La stagione sta andando male, anzi malissimo. Calo produttivo stimato tra il 25 e il 30%, con punte negative in cui le rese sono addirittura dimezzate, prodotto spesso malato (diabortica, ma anche piralide) e soprattutto a rischio micotossine: pericolo sempre reale quando si raggiungono temperature estreme e la pianta soffre di stress idrico, ma ancor più insidioso in annate di eccezionale siccità come quella che si sta concludendo. E così, da Brescia a Bologna, passando per tutta la parte più produttiva della pianura Padana, è tutto un lamentare produzioni infime e qualità scarsa. Fanno eccezione, a quanto pare, gli estremi occidentale e orientale del comprensorio: nel Cuneese (dove la raccolta non è ancora iniziata) e in Veneto, dove invece procede spedita già da qualche giorno, la produzione sarebbe paragonabile a quella del 2016 o di poco inferiore.
Un’annata da dimenticare
Cos’ha reso la campagna 2017 – se le previsioni si dimostreranno esatte – una delle peggiori degli ultimi anni? Non c’è un unico motivo: in realtà, il pessimo risultato è il prodotto di tante concause. In ordine temporale, troviamo per prima cosa il freddo primaverile: le gelate di aprile hanno fortemente danneggiato il mais in emersione, costringendo in qualche caso a una seconda semina. A ogni modo, hanno rallentato la crescita del prodotto, sferrandogli un colpo da cui, sostanzialmente, non si è più ripreso.
Anche perché, dopo l’eccesso di freddo è arrivato l’eccesso di caldo: temperature oltre 35 gradi già da metà giugno e per tutto luglio, fino a sfociare nei 40 gradi e oltre a inizio agosto. Non dappertutto e non sempre, ovviamente, ma i brevi momenti di tregua, solitamente successivi a qualche temporale, non sono bastati a far riprendere le coltivazioni.
Soprattutto se consideriamo che, assieme ai temporali e proprio a causa del caldo eccessivo che li precedeva, quasi immancabilmente sono arrivate grandinate e trombe d’aria che hanno sconvolto le campagne, provocando talvolta la quasi totale distruzione del raccolto.
In altre parole, nella maggior parte dei casi è un problema d’acqua: quella caduta sotto forma di ghiaccio, ma soprattutto quella che non è caduta affatto. Non tanto in estate, poiché qualche temporale s’è visto, come dicevamo, quanto soprattutto in inverno e a primavera, passate alla storia come le più siccitose da diversi decenni.
Panoramica
Passiamo ora alle esperienze dirette. Abbiamo chiesto, a fine settimana scorsa, una prima valutazione sul raccolto a chi di mais ne vede davvero tanto: i contoterzisti. Gianluca Cornale lavora in provincia di Brescia, uno dei territori, a quanto pare, in cui le cose vanno peggio: «C’è qualche agricoltore che si ritrova con 200 quintali meno dello scorso anno, e non parlo di gente con grandi superfici. Mediamente il calo – continua l’imprenditore – è nell’ordine del 30%: dai 160-165 quintali per ettaro che rappresentano la normalità nella nostra zona, siamo scesi a 120 o poco più». Secondo Cornale, inoltre, la siccità c’entra poco: «Anche chi ha irrigato con il pivot e dunque ha dato tutta l’acqua che serviva, ha rese inferiori allo scorso anno. Credo che il responsabile principale sia nel freddo di marzo e aprile, seguito poi da un caldo eccessivo». Per aumentare un po’ le rese, conclude Cornale, tanti clienti si stanno convertendo al pastone, ma chiaramente si tratta di un palliativo.
Passando il Po la situazione non migliora. «Senz’altro parlare di un 30% in meno non è esagerato», ci conferma Michele Peri, agromeccanico della provincia di Parma. «La resa standard della nostra zona è di 145-150 quintali per ettaro: quest’anno, in molti casi, si fatica a superare i 100». Il Parmense, come noto, è uno dei territori che più hanno sofferto la sete, nella primavera-estate. «Il calo produttivo è da imputare al caldo – conclude Peri – unito alla mancanza di piogge. Fortunatamente, per ora non si sente parlare di danni da tossine».
Se ne parla, invece, pochi chilometri a sud, nel Bolognese. «Non soltanto ce n’è poco, è anche malato» ci dice sconsolato Claudio Verucchi, contoterzista di Anzola Emilia. Dalle sue parti, a quanto ci spiega, la situazione della granella è tragica. «In tante aziende non sono arrivati a 70 quintali per ettaro, la metà del normale. In generale, c’è stata una resa irrisoria ovunque, in zona. In più il prodotto è malato, sia per piralide sia per le aflatossine. Una stagione da dimenticare».
Problemi sanitari anche nel Ferrarese e nel Padovano. Ce ne parla Michele Pettenuzzo, grosso contoterzista padovano, che per trinciatura e trebbiatura si spinge fino a Ferrara a sud e all’Alto Adige, a nord. «I danni principali sono dovuti alla diabrotica: già dalle prime irrigazioni abbiamo visto che bastava eccedere un po’ con l’acqua per far cadere le piante: sintomo che le larve avevano già intaccato le radici».
A differenza dei colleghi, tuttavia, Pettenuzzo riscontra una stagione regolare. «In qualche caso, anche migliore della scorsa. In Alto Adige, per esempio, grazie alle temperature eccezionalmente alte hanno prodotto il 30% in più della media». Anche nel Padovano vi sono rese in linea con gli standard, aggiunge. «E persino nel Ferrarese, dove molti parlano di cali, i miei clienti non se la passano male. La differenza – continua Pettenuzzo – è nell’acqua: chi ce l’ha, come nel Nord Padovano, ha prodotto. Chi deve aspettare le piogge, chiaramente, ha avuto maggiori problemi, ma anche in quel caso non mi sentirei di usare la parola disastro». I flagelli principali sono stati invece, a parere del contoterzista, grandine e trombe d’aria, che hanno allettato decine di campi. A salvare parzialmente la situazione, infine, le semine precoci. «Chi ha seminato presto ha avuto meno danni da siccità e anche le gelate primaverili sono state meno penalizzanti».
Citiamo, per dovere di completezza, anche l’estremo Ovest. Dove, come ci spiega Massimo Silvestro, la trebbiatura non è ancora iniziata, ma a giudicare dalle rese del trinciato dovrebbe essere in linea con lo scorso anno.
AL DI QUA DEL PO
Il calo produttivo del mais viene stimato tra i 160 e i 165 quintali per ettaro (-30%)
DOPO IL PO LA SITUAZIONE NON CAMBIA
Lo produzione standard fatica a superare i 100 quintali per ettaro (-30%)
MEGLIO IL TRINCIATO DELLA GRANELLA
Se per il mais da granella è inequivocabilmente un anno da dimenticare, chi fa insilati non può festeggiare, ma nemmeno si deve stracciare le vesti. La situazione più difficile, a quanto ci risulta, è nella pianura padana centrale, nella fascia che va dall’Emilia alla lombardia orientale. «Il calo produttivo è innegabile e dovuto soprattutto al freddo invernale, visto che interessa anche le aziende con ampia possibilità di irrigazione», ci spiega Stefano Casiraghi, che fa trinciatura dal Cremasco al Lecchese. Dove, aggiunge, le rese sono proporzionalmente superiori a quelle della pianura.
Stesso discorso per il bolognese Verucchi: produzioni non oltre i 350 quintali per ettaro, contro i 450-500 che rappresentano la media. Non ha invece riscontrato grossi problemi Gianluca Cornale, perlomeno nel suo territorio di competenza, ovvero la provincia di Brescia. Qui, a suo dire, si hanno cali produttivi soltanto sui trinciati colpiti dalla grandine, mentre si comportano bene i secondi raccolti. Massimo Silvestro, contoterzista della provincia di Cuneo, segnala infine che nella sua zona il prodotto non è al top, ma nemmeno da buttare e che la qualità è buona, perlomeno nei terreni irrigati con generosità.
Leggi l’articolo su Terra e Vita 27/2017 L’Edicola di Terra e Vita