La Pac dell’Ue rappresenta la più importante politica economica e di gestione dei suoli nella storia dell’Unione. Pensata con lo scopo di garantire sicurezza degli approvvigionamenti alimentari, con un’equa remunerazione per gli agricoltori e prezzi accessibili per i consumatori, con il tempo si è evoluta per intercettare il cambiamento dell’economia e della società europee.
Una proposta contraddittoria
Nei suoi obiettivi generali, l’ultima proposta di riforma presentata dal Commissario europeo per l’agricoltura Phil Hogan, lo scorso giugno, segue questa evoluzione. La politica agricola comune post 2020 dovrà promuovere un settore agricolo intelligente e resiliente, capace cioè di adattarsi e reagire agli shock, rafforzare la tutela dell’ambiente e l’azione per il clima, contribuendo agli obiettivi dell’Ue in questi ambiti.
La proposta della Commissione presenta certamente elementi positivi, ma allo stesso tempo suscita più di qualche preoccupazione.
La proposta infatti disegna una nuova architettura istituzionale in cui gli Stati membri potranno costruire in piena autonomia un piano strategico nazionale con le misure da applicare.
Mancano i tempi tecnici
Quest’impianto sembra essere una vera e propria rinazionalizzazione della Pac con conseguenze distorsive e d’incertezza che genera. In secondo luogo, la preoccupazione espressa dal Parlamento europeo è la tempistica. Per fare una riforma compiuta, con i tempi necessari per arrivare a una posizione comune di Parlamento e Consiglio ci vogliono molto più dei 7-8 mesi che mancano alla fine della legislatura Ue. Forzare la mano per riformare la Pac in pochi mesi è azzardato. Infatti, il Governo francese ha già presentato in Consiglio un emendamento per estendere la Pac attuale fino al 2023.
Altro aspetto cruciale per il futuro della politica agricola comune è il bilancio. Raggiungere gli obiettivi economici, sociali e di sostenibilità prefissati sarà infatti possibile solo con una Pac forte e adeguatamente finanziata.
Bilancio agricolo sempre più sottile
La quota della spesa agricola sul bilancio Ue è calata drasticamente dai livelli degli anni ‘70, in cui era attorno al 70%, a circa il 38% attuale e nel prossimo Quadro Finanziario Pluriennale calerà ancora, perché sarà necessario fare i conti non solo con il buco lasciato dalla Brexit ma anche con il finanziamento delle nuove politiche comunitarie richieste dagli Stati Membri, Italia inclusa.
Ora, i governi europei hanno un ruolo fondamentale nell’approvare o meno questi tagli. Il precedente governo si era impegnato ad aumentare il contributo nazionale al bilancio Ue, quello attuale si è spinto addirittura a minacciare il veto. Pensare di non contribuire più al bilancio europeo significa mettere a rischio una linfa vitale di oltre 37 miliardi di euro per l’attuale periodo finanziario 2014-2020, che Bruxelles eroga a 1,6 milioni di agricoltori italiani.
Un quarto del reddito agricolo in pericolo
Gli aiuti provenienti dall’Europa rappresentano mediamente in Italia il 25% del reddito dei produttori, proteggono i consumatori e gli stessi agricoltori che alimentano la più grande industria europea, quella agroalimentare (un settore che assicura 44 milioni di posti di lavoro). Non possiamo accettare che siano sempre gli agricoltori a pagare per le nuove politiche europee, con la Pac che viene utilizzata come salvadanaio a cui attingere e, come Parlamento europeo, faremo tutto il possibile per evitare nuovi tagli al suo bilancio. La Pac è una politica al cuore dell’Ue, ed è praticamente impossibile pensare l’una senza l’altra. Colpire la Pac significa colpire l’Europa, ma è vero anche l’opposto: colpire l’Europa vuol dire affondare anche la Pac. Certe sirene sovraniste dovrebbero far bene di conto per non danneggiare in modo irreparabile il sistema agroalimentare nazionale.
Abbonati a Terra e Vita e clicca qui per accedere all'edicola digitale