«Report ha riportato cose ben note anche al mondo agricolo – ci spiega Fabrizio Adani, dell’Università di Milano, durante la nostra intervista -. L’agricoltura è responsabile della produzione di PM10 (ca. 6.7 %, fonte Arpa) che la pone però al terzo posto per importanza e a debita distanza dal riscaldamento (1°, 45%) e dal trasporto (2°, 25%), per contributo netto al particolato primario. È anche vero che gli allevamenti e la gestione dei reflui (allevamento, stoccaggio e successivo utilizzo agronomico dei reflui) sono responsabili della emissione dell’98 % dell’ammoniaca che a sua volta è causa della produzione di particolato secondario che contribuisce al particolato totale. L’ammoniaca è un “reagente“ che unendosi ad altri “reagenti” quali ossidi di azoto e zolfo, di origine non agricola, generano particolato secondario. In questo caso, quindi, non vi è una responsabilità diretta dell’agricoltura, ma indiretta, oggetto ancora di studi e approfondimenti. È evidente che la sottrazione di uno o più reagenti potrebbe ridurre la presenza di particolato».
Il mondo agricolo non si volta dall’altra parte
Secondo quanto descritto da Report, pare che il mondo agricolo spesso si giri dall’altra parte per non vedere. Lei crede che sia così?
«Qualcosa si è mosso e si sta muovendo. Il settore agricolo è complesso e il cambiamento deve essere accompagnato. Spesso non si ha la reale percezione del problema e si ha la sensazione di essere attaccati a prescindere, divenendo un capro espiatorio. Forse atti concreti e risolutivi sugli altri settori potrebbero ben predisporre anche il settore agricolo».
«Comunque non ci sono scuse e la zootecnica è chiamata a modificare i paradigmi produttivi verso la sostenibilità. Le organizzazioni di categoria e l’ente pubblico (es. Regioni), su spinta anche della ricerca, hanno promosso e promuovono azioni volte a integrare questi nuovi paradigmi produttivi. La digestione anerobica, la copertura delle vasche di stoccaggio, l’utilizzo virtuoso dei reflui con sistemi innovativi, il recupero dei nutrienti (N) con riduzione della pressione degli allevamenti sul territorio per mezzo di impianti innovativi, unici al mondo, sono realtà che meriterebbero di essere meglio valorizzate, pubblicizzate e diffuse, divenendo il modello da seguire».
«La recente approvazione del “digestato equiparabile” con sistemi di tracciabilità Gps del digestato distribuito, copertura delle vasche di stoccaggio e sistemi di distribuzione per iniezione – aggiunge Adani -, sono la prova tangibile che il mondo agricolo non “si volta dall’altra parte”. Speriamo che il tutto non rimanga sulla carta ma che vengano adottati strumenti per favorire/incentivare l’uso dei reflui in modo sostenibile secondo questi dettami».
Passi in avanti, lenti ma costanti
La zootecnia di cui si parla nel servizio appare inalterata rispetto agli standard degli anni ’90. Siamo ancora fermi lì o ci stiamo muovendo in qualche modo?
«La zootecnia si è evoluta, ma deve evolversi in continuazione in modo da seguire i gusti e le necessità dei consumatori e il rispetto dell’ambiente; sicuramente la soluzione dei problemi è sostenere il comparto e la sua evoluzione guardando sempre avanti e mai indietro, e nemmeno stando fermi. La conoscenza del problema e l’elaborazione di idee per la sua soluzione devono diventare momenti di rilancio del settore e non di arresto di un comparto produttivo così importante per il sistema paese: serve maggior dinamismo sul tema specifico, così come l’agricoltura ha dimostrato in molte altre occasioni. La ricerca certamente gioca un ruolo fondamentale, come dimostrano i momenti terribili che stiamo vivendo, quale strumento di conoscenza che si trasforma in prevenzione e innovazione».
Verso una zootecnia sempre più sostenibile
La trasformazione da zootecnia intensiva “distruttiva” a zootecnia intensiva “sostenibile” è possibile? Quali sono le carte che il settore può giocare per accelerare i tempi?
«La sostenibilità deve divenire un obbligo della zootecnia. Le idee ci sono (da tempo), gli strumenti, anche, i finanziamenti in parte ci sono stati e potrebbero esserci. Con riferimento alla sostenibilità degli allevamenti e in particolare alla gestione dei reflui, la digestione anerobica rappresenta una opportunità. Il refluo diviene un substrato per produrre energia e fertilizzanti rinnovabili e ridurre i gas serra (azzeramento delle emissioni di metano e sostenibilità energetica degli allevamenti) dovuti all’allevamento, riducendo drasticamente l’impronta ecologica della zootecnia. Un tale approccio deve essere accompagnato da altre “innovazioni”. Il refluo diviene un fertilizzante che deve azzerare l’uso dei concimi chimici e deve essere utilizzato riducendo praticamente a zero l’impatto ambientale (emissioni e lisciviazione di N). La distribuzione dei relfui/digestati nei tempi opportuni, con sistemi di distribuzione per iniezione o simili, l’adozione dell’agricoltura di precisione e di tipo conservativo, sono già una realtà che, se accoppiati alla digestione anaerobica, rendono di fatto sostenibile l’allevamento. Ma non è tutto, laddove l’impatto dei nutrienti (N e P) superi le richieste agricole, impianti per il recupero e la delocalizzazione dei nutrienti devono essere contemplati e previsti».
«Di fatto stiamo già applicando concetti di economia circolare che, però, devono essere veri e credibili: le fake hanno vita breve».
«Per fare tutto ciò serve innovazione (che però deve essere sorretta da un vero mercato, i.e. chi ci crede e innova non deve essere penalizzato dai furbetti che di fatto promuovendo una concorrenza sleale – non faccio nulla - ammazzano il mercato stesso) e “soldi”. I “conti energia” succedutosi negli ultimi 12 anni, hanno permesso, a chi ha innovato, di farlo. Per il futuro potrebbe essere interessante la proposta di modelli simili ma di tipo “agricolo” dove alla necessità del contrasto ai cambiamenti climatici si potrebbe associare la necessità della sostenibilità zootecnica. Il proponendo “New Green Deal” della Comunità europea, rappresenta l’occasione per innovare l’agricoltura, non perché essa è la causa del problema ma perché essa ne rappresenta in a parte la soluzione».