Il Ciheam-Iamb di Bari ha scelto il suo giardino mediterraneo come cornice per un incontro che segna l’avvio del percorso della nuova direzione affidata a Biagio Di Terlizi. Tra ulivi e palme, il confronto “Medio Oriente, geopolitica e cooperazione” ha intrecciato le trasformazioni dell’ordine mondiale con l’esperienza quotidiana della cooperazione agricola.
Moderato da Niccolò Carnimeo, presidente del Limes Club Bari Mediterraneo, il dibattito ha visto protagonisti il direttore di Limes Lucio Caracciolo e il rettore dell’Università di Bari Roberto Bellotti.
Egemonia e potenza: lo sguardo di Caracciolo
«Sia dal punto di vista materiale, sia dal punto di vista culturale, la capacità di far fare agli altri quello che conviene a me: ecco una definizione semplice di egemonia, senza bisogno di mettersi a sparare o di puntare una pistola», ha esordito Caracciolo, chiarendo la differenza con la potenza, che «può surrogare alla carenza di egemonia, per esempio usando la forza». Da qui, l’analisi sugli Stati Uniti, oggi in difficoltà nel mantenere quell’egemonia che per decenni è stata indiscussa.
America al bivio
Per l’Italia, ha ricordato Caracciolo, «negli ultimi ottant’anni siamo stati di fatto – e in buona misura rimaniamo – un protettorato americano, quindi uno Stato non completamente sovrano, e uso un eufemismo». Ma oggi anche quel vincolo esterno che per anni ha guidato la politica italiana sembra essersi allentato.
Gli Stati Uniti stessi vivono una crisi di identità profonda. La polarizzazione politica trasforma il patriottismo in conflitto permanente: «Non dimentichiamo mai un dato di fondo: in America ci sono più armi che abitanti. E quando c’è il Covid, si va in armeria, non in farmacia».
Pur tra queste fragilità, Washington resta il cuore di un impero moderno, fondato sul controllo del mare e delle rotte commerciali: «Almeno il 90% delle merci viaggia via mare: controllare gli stretti significa controllare il mondo».

Una transizione senza certezze
Il mondo, avverte Caracciolo, è entrato in una fase di massima incertezza: «Il principio base della transizione è la transizione: non ci sono più punti fermi, non ci sono più riferimenti chiari».
In questo contesto, le vecchie alleanze cedono il passo a un sistema fluido, dove si può trattare contemporaneamente con avversari e alleati. La Cina parla di “risorgimento”, la Russia richiama lo zarismo, la Turchia riscopre l’eredità ottomana.
L’Europa smarrita
E l’Europa? Anche qui, il giudizio è severo: «L’Europa che conosciamo è stata una creazione americana. Senza quel perno, ogni Stato torna a fare i conti con i propri interessi».
Divisa tra i “volenterosi” guidati da Ursula von der Leyen e i Paesi più prudenti, l’Unione rischia di restare senza bussola. Per l’Italia, la scomparsa del “vincolo esterno” lascia aperta la domanda su come governarsi senza stampelle.
Mediterraneo, mare esposto
La riflessione approda così al cuore dell’incontro: il Mediterraneo e il Medio Oriente, oggi epicentro di tensioni globali. «Dobbiamo sempre ricordare la nostra geografia», ha ammonito Caracciolo. L’Italia, senza sbocchi diretti sugli oceani, dipende da Suez e Bab el-Mandeb: «Il nostro mare è decisivo, ma vulnerabile».
Sul fronte israeliano, dopo il 7 ottobre, la prospettiva è di una guerra lunga e logorante. «Israele è un Paese fragile: piccolo territorio, meno di dieci milioni di abitanti, fratture interne tra governo, esercito e servizi segreti. È un Paese che rischia l’osso del collo».
Dal macro al micro: il ruolo del Ciheam Bari
Accanto a queste grandi mappe geopolitiche, il direttore Di Terlizi ha richiamato la vocazione dell'istituto agronomico di Bari: trasformare strategie e analisi in azioni concrete, progetti di cooperazione e formazione tecnica. «Noi non ci consideriamo protagonisti – ha osservato – ma al servizio del dialogo sui territori, accanto a chi vive le fragilità. Il nostro compito è proporre soluzioni, ridurre le vulnerabilità e valorizzare gli strumenti disponibili, spesso pochi ma presenti sul posto. La conoscenza delle comunità è la vera risorsa su cui costruire».
In questa prospettiva, Bari può avere un ruolo silenzioso ma utile: «Con umiltà, possiamo essere un punto d’appoggio per costruire ponti di dialogo, per gli altri e con gli altri».
Il rettore Bellotti ha aggiunto il tassello della ricerca: «L’Università può fornire dati e soluzioni sperimentali, da trasferire ai progetti sul campo».

La “geopolitica dell’acqua”
Un passaggio chiave è stato dedicato a quella che il Ciheam Bari considera la sua “geopolitica”: l’acqua. «Ogni goccia può determinare un cambiamento, offrire una prospettiva, concretizzare un futuro – è stato detto –. Vogliamo operare con coerenza per valorizzare le disponibilità idriche, non limitandoci a generare speranza».
Lo slogan “coltivare di più con meno risorse” resta così il filo conduttore dell’azione dell’Istituto, che porta nei Paesi partner pratiche agricole sostenibili, ottimizzazione di acqua ed energia, e strumenti per garantire standard minimi di sicurezza alimentare.
Le tre linee emerse
- Geopolitica – leggere i mutamenti globali per orientare le priorità.
- Ricerca – produrre soluzioni replicabili.
- Operatività – formare, cooperare e trasferire competenze nei territori.
La giornata barese ha mostrato la necessità di coniugare la visione globale con l’azione locale. Le cartine geopolitiche di Caracciolo hanno trovato riscontro nelle pratiche del Ciheam e nelle competenze dell’Università: un intreccio che consente di comprendere i rischi e, al tempo stesso, agire per ridurli.
Tra le palme del giardino mediterraneo del Ciheam Bari, la geopolitica è scesa dai palchi internazionali per incontrare la cooperazione concreta, in un dialogo che fa della conoscenza applicata e dell’umiltà operativa il vero antidoto a un mondo sempre più incerto.










