Era il 1985 quando vennero pubblicati sulla rivista Nature i risultati di uno studio nel quale si dimostrava che lo strato di ozono nella stratosfera sovrastante l’Antartide si era ridotto di oltre il 30% rispetto al 1950.
Editoriale del numero 14-15 di Terra e Vita
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Questo articolo, oltre ad avere un rilevante impatto scientifico, poiché denunciava una aumentata pericolosità dei raggi ultravioletti non più efficacemente schermati dall’ozono, ebbe un impatto sociale altrettanto rilevante, mettendo in evidenza possibili danni irreversibili agli esseri viventi (es. alterazioni e mutazioni del Dna).
L'uomo può correggere i suoi errori
L’avvertimento, prontamente recepito dall’opinione pubblica, consentì infatti di raggiungere in tempi rapidi un accordo internazionale senza precedenti, ovvero il protocollo di Montreal del 1987 con il quale, dopo soli 2 anni, vennero messe al bando le sostanze chimiche responsabili del cosiddetto buco dell’ozono, ovvero i clorofluorocarburi.
Ciò dimostra che l’uomo può correggere in tempi ragionevoli gli errori ambientali di cui è artefice.
Lo stesso messaggio non è stato purtroppo recepito per i cambiamenti climatici in atto ormai da tempo a livello planetario. Era infatti il 1992 quando a Rio de Janeiro venne posta alla firma la prima Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti del clima.
Da allora è trascorso quasi un trentennio, ma poco o nulla è stato realmente concretizzato.
Di fatto è mancato un Protocollo d’intesa sul Clima efficace come quello di Montreal sull’ozono. È forse impossibile?
Un barlume di speranza per intervenire sul clima
Un barlume all’orizzonte ancora esiste: l’Ipcc (il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) indica che occorre abbattere del 50% le emissioni antropiche di gas clima-alteranti entro il 2030 e ridurle totalmente entro il 2050. Considerando gli interventi (o meglio dire le intenzioni) dei governi dei 200 paesi membri dell’ONU, sembra che tutto ciò interessi poco o nulla l’umanità.
A chi la responsabilità maggiore: da 280 ppm di CO2 presente nell’atmosfera nell’era pre-industriale agli attuali 410 ppm, gli Usa sono responsabili per il 25%, l’Ue per il 22%, la Cina per il 13%, la Russia per il 7%, il Giappone per il 4%, l’India per il 3%, mentre il restante 26% riguarda il resto del mondo.
A fronte di numerose linee guida sviluppate in questi ultimi anni e buone intenzioni di molti governi, l’opinione pubblica italiana e straniera è scarsamente interessata. Il binario, a doppio senso, “avidità economica-miopia politica” pare sia responsabile dell’enorme impatto che il cambiamento climatico e i prevedibili sconvolgimenti ambientali, economici e sociali già produce, penalizzando soprattutto le generazioni future.
Quandola sfida si fa dura, entrano in campo i competenti
La recente emergenza del Covid 19 che ormai interessa l’intera umanità sembra poter ristabilire, almeno in parte, alcuni ruoli fondamentali, ovvero la parola ai detentori della conoscenza, a coloro che sono stati appositamente e professionalmente preparati tramite studio e applicazione (nel caso del coronavirus medici, infermieri e operatori della protezione civile). Da questo punto di vista qualcosa di buono si riesce a intravedere, ovvero il ripristino dei ruoli in base a professionalità e conoscenza, anche in una tragedia immane come quella che stiamo tutti vivendo.
È la politica che si deve adeguare utilizzando le valutazioni degli esperti e non viceversa, e definire poi le soluzioni più corrette/giuste possibili. La speranza futura è che quanto detto sopra possa accadere anche nel comparto agro-alimentare, vitivinicoltura inclusa, poiché se ne ravvede un enorme bisogno.