Per circa trent’anni la politica europea a favore del settore lattiero caseario è stata dominata dal regime delle quote latte. Un sistema che, attraverso un meccanismo fortemente dissuasivo verso aumenti di produzione lattiera oltre limiti stabiliti, ha di fatto e per decenni contenuto l’offerta europea di latte e dunque sostenuto il prezzo sui mercati.
A partire dai primi anni di questo decennio, però, la discussione a livello comunitario sul futuro del comparto lattiero ha man mano insistito sull’abbandono di questo meccanismo, e sulla sua sostituzione con un altro approccio. Un approccio predisposto nel 2012, volutamente in anticipo rispetto alla cessazione definitiva delle quote latte prevista per il 2015, e partito con il “Pacchetto latte” (con il Regolamento Ue 261/2012 le cui previsioni sono poi confluite nel Regolamento Ue 1308/2013).
Ue/1 – Il Pacchetto latte
Nel campo della politica per il settore lattiero, il “Pacchetto latte” è stata una vera rivoluzione. Come detto, per anni l’Unione europea si è, in qualche misura, sostituita agli attori del mercato: prima dal lato della domanda con gli acquisti all’intervento, poi dal lato dell’offerta con le Quote latte.
Nel 2012 la svolta quando, anche in vista appunto della fine del regime del prelievo supplementare, con il Pacchetto latte passa a una politica tesa ad aiutare gli allevatori ad affrontare il mercato.
In altre parole: la politica non sostiene più artificialmente il mercato per renderlo meno ostico alle stalle; lascia invece che l’allevatore se la veda direttamente con il mercato; ma interviene aiutandolo, affiancandolo in questa sfida. Come? Prevedendo misure, appunto con il Pacchetto latte, in almeno tre ambiti: la contrattualizzazione dei rapporti tra stalla e latteria; la strutturazione di una migliore contrattazione tra le parti; forme per l’organizzazione dei produttori.
Ue/2 – Contrattualizzazione
Uno dei fattori di maggior rilevanza nella nuova politica europea a favore del latte (ovvero quella dell’attuale fase “post-quote”) consiste nella spinta alla contrattualizzazione delle relazioni mercantili tra l’azienda zootecnica produttrice e la latteria acquirente. In altre parole per ottenere che, da un punto di vista del diritto, la compravendita di latte crudo avvenga nell’ambito delle definizioni contenute in un contratto scritto e controfirmato da entrambe le parti.
In passato, e per troppo tempo, in molti paesi d’Europa e certamente in Italia, è invalso il malcostume di non redigere contratti scritti. L’allevatore consegnava il suo latte sulla base della parola e della consuetudine, ma a condizioni non ben definite e talvolta sconosciute. Oppure il contratto c’era, era stato firmato anche dal produttore che però non ne disponeva, le copie erano in mano alla latteria: di nuovo, la stalla produceva e consegnava latte “al buio”.
In questo ambito, il Regolamento 1308/2013 (Pacchetto latte), all’articolo 148 concede agli stati membri dell’Ue la possibilità di istituire al proprio interno l’obbligo della redazione di contratti scritti per la somministrazione del latte crudo.
Questo aspetto della “concessione di possibilità” da parte dell’Unione europea agli stati membri è stata una innovazione di notevole importanza da un punto di vista del diritto in quanto, all’interno dell’Ue, in molte materie vige il primato della legge comunitaria rispetto a quella nazionale. Tanto che uno stato membro non può legiferare come crede, differenziandosi dalle norme Ue vigenti in tutti gli altri paesi. Per questo motivo, nelle materie comunitarie, deve essere un regolamento Ue a concedere espressamente che, su un aspetto specifico, lo stato membro possa scegliere tra opzioni (peraltro, prefissate in ambito europeo, spesso da quello stesso regolamento), in modo difforme da altri paesi Ue.
Il Regolamento 1308/2013 definisce inoltre alcune caratteristiche e contenuti che devono necessariamente essere presenti nei contratti. E questo senza ledere – altra questione rilevante ai fini del diritto – la libera contrattazione tra le parti.
