Non è di poco conto la comparsa in Germania della Peste suina africana (Psa) con il ritrovamento in Brandeburgo, al confine con la Polonia, di un cinghiale infetto che è notoriamente un vettore di diffusione per il suino. Un caso già circoscritto per evitare la diffusione della malattia nel Paese che è il primo produttore europeo di carni suine (con quasi un quarto della carne prodotta), ma che punta i riflettori sull’annoso problema della gestione della fauna selvatica facendo emergere, sempre più impellente, la necessità di rafforzare le misure di controllo negli allevamenti suinicoli italiani.
Il blocco delle esportazioni tedesche nei mercati asiatici
Il rischio, non è però solo quello di un’emergenza sanitaria che potrebbe mettere in stallo la filiera dei suini, nonché le pregiate produzioni Dop della salumeria nazionale. La diffusione della Psa potrebbero avere pesanti conseguenze a livello di mercati.
Lo segnala Claudio Canali, presidente della Federazione nazionale dei suini di Confagricoltura: «Un blocco delle esportazioni di carni suine dalla Germania potrebbe creare un eccesso di offerta sul mercato e deprimere le quotazioni in tutta l’Europa. Paesi grandi acquirenti, come Cina, Corea del Sud, Singapore, Giappone e Argentina, hanno già bloccato le importazioni dalla Germania. Di conseguenza le quotazioni sul mercato tedesco sono già calate quasi del 15% in una settimana scendendo a 1,27 euro al chilogrammo. Il quantitativo non esportato nei mercati asiatici è alla ricerca di nuovi sbocchi commerciali e potrebbe quindi intasare il mercato europeo».
La carne suina tedesca alla ricerca di nuovi mercati
Una situazione che potrebbe avere contraccolpi sui produttori suinicoli italiani che quest’anno hanno già venduto sottocosto per tre mesi durante il lockdown. «Il prezzo del suino pronto per il macello – spiega Canali - era crollato a 1,030 euro al chilogrammo e anche se oggi è risalito a 1,51 euro la media dei primi otto mesi del 2020 si aggira intorno 1,36 euro. Il rischio è che la Germania cerchi di trovare nuovi mercati di sbocco proponendo anche prezzi più convenienti rispetto a quelli italiani e questa eventualità sta facendo tremare i nostri allevatori».
Il caso di Psa in Germania, fa notare sempre Canali, rappresenta ora un grande problema, già annunciato dalla presenza dei diversi focolai rinvenuti nei mesi scorsi sia tra gli animali selvatici che tra gli allevamenti di suini nell’ovest della Polonia, quindi molto vicini al confine tedesco.
«Purtroppo - ha commentato Confagricoltura in un comunicato – la malattia prosegue la sua diffusione mettendo drammaticamente a rischio gli allevamenti europei, pur non essendoci alcun rischio per i consumatori. Il settore suinicolo in Italia vanta un fatturato di circa 3 miliardi di euro per la fase agricola e di circa 8 miliardi di euro per quella industriale, incidendo per il 5,8% sul totale agricolo e agroindustriale nazionale. Operano nel comparto circa 25mila aziende agricole che gestiscono 8,3 milioni di capi, e circa 3.500 aziende di trasformazione. La produzione di carne si aggira intorno a 1,45 milioni di tonnellate. L’Italia è il settimo Paese produttore nell’Ue».
Un piano di sorveglianza in Italia
L’Italia da inizio anno ha attivato un piano di sorveglianza e prevenzione della Psa, approvato dalla Commissione europea, che le Regioni stanno gradualmente implementando e che, secondo Confagricoltura, andrebbe applicato quanto prima con massimo rigore, anche contenendo le specie selvatiche.
La Cia chiede una nuova legge sulla fauna selvatica
Ppreoccupata anche la Cia che ha chiesto alle istituzioni Ue un maggiore senso di responsabilità per la tutela della salute animale e delle produzioni zootecniche sul mercato, ma anche una riforma sostanziale della legge sulla fauna selvatica al Governo italiano. Secondo l'organzzazione agricola, è necessario il contenimento del numero dei cinghiali, tenuto conto del fatto che il Paese, anche per effetto del lockdown, conta quasi 2 milioni di esemplari.
Per la Cia, quindi, è urgente intervenire su più fronti. Da una parte, con verifiche mirate e tempestive, oltre che con controlli intensificati, sulla merce importata e sul flusso di animali vivi (l’Italia ne importa per il 40% e solo in Ue, da Olanda, Francia e Germania). Dall’altra, predisponendo subito azioni efficaci ed efficienti di gestione e contenimento dei cinghiali, al fine di ristabilire il necessario equilibrio tra territorio e pressione faunistica.
«Non aspettiamo che anche questo problema diventi emergenza italiana – ha dichiarato il presidente di Cia, Dino Scanavino-. Le istituzioni preposte riprendano definitivamente in mano la legge 157/92 per adeguarla alle esigenze attuali. Serve maggiore coinvolgimento delle associazioni venatorie, non solo con occasioni di formazione e sensibilizzazione sul tema, ma soprattutto con linee guida riguardo lo smaltimento delle carcasse o la creazione di centri di stoccaggio».
Preoccupazione in Lombardia, prima regione suinicola italiana
A lanciare l’allarme anche l'assessore regionale lombardo all'Agricoltura, Fabio Rolfi: «Questa epidemia si sta spostando pericolosamente. E i cinghiali selvatici sono tra i vettori principali della peste suina africana. La Germania non è dall'altra parte del mondo, bisogna evitare a tutti i costi che la malattia arrivi in Italia. Sarebbe un colpo letale per la suinicoltura lombarda e italiana, già alle prese con difficoltà economiche. Un caso di peste suina africana in Italia comporterebbe il blocco delle esportazioni di prosciutti e più in generale dei prodotti suinicoli. Serve aumentare l'allerta immediatamente».
«L'assenza del Governo italiano - ha aggiunto - su un tema cruciale come quello della proliferazione incontrollata della fauna selvatica, cinghiale in primis, preoccupa molto. A oggi non ci sono misure, le iniziative delle Regioni vengono impugnate dal governo e i piani per contenere la fauna selvatica vengono attaccati dalle associazioni pseudoambientaliste. Bisogna prevenire che si verifichino gravi danni economici e non inseguire il problema quando si presenterà».