È stato firmato nella tarda serata del 7 marzo, dopo una giornata di estenuanti trattative, l’accordo quadro tra parte agricola e industriali che fissa ogni anno il prezzo di riferimento e le caratteristiche qualitative per il pomodoro da industria del Nord Italia. Un risultato che oggettivamente penalizza la parte agricola, con un prezzo che è uno dei più bassi degli ultimi anni: 79,75 euro alla tonnellata, ai quali vanno aggiunti 1 euro di servizi.
Nel 2015 questo stesso prezzo fu fissato a quota 92,00 €/t, nel 2016 fu di 85,20 €/t. Sempre più 1 euro di servizi.
Si tratta di un risultato che non soddisfa completamente la filiera, ma che essendo stato raggiunto nella prima settimana di marzo, cioè circa un mese prima dell’inizio dei trapianti, rappresenta già di per sé un fatto di notevole valore, in quanto offre agli agricoltori la possibilità di programmare adeguatamente la propria produzione, potendo contare sulla certezza di un dato economico sicuro.
Sull’esito della trattativa hanno indubbiamente pesato i magazzini pieni di prodotto trasformato, risultato della grande quantità di pomodoro conferita lo scorso anno agli stabilimenti e anche della pressione di alcuni Paesi esteri nostri concorrenti. Ma non ha pesato solo questo, come vedremo.
Mancati pagamenti
Il sistema già da alcuni mesi era in subbuglio, tanto che già in gennaio sui tavoli della politica emiliano romagnoli e anche nazionali erano arrivate notizie sulle vicende del mercato del pomodoro da industria. «Mancati pagamenti addirittura del 17% del pomodoro da industria prodotto nel Nord (secondo i dati pubblicati dall’Organizzazione interprofessionale), che si tradurrebbero in oltre 20 milioni di euro»: suonava così la denuncia di alcuni consiglieri regionali che si rivolgevano alla Giunta dell’Emilia-Romagna, mentre alcuni giorni dopo anche nei palazzi romani risuonavano le stesse domande da parte di deputati che interrogavano invece direttamente il Governo.
Sullo sfondo di questa situazione la crisi di due industrie di trasformazione dell’Emilia-Romagna: la cooperativa Copador, di Collecchio (Pr), e l’industria Ferrara Food, di Argenta (Fe). Due aziende nevralgiche per i rispettivi territori, dove viene trasformato un quantitativo di pomodoro ingente (complessivamente 4,5 milioni di quintali) e dove trovano occupazione oltre 600 persone, tra personale fisso e stagionale.
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