Una produzione attesa di 4,5 milioni di t, una superfice di 1,27 milioni di ha seminati, con un calo dell’8,3% rispetto al 2016/17 e una resa a grano duro di 3,55 t/ha (-4,23% rispetto alla campagna precedente). Queste le previsioni sulla semina e produzione di frumento duro in Italia elaborati dalla società di ricerca Areté e presentate oggi a Foggia in occasione dell’evento internazionale Durum Days.
La produzione dell’Italia rappresenta il primo elemento di riferimento per comprendere l'andamento globale dei prezzi del frumento duro per la prossima campagna. Si tratta di una produzione inferiore (-10,9%) a quella dello scorso anno, pari a 5 milioni di t (dato Istat 2016/17), che contribuirà a mantenere il mercato ben approvvigionato grazie anche all'ampio riporto di scorte, seppur a livelli inferiori rispetto alla campagna appena chiusa. Secondo i dati presentati dal Crea, le superfici seminate a frumento duro nella campagna 2016/2017, hanno visto un calo più contenuto nel Centro Italia (-5,4%), contro il -7,4% del Sud ed una media del -9,1% del Nord.
In Canada si attende invece una produzione pari a 5,5 milioni di t, con un calo del 29% rispetto alla campagna 2016/2017. Le stime Areté prevedono anche un aumento dell’export (+6,7%), che dovrebbe raggiungere i 4,8 milioni di t. Il rapporto tra gli stock finali e gli utilizzi totali si attesterà sul 36% (era pari al 46% nel 2016/2017). A livello internazionale, insieme al calo stimato in Nord America (al -29% del Canada si aggiunge il -19% degli Usa) e a un calo del -1,04% per la produzione dell’Ue a 28, spicca in controtendenza solo il dato del Nord Africa, dove la produzione è prevista crescere del 49%.
La coordinatrice del settore Cereali dell’Alleanza Cooperative agroalimentari Patrizia Marcellini, ha auspicato che «la presenza in quest’iniziativa di tutti gli attori della filiera grano-pasta rappresenti l’inizio di un percorso di proficua collaborazione e di condivisione di strategie, nell’auspicio che si possano mettere in atto strumenti di mitigazione del rischio di volatilità dei prezzi, quali i contratti di filiera, le assicurazioni, i fondi mutualistici e le aggregazioni, nella consapevolezza che stare insieme è sempre un fattore positivo di competizione».
Il Presidente della Cia Dino Scanavino ha posto l’accento sui contratti di filiera, che «sono tanto più efficaci quando i vantaggi che ne derivano sono distribuiti equamente lungo la filiera che, tradotto per le imprese, vuol dire margini adeguati. Dove lo strumento non è sfruttato a pieno, significa che il valore aggiunto che nasce dal loro utilizzo non è distribuito equamente tra tutti i soggetti».
Rispetto alla complessità delle dinamiche di filiera, il presidente di Confagricoltura Foggia Onofrio Giuliano ha evidenziato come «i problemi della produzione primaria dovrebbero necessariamente essere oggetto di confronto con i molini e i pastifici, ma anche con stoccatori e gdo. L’obiettivo che ci dobbiamo porre è quello di costruire una cabina di regia dei rapporti di filiera di nuovo tipo, finalizzati a costruire un modello di collaborazione tra imprese».
Franco Verrascina, Presidente Copagri ha invece sottolineato come «produrre grano duro sia non più remunerativo. Dopo il crollo delle quotazioni dello scorso anno, la previsione di questa campagna è di una perdita secca di oltre 1 milione di t di grano duro e del 10% della superficie. Non riteniamo che la Borsa Merci sia efficace nel fotografare il mercato essendo le rilevazioni limitate nel tempo e, comunque, non utili ai produttori».
Il presidente di Alleanza delle Cooperative Agroalimentari Giorgio Mercuri ha evidenziato che «il sistema produttivo del grano duro italiano è ancora poco aggregato (lo è appena il 50% del comparto) e il più delle volte il sistema aggregato svolge un’attività di servizio e non di concentrazione dell’offerta. Questo naturalmente non permette di sfruttare al meglio le opportunità che può dare un sistema aggregato».
Passando al punto di vista dei soggetti industriale della filiera del grano, il consigliere Aidepi (Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane) Giuseppe Ferro ha precisato come essi «abbiano sempre sostenuto che uno dei problemi alla base dell’approvvigionamento di grano duro nazionale è rappresentato dall’eccessiva polverizzazione dell’offerta. Acquistare rilevanti quantitativi di grano duro nazionale risulta spesso proibitivo proprio per la carenza di concentrazione dell’offerta in capo a soggetti organizzati a tal fine».
Per Cosimo de Sortis, presidente sezione molini a frumento duro di Italmopa, «il mercato italiano, cosi come il mercato comunitario, è largamente condizionato dagli esiti, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, del raccolto canadese. Il Canada detiene infatti una assoluta leadership nel mercato mondiale del frumento duro con una quota superiore al 50% negli scambi internazionali».
Fabio Manara, presidente Compag – Federazione nazionale Commercianti di prodotti per l’agricoltura, ha infine evidenziato come «all’origine e alla qualità del grano venga attribuito un valore solo nell’ambito delle filiere. Il grano italiano viene invece valutato principalmente per la qualità. Il settore dello stoccaggio in questi anni ha fatto grandi investimenti e si è organizzato per cercare di sopperire a queste carenze strutturali, ma lo stesso settore della raccolta dei cereali deve superare il gap della elevata frammentazione e della dimensione delle partite che immette sul mercato».