contenenti amianto sulle principali arterie stradali, incendiando balle di fieno ai bordi delle strade e bloccando il traffico per diverse ore. La polizia, i funzionari del Ministero dei Trasporti e i capi del Consiglio di Sicurezza hanno dichiarato che questi atti vandalici hanno causato vari incidenti e messo in pericolo molte vite. Nelle ultime settimane più di cento persone sono state arrestate (la maggior parte giovani, minori di 30 anni) e circa 700 multate.
«Il problema principale per gli allevatori è che il governo non ha specificato come dobbiamo ridurre le emissioni» spiega Jelle Jolink, imprenditore agricolo con 200 vacche da latte e 60 ettari di terreno. «Abbiamo tanti dubbi. Il governo vuole stabilire un numero massimo di capi per ogni azienda? Se l’azienda del mio vicino chiude, io posso andare avanti come sempre? Posso permettermi nuovi investimenti o rischio di dover cambiare lavoro? Oppure dovrò emigrare per fare l’allevatore? Questa situazione così instabile è difficile da accettare, specialmente per i giovani come me». Poi aggiunge: «Probabilmente il nostro Paese è troppo piccolo per avere così tanto bestiame, ma gli allevatori olandesi sono efficienti e capaci. Limitare la produzione zootecnica in Olanda potrà avere dei benefici ambientali a livello locale. Ma se la domanda di prodotti animali non diminuirà, le emissioni saranno prodotte altrove».
Le altre parti in gioco
La crisi dell’azoto coinvolge numerosi portatori d’interesse, promotori di soluzioni contrastanti e apparentemente inconciliabili. Per trovare un compromesso sono in atto delle consultazioni, mediate dal politico Johan Remkes, a cui hanno preso parte associazioni di agricoltori, gruppi ambientalisti, supermercati e istituti di credito (in particolare Rabobank, responsabile dell’80% dei prestiti al settore agricolo).
Secondo gli ambientalisti il piano del governo non dev’essere modificato al ribasso e per evitare una catastrofe ambientale è imprescindibile ridurre il numero di animali allevati. Per gli agricoltori, il piano proposto è irraggiungibile e va riadattato, altrimenti molti di loro perderebbero il lavoro. Nel frattempo, il presidente di Rabobank, Wiebe Draijer, ha dichiarato che negherà nuovi finanziamenti agli allevatori nelle aree vicine alle riserve naturali. Il raggiungimento di un accordo sembra ancora molto lontano.
Una soluzione integrata
«Per dimezzare le emissioni azotate bisognerà necessariamente avviare una transizione che combini il calo del numero di capi allevati con un utilizzo di tecnologie innovative per la gestione dei reflui zootecnici» commenta Wim de Vries, professore del Dipartimento di Scienze Ambientali all’Università olandese di Wageningen. «Ridurre unicamente il bestiame non basterà a dimezzare le emissioni, perché oggi il 15% del letame viene esportato in altri Paesi. Quindi una riduzione del 15% dei capi allevati intaccherebbe principalmente l’export di letame e comporterebbe una riduzione delle emissioni minore del 15%». La situazione resta incerta, ma resta chiaro che qualunque soluzione non potrà essere implementata senza il benestare degli allevatori.