Dunque, qualora uno stato membro decida di rendere obbligatorio l’uso dei contratti tra stalle e latterie, questi devono essere redatti in forma scritta e firmati da entrambe la parti prima che inizi il rapporto commerciale che si va a definire. Inoltre devono contenere alcuni elementi obbligatori:
- il prezzo da pagare alla consegna;
- il volume di latte crudo che può e/o deve essere consegnato;
- il calendario delle consegne;
- la durata del contratto, che può essere determinata o indeterminata, con clausole di risoluzione;
- le precisazioni riguardanti le scadenze e le procedure di pagamento;
- le modalità per la raccolta o la consegna del latte crudo;
- le norme applicabili in caso di forza maggiore.
Ue/3 – La contrattualizzazione in Italia
È noto come, in generale, l’Italia sia spesso in ritardo sull’applicazione di normative europee. Ciò non è invece accaduto per quanto riguarda la contrattualizzazione dei rapporti tra produttori e acquirenti di latte. Anzi, il nostro Paese aveva anticipato i tempi introducendo norme già dal gennaio del 2012 (senza peraltro mettersi contro le norme Ue).
Si tratta legge 24 marzo 2012, n. 27 (Conversione, con modificazioni, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1: Misure urgenti in materia di concorrenza, liberalizzazioni e infrastrutture) che all’articolo 62 si occupa appunto di contratti, anticipando le caratteristiche e i contenuti che poi sarebbero usciti nel regolamento Ue 1308/2013 che abbiamo sopra descritto.
L’articolo 62 si occupa in generale dei contratti di prodotti agricoli, e dunque anche di latte. Sottolineando peraltro un aspetto delicato: i tempi di pagamento. Il comma 3 infatti recita: “Per i contratti di cui al comma 1, il pagamento del corrispettivo deve essere effettuato per le merci deteriorabili entro il termine legale di trenta giorni e per tutte le altre merci entro il termine di sessanta giorni. In entrambi i casi il termine decorre dall’ultimo giorno del mese di ricevimento della fattura. Gli interessi decorrono automaticamente dal giorno successivo alla scadenza del termine. In questi casi il saggio degli interessi è maggiorato di ulteriori due punti percentuali ed è inderogabile”.
Ue/4 – Contrattazione e organizzazioni dei produttori
Parliamo ora di contrattazione, ovvero di quelle fasi di trattativa tra azienda zootecnica e industria lattiero-casearia che servono alle parti proprio a stabilire gli elementi che poi dovranno entrare, formalizzati, nel contratto di somministrazione; a cominciare dal prezzo e dalla durata contrattuale.
Anche in questo caso, la materia è ovviamente regolata dai principi generali del diritto. Eppure l’Unione europea, con il “Pacchetto latte” ha voluto fornire una cornice normativa specifica. Il perché è presto detto: il notevole differenziale di dimensione economica che, nella stragrande generalità dei casi, caratterizza i singoli operatori del comparto della produzione di latte da un lato e della trasformazione dall’altro ha spesso creato situazioni di disparità eccessive nel potere contrattuale tra la stalla (anello debole) e l’industria del latte (anello forte).
Ecco che allora il Regolamento 1308/2013 indica, tra l’altro, che la trattativa per la compravendita del latte crudo possa avvenire non solo tra industria e singoli produttori, ma anche tra industria e organizzazioni dei produttori (le cosiddette Op). È un punto importante perché va a toccare questioni che attengono alla libera concorrenza, altro fattore estremamente delicato dal punto di vista del diritto. Ma proprio per tentare di ridurre il gap di potere contrattuale tra stalle e latterie, viene prevista la possibilità che i produttori si organizzino e associno in Op.
Ue/5 – Le organizzazioni dei produttori
L’importanza che le organizzazioni dei produttori (Op) hanno nella nuova politica agricola europea a favore del latte è testimoniato dal fatto che anch’esse sono previste dal Regolamento 1308/2013 (e di conseguenza da una serie di norme nazionali applicative).
La creazione delle organizzazioni dei produttori va nella direzione di aggregare il prodotto latte di quegli allevatori che non conferiscono a cooperative. La quantità di latte che può trattare una Op è dunque ben più elevata rispetto a una stalla media, ed è così che l’Op acquisisce maggior potere, rendendolo almeno paragonabile a quello delle industrie acquirenti.
Le norme Ue prevedono che, in genere, l’Op acquisti direttamente dall’allevatore il latte per rivenderlo a condizioni vantaggiose. Ma viene anche prevista la “Op non commerciale”, nella quale l’allevatore dà solo mandato all’organizzazione dei produttori a cui aderisce di contrattare il prodotto in vece sua.
Le politiche italiane per il latte, il Fondo latte
Dopo aver tratteggiato le principali iniziative Ue a favore del comparto lattiero caseario possiamo ora approfondire una importante iniziativa politica italiana, il Fondo latte con i suoi due assi strategici (migliorare la qualità della produzione lattiera; sostenere la ristrutturazione delle posizione debitorie degli allevatori).
Da decenni il grosso della politica in agricoltura è appannaggio dell’Unione europea; un’evoluzione che si è approfondita in parallelo al processo di integrazione europea. Agli stati membri rimane uno spazio di intervento residuale, ma non trascurabile.
È in questo spazio che recentemente si è mosso il governo italiano, per sostenere anche dal lato nazionale il settore lattiero. Con diverse misure, tra le quali spicca il cosiddetto “Fondo latte”. Annunciato dal ministro Maurizio Martina nel febbraio 2015, questo articolato intervento è stato concepito per il triennio 2015-2017 – anche se il decreto Mipaaf è arrivato solo ad aprile 2016 – ed è stato dotato di uno stanziamento complessivo di 108 milioni di euro.
Due gli assi strategici alla base del Fondo latte: migliorare la qualità della produzione lattiera; sostenere la ristrutturazione delle posizione debitorie degli allevatori. L’obiettivo finale di questi interventi è l’aumento della competitività delle aziende zootecniche. In estrema sintesi: produrre latte di qualità migliore ed essere alleggeriti dai debiti – magari per favorire investimenti a loro volta orientati alla qualità del prodotto o alla riduzione dei costi per produrlo – significa spingere sulla competitività delle stalle e, in ultima analisi, affrontare meglio i mercati.
Come indica Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare), che si occupa dell’applicazione del Fondo latte, a partire da maggio 2016 le imprese del settore lattiero-caseario possono accedere a una serie di misure indirizzate a tutti i produttori di latte bovino (a patto che siano in regola con i pagamenti – del passato – dei prelievi sulle eccedenze di produzione lattiera, le vecchie quote latte).
Fondo Latte/1 – Gli investimenti
Come accennato, gli interventi previsti dal Fondo Latte sono principalmente orientati agli investimenti e al consolidamento sia delle passività bancarie che dei debiti commerciali.
Per quanto riguarda gli investimenti, le norme prevedono la possibilità di accedere a un finanziamento erogato al 50% da banche convenzionate a tasso di mercato e al 50% concesso da Ismea a tasso agevolato. L’impresa richiedente, se ovviamente ne ha i requisiti, potrà presentare, per il tramite della banca convenzionata, la domanda di accesso al finanziamento agevolato e avviare la specifica istruttoria attraverso la piattaforma web dedicata sul sito Ismea.
Fondo Latte/2 – Il consolidamento delle passività bancarie e dei debiti commerciali
Sul fronte invece degli aiuti per finanziamenti già in essere, il contributo del Fondo latte può intervenire su finanziamenti bancari rivolti a diverse situazioni, che Ismea elenca così: investimenti finanziati mediante prestiti a medio e lungo termine; consolidamento di passività a breve della stessa banca; consolidamento di passività a breve di banche diverse rispetto alla banca finanziatrice; pagamento dei debiti commerciali a breve.
Non solo, il Fondo latte prevede anche la concessione di contributi finalizzati alla copertura di interessi passivi gravanti sull’aziende zootecniche da latte per finanziamenti accesi nel recente passato.
Per ottenere questo aiuto, l’allevatore deve però presentare un’attestazione rilasciata dalla banca erogatrice del mutuo, riportante gli estremi del finanziamento e il dettaglio degli importi per interessi corrisposti negli anni 2015 e 2016. Dal 2017 questa misura è stata estesa alle imprese che operano nel settore suinicolo.