Confagricoltura chiama a raccolta il suo popolo a sostegno dell'agroalimentare italiano. Lo fa riempiendo Fico, la cittadina del cibo a due passi da Bologna, con un convegno dedicato alla Food Valley, nel quale si sono confrontati politici, istituzioni e imprenditori agricoli.
L'acchito di Massimiliano Giansanti, presidente nazionale di Confagricoltura, è puntuto: «Da anni sentiamo parlare di misure straordinarie per il settore. Cose che si ripetono. Ma qui serve davvero un Piano nazionale per l'agricoltura che cambi le prospettive. È da oltre 40 anni, dai tempi di Marcora, che non se ne vede uno. Per Confagricoltura le priorità su cui intervenire sono almeno tre. In primis le infrastrutture. Di ogni tipo: porti, aeroporti, strade e, sempre più strategiche, le autostrade digitali. Pensate che ci stanno chiedendo la fatturazione elettronica, quando oltre un quarto del territorio ha problemi di connessione con internet e di accesso alla rete. Poi la questione dei mercati. Noi siamo 'mercatisti convinti', crediamo nel libero scambio e ci preoccupano sia le barriere tariffarie che non tariffarie. Tutti ostacoli per il Made in Italy che trova nelle esportazioni una valvola di sfogo straordinaria. E, terzo aspetto, occorre lavorare sul Sistema Italia, con una seria politica di filiera, senza scimmiottature, in grado di creare valore aggiunto per l'impresa agricola».
Visione ventennale
La replica della politica è arrivata a stretto giro con il Sottosegretario alle Politiche agricole Franco Manzato: «Possiamo competere solo sul fronte qualità. Non sarà l'Italia a sfamare il mondo. Dobbiamo tutelare chi mantiene un alto profilo nella produzione, chi fa dell'alto di gamma. In questo contesto le politiche di filiera sono fondamentali e in questa sede posso annunciare che da gennaio lanceremo un percorso di lavoro che porterà alla costituzione di Tavoli tecnici per ogni singolo settore strategico agricolo e agroalimentare. Ogni Tavolo avrà cinque fondamenta: ricerca, strumenti finanziari, organizzazione, mercato interno e mercato esterno. Con un orizzonte di lungo periodo. Dovrà infatti guardare ai prossimi vent'anni, pensare a quel settore nel 2040».
Manzato affronta anche il nodo Pac: «La prossima politica cambierà radicalmente e il ruolo degli Stati sarà molto più forte. Per questo occorrerà ripensare anche alle competenze delle varie regioni che in agricoltura possono decidere molto».
Un assist, non si sa quanto voluto, per il presidente della regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini.
Le regioni virtuose vanno premiate
Forte di una capacità di spesa fra le migliori d'Italia, della miglior crescita del Pil a livello re
gionale per quattro anni consecutivi e di un appoggio trasversale del mondo delle imprese, Bonaccini, che è anche il coordinatore dei Presidenti delle regioni, chiede al governo centrale un impegno preciso sul fronte delle risorse da non perdere. «Ci sono regioni virtuose - sottolinea - e altre meno. Chi sa spendere va premiato: le risorse di quelle amministrazioni che non state in grado di utilizzare i fondi (penso ad esempio ai Psr) non devono tornare a Bruxelles, ma essere ridistribuite proprio a quelle regioni in grado di pianificare e programmare investimenti».
E sul fronte infrastrutture Bonaccini non risparmia polemiche: «C'è chi dice sempre no e chi definisce obiettivi e investimenti. Il Passante autostradale era ed è una priorità. E invece stiamo ancora aspettando. Intanto, per quanto riguarda il digitale, posso annunciare che l'Emilia-Romagna sarà la prima regione (entro il 2021) ad avere tutti i 321 comuni del proprio territorio connessi in banda larga, comprese le più complesse aree montane per le quali abbiamo stanziato specificatamente 49 milioni di euro».
L'occupazione è il vero snodo
Che l'Emilia Romagna sia un caso migliore rispetto al panorama nazionale lo conferma anche Francesco Mutti al vertice dell'omonima industria conserviera.
«Abbiamo tre stabilimenti in Italia, due in questa regione e uno in Campania e, oggettivamente, le differenze sono abissali. Pur in un quadro con problemi, qui si riesce a fare sistema e a rispondere alle emergenze, come quella della Ralstomia su pomodoro dello scorso anno. In altre aree non è possibile. Ma ciò che più mi preme sottolineare è la questione occupazione. Abbiamo sbagliato le scelte degli anni 2000 e ora ci troviamo con un tasso di occupazione del 61%. Lontani dalla media europea, oltre il 70%. Lontanissimi dalla Svezia, al vertice con l'82%. Il lavoro crea crescita ed è senz'altro più stimolante rispetto alla concessione di un reddito senza occupazione. Piuttosto si agisca sul fronte del costo del lavoro troppo elevato che rende le imprese italiane meno competitive».
Le imprese chiedono certezze
Sulla stessa lunghezza d'onda il neo presidente di Federalimentare, Ivano Vacondio: «C'è un livore di fondo verso l'imprenditoria, ma bisogna ricordare che chi produce ricchezza in questo Paese sono le imprese. Il sistema agroalimentare è la seconda industria dell'Italia, vale qualcosa come 140 miliardi di euro e sigla un contratto di lavoro che vale per 350mila persone. Per ora l'export ha salvato i conti, ma nell'ultimo semestre anche la crescita delle esportazioni è sensibilmente rallentata. E i consumi interni non vanno bene. Non solo per una questione di prezzi: è in calo anche la pasta che di certo non ha costi proibitivi. Le imprese agroalimentari non chiedono soldi, ma di essere ascoltati. E certezze per pianificare investimenti. In questo momento c'è poco di entrambi, perché si tende a parlare alla pancia della gente e non al cervello».
«Per quanto riguarda l'export - conclude Vacondio - la cosa migliore che può fare la politica è quella di accompagnare le imprese, di fare sentire la vicinanza su mercati nuovi o nel consolidamento di mercati già impostati».
Doppiati dall'Olanda
Un export che continua a tirare ma che va sostenuto dopo i primi segnali di rallentamento della crescita. Lo sottolinea Denis Pantini di Nomisma nella relazione d'apertura: «La strada dell'Italia non può essere il mass market, ma la qualità e l'alto di gamma. Fra il 2012 e il 2017 l'export italiano è cresciuto del 27%, un valore molto elevato, terzo solo a quello di Cina e Spagna.
Ma, se guardiamo al dato assoluto in valore (l'Italia è a 40,1 miliardi di euro nel 2017), siamo lontanissimi dagli Stati Uniti, cosa ragionevole per questioni di dimensione, ma siamo alla metà dei Paesi Bassi e della Germania, entrambi sopra agli 80 miliardi di euro. E ancora dietro alla Spagna che è vicina ai 48 miliardi di euro. Possiamo e dobbiamo migliorare molto su infrastrutture e digitalizzazione. E capitalizzare ulteriormente la risorsa turismo, vera e propria leva per l'agralimentare italiano».
«Un turismo - chiosa la padrona di casa Eugenia Bergamaschi, presidente di Confagricoltura Emilia Romagna - che però deve essere anch'esso di qualità, in grado di valorizzare il lavoro fatto dagli agricoltori che operano al meglio. Perché chi fa impresa deve avere un ritorno economico adeguato e non, come sta capitando a molti frutticoltori già da diversi anni, lavorare in perdita